Capitolo 9

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"Scusami". Sento una flebile voce che interrompe i miei pensieri. Mi volto e vedo una buffa ragazza che tiene in mano un vaso più grande di lei e che guarda per terra. Deve essere proprio timida.

Dopo aver quasi ucciso un albero e dopo averlo fatto resuscitare, avevo deciso di fare un giro e mi sono ritrovata, in un modo o nell’altro, in questo bellissimo giardino botanico, grande probabilmente quanto cinque campi da calcio o forse anche più. Devo dire che è particolare: non rinchiuse in una gabbia chiamata anche serra, qui le piante possono crescere liberamente ed essere coltivate all’aria aperta, in modo da essere accessibili a chiunque voglia curare le piante a cui tiene maggiormente. Infatti, questo è un giardino pubblico, nonostante l’accademia sia privata: è stata divisa in tantissimi sezioni, ognuna dal nome di un colore diverso, dove sono state riunite quindi le piante, i fiori o anche gli alberi che, nel loro insieme, caratterizzano quel determinato colore che domina ai nostri occhi, creando un enorme arcobaleno, se guardato dall’alto. Appena sono entrata, ne sono rimasta affascinata: c’erano tantissimi bambini che aiutavano adulti a sistemare qualche pianta o anche per piantare minuscoli semi che sarebbero diventati poi bellissime ed imponenti piante che sarebbero potute crescere senza nessun limite. Entri e ti dimentichi di essere nella capitale del regno: sparisce l’enorme città caotica e prende il suo posto la natura, in tutta la sua bellezza e in tutte le sue sfaccettature. Sono entrata attirata dalle risate dei bambini, e, perdendomi in questo fantastico giardino che somiglia più ad una foresta, devo aver perso la cognizione dello spazio e del tempo, interrompendo a quanto pare il lavoro di questa ragazza.

"Scusami tu, non mi ero accorta di essere d’impiccio" dico grattandomi la testa imbarazzata, mentre mi sposto al lato destro del piccolo sentiero della sezione "Flavus", dove risalta il giallo in modo incantevole ed allo stesso tempo pacato, senza accecare l’osservatore.

La ragazza continua a non guardarmi negli occhi e prova ad affrettare il passo, ma con quel vaso gigante l’unica conseguenza è quella di inciampare in un sasso e cadere all’indietro, con il vaso che rischia di spiaccicarla. Velocemente uso la mia magia per poter trattenere a mezz’aria il vaso, nonostante senta nelle mie ossa il l’enorme peso, e mi avvicino rapidamente alla ragazza per poterla afferrare, in modo che non debba cadere. Dopo aver recuperato l’equilibrio, poso delicatamente il vaso a terra.

"Grazie mille, ecco" mi risponde la ragazza, che continua a non guardarmi negli occhi, mentre vedo che si strappa un capello dopo un altro e contemporaneamente scuote la testa in modo frenetico.

Rido leggermente, sperando di sdrammatizzare e smorzare la tensione. "Guarda che dei ringraziamenti senza neanche guardare negli occhi l’interlocutore sembrano finti". La ragazza mi guarda con occhi spalancati e arrossisce. Finalmente vedo i suoi grandi occhi marroni come i suoi corti capelli ricci con qualche tonalità di verde scuro.  Nonostante gli enormi occhi possano trasmettere allegria e gioia per la vita, denota una grande paura che probabilmente limita il suo modo di vivere. Non sembra molto più grande di me, visti i lineamenti delicati del suo viso.

La guardo dolce e poi continuo a parlare: "Tranquilla, lo so che non è tua intenzione. Io sono Jennifer, tu come ti chiami?". In realtà non impazzisco nel fare nuove conoscenze, ma tra un po’ sviene dall’ansia, oltre al fatto che ispira fiducia e simpatia. Ha un animo puro, deve essere una ragazza molto ingenua.

"Io, ecco, io mi chiamo Samantha, Samantha Skyson" mi risponde balbettando leggermente all’inizio. Riprende a toccarsi i capelli con la mano sinistra e, dopo esserseli toccati un po', ne strappa qualcun altro, e li lascia cadere per terra. Seguo con lo sguardo l’azione che ha appena compiuto, da quando ha iniziato a giocare con i capelli a quando li ha buttati a terra. Samantha nota che l’ho fissata per tutto il tempo e credo che ciò le abbia creato ancora più disagio, infatti prende velocemente il vaso e si dirige verso la sua meta, senza neanche salutare. Afferra quel vaso e lo stringe a sé come se fosse la sua unica ancora di salvezza, come se fosse l’unica soluzione per smettere di cadere in quell’oscuro circolo vizioso che consiste nel guardare i capelli, tirarli, giocarci ed infine buttarli via, rendendosi poi conto dell’azione che si ha appena compiuto.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 02, 2020 ⏰

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