Five.

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"Fragilità il tuo nome è donna."

cit. William Shakespeare

* * *

Pamela mi accarezza i capelli allisciandomeli. Lei è seduta al mio fianco mentre Marcus se ne sta sulla sedia al muro, guardandomi con intensità.

"Quindi i bastardi pensano che la tua sia una diagnosi psicologica?" C'è rabbia nella voce di Pamela, la stessa rabbia che scorre nelle mie vene.

Lei è troppo empatica, lo è sempre stata. Avevamo quattro anni quando ci siamo conosciute, da quando ne ho memoria, siamo sempre state inseparabili. Al piccolo duo, si unì Marcus in prima media.

Siamo sempre stati inseparabili, un trio perfetto. Mi fido di loro e loro si fidano di me, ma in questo momento, il mio migliore amico non è più lo stesso e dal suo sguardo non so se fidarmi o meno del suo "sto bene".

"Sì, purtroppo." Rispondo con un espressione amara in volto.

"Sono degli emeriti idioti!" Pamela si alza dal lettino e cammina su e giù, davanti a me. "Come possono essere così ignoranti da pensare a queste cazzate?!"

La finezza è sempre stata qualcosa di retorico per lei.

"Pamela, siediti! Buon Dio, la stai facendo vomitare!" Dice d'un tratto Marcus, catturando l'attenzione di entrambe. Pamela fa finta di niente e ritorna a camminare su e giù.

"A me fa salire il crimine questa cosa!" Esclama, si porta le mani a coprirsi il viso, per poi scorrere le dita nei suoi lunghi capelli scuri. "A te no?" Chiede a Marcus e quello rimane per un attimo interdetto.

"Certo, mmm, certo." Ma dove c'è l'hai la testa? Vorrei chiedergli, ma mi mordo la lingua a sangue pur di non farlo.

"Marcus?" Lo chiama con incertezza Pamela, "Sei sicuro di stare bene?" Inarca le sopracciglia e anche io, insieme a lei, attendo una risposta. Sobbalzo sul lettino quando si alza di scatto e prima di uscire, dice:

"Scusatemi, non c'è la faccio." Sbatte la porta e io e Pamela rimaniamo ferme dove siamo, guardandoci allibite negli occhi.

"Sai cos'ha?" Le domando, rompendo il ghiaccio.

"Sinceramente no." Pamela abbandona quell'espressione perplessa e si siede sulla sedia. "E' da quando ha messo piede qui che se ne sta zitto."

Non mi trattengo.

"Voglio parlargli." Mi alzo dal lettino velocemente. La testa inizia a girarmi come una trottola e non appena i miei piedi toccano il pavimento inizio a tremare.

E' strano poter stare in piedi, ma forse è ancora più strano ammetterlo.

"Charlie! Sei impazzita?!" Pamela si alza e mi guida verso il lettino, ma io insisto: voglio parlare con Marcus.

Esco fuori dalla stanza e cammino per il corridoio, mi allaccio la vestaglia e vado lesta verso il bagno degli uomini. Sarà sicuramente lì.

Pamela mi insegue, implorandomi di ritornare in stanza, ma non la ascolto. Se c'è una cosa di cui vado enormemente fiera è la mia testardaggine.

Quando voglio una cosa, la faccio. Niente mi può fermare.

Entro nel bagno degli uomini e fortunatamente trovo...

"Marcus?" Stringe il lavello bianco, con lo sguardo fisso sul ribinetto, ma quando sente la mia voce i suoi occhi inchiodano i miei. Indietreggio a quel contatto visivo, il suo sguardo mi fa paura.

"Che ci fai qui, Charlie?" Mi domanda con tristezza.

"Sei corso via, così..."

"No, intendo che ci fai qui, in questo ospedale!" Domanda arrabbiato, urlando. Per un attimo rimango senza parole, immobile. Lui si allontana dal lavandino e si avvicina a me. "Dovevi per forza bere come un cammello?!" Ingoio un fiotto di saliva, adesso so cosa intende. "Che cosa volevi dimostrare? Di essere forte?!" Non l'ho mai visto così arrabbiato. "Di.. di poter battere la tua malattia?" Sto tremando, solo adesso mi accorgo che sto piangendo. Con il dorso della mano mi asciugo le guance e smetto di guardarlo negli occhi. "Hai scatenato un inferno! E per cosa? Per un tuo cazzo di capriccio!"

Ha ragione.

Ha ragione e basta.

Me ne sto zitta, con lo sguardo fisso sulle mie calze, con il cuore che batte disumano contro la mia cassa toracica.

"M-marcus, io..." Non mi fa nemmeno parlare perché quando apro bocca mi da una violenta spallata ed esce dal bagno.

E così, ancora una volta, rimango sola.

Solo che adesso è tutto bianco. E' tutto dannatamente bianco. Odio il bianco, lo odio più del nero.

E' quello che mi merito: stare sola, senza nessuno.

La porta del bagno si apre, mi volto di scatto.

"Mar..." Ma non è Marcus.

E' Hiddleston.

Adesso sono io quella ad uscire fuori da questo schifoso bagno.

"Charlotte!" Mi chiama, ma non mi volto, continuo a camminare verso la mia stanza e mi ci chiudo dentro. Tolgo la vestaglia e mi infilo sotto le coperte, affondando la testa sul cuscino.

Sento la porta aprirsi e dei passi avvicinarsi verso di me.

"Se ne vada." Gli ordino, incapace di trattenere i singhiozzi.

"Che cosa è successo, Charlotte?" Adesso si vuole mettere a fare pure lo psicologo?

"Per favore." Lo supplico tremolante.

Lo sento allontanarsi e quando chiude la porta io ne approfitto per piangere più forte.

Che cosa ho fatto? Sono in un casino, ma la cosa più brutta in assoluto è che questo casino l'ho creato io stessa.

Marcus ha ragione, mi sono rovinata da sola, rovinando così tutti quelli che mi circondano.

Sono una stupida, una folle.

Per cosa? Per un capriccio. Ricordo le parole taglienti (ma vere) di Marcus.

Il mio cuore gronda di odio, sta scoppiando di odio.

Ho solo diciotto anni.

Voglio solo vivere.

Ma vivere è così difficile.

N.d.a.

Mi scuso per il ritardo, ma non sapevo assolutamente come mandare avanti questa storia.
Fatemi sapere cosa ne pensate con un commento.

just22years

Oltre il Confine | Tom Hiddleston Fan FictionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora