05| Una Canzone Per Il Re

1.4K 105 14
                                    

𝕸𝖎 𝖕𝖎𝖆𝖈𝖊 𝖋𝖊𝖗𝖎𝖗𝖊 𝖕𝖎𝖈𝖈𝖔𝖑𝖊 𝖈𝖗𝖊𝖆𝖙𝖚𝖗𝖊 𝖈𝖍𝖊 𝖓𝖔𝖓 𝖕𝖔𝖘𝖘𝖔𝖓𝖔 𝖈𝖔𝖓𝖙𝖗𝖆𝖙𝖙𝖆𝖈𝖈𝖆𝖗𝖊.
-Mary Flora Bell

Iblīs stava male

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Iblīs stava male.

Era sicuro che a breve avrebbe rigettato il misero pranzo che aveva avuto poche ore prima. Non era pienamente soddisfatto delle nuove cuoche, del loro cibo e del loro costante parlare.

Dio, le sue orecchie non ne potevano più di udire tali frivoli e stupidi argomenti.

Ma avrebbero imparato, se ne sarebbe assicurato lui stesso.

Cuore, c'era per caso un cuore vicino a lui? Riusciva a sentirne il battito lento, regolare per quanto ne sapeva lui, e inumano.
Tum-tum-tum non gli piaceva, ecco a lui non piaceva affatto il suono che produceva.

Con calma aveva realizzato che quello era il suo cuore, che finalmente riusciva ad avvertirne il rumore. Da quanto, da quanto non lo sentiva? La sua testa era così piena di suoni, di voci, da offuscare il resto.

Il suo cuore gli pareva così triste, costretto a battere inevitabilmente e contro la sua stessa volontà; gli urlava di fermarlo, di stringere la mano contro di esso e di fermare la sua corsa.

Ma come poteva Iblīs fermare un cuore, il suo cuore?
Era certo che se esso avesse avuto il dono della parola lo avrebbe implorato di ridurlo in polvere.

Vivere, dopo così tanti anni, era per lui una condanna. Non voleva altro che spegnersi; la morte gli sembrava un delizioso piacere al quale non poteva però accedere.

Lui l'aveva maledetto, dopotutto.
L'aveva condannato a vivere e per un pazzo non c'era nulla di più terribile. Avrebbe vissuto per sempre, lui ed i suoi fantasmi, anche se il mondo si fosse disintegrato.

Magari un giorno si sarebbe trovato a volteggiare nello spazio, chissà se avrebbe mai abbracciato una stella.

Abbraccio, cos'era? Conosceva quella parola ma non avrebbe saputo metterla in pratica, non sapeva nemmeno se qualcuno si fosse mai preso la briga di stringerlo a sé; di lenire i suoi dolori con un po' di affetto.

Ma sapeva che era impossibile, una remota speranza ormai accartocciata nel suo inconscio.

Si era morso il labbro, sopprimendo velocemente quel pensiero. Per lui era oh, così facile distrarsi! Alle volte, più che una maledizione, gli pareva un dono.

Ma di chi? Chi gli avrebbe mai fatto dono di qualcosa? No, lui-no no lui distruggeva tutto ciò che possedeva.

Non era in grado di curarsi di qualcosa, di qualcuno, e di conseguenza non desiderava nulla. O forse lo faceva; silenziosamente sperava che qualcuno si offrisse a lui con la totale consapevolezza che sarebbe finito con l'essere distrutto.

The Cursed KingDove le storie prendono vita. Scoprilo ora