La notte prima

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Il cellulare vibrò da dentro la tasca dei jeans, lo prese e visualizzo il messaggio Whatsapp di sua sorella: «entra dal garage, ti apro io. Mamma e papà dormono».   

Grazie al cielo, pensò. E un sorriso si dipinse sul suo viso. 

Facendo più piano che poteva, sua sorella alzava il portone meccanico del garage facendo entrare Dan dalla porta secondaria.   

«Grazie Julia, mi hai salvato il culo».

«No, fratello, tu lo hai salvato a me stasera alla festa. Ci ho pensato bene e poteva finire male».  

«Lo so, ma sono contento che non sia successo niente.»

«Abbiamo avuto culo tutti e due poi, mamma e papa dormivano anche un'ora fa quando sono tornata in macchina. Ti voglio bene fratellone» sussurrò Julia sinceramente.

«Anch'io te ne voglio, Julia. Andiamo a dormire ora, domani la sveglia è alle sette».

Senza far rumore Dan andò in bagno, e aiutandosi unicamente con la luce del cellulare come fonte luminosa, si lavò i denti e si infilò il pigiama.   

Aveva già preparato lo zaino per l'indomani, anche se, essendo il primo giorno di scuola non è che servisse mettere dentro un granché: Diario, un paio di quaderni, e biro e matite. 

Si infilò sotto le coperte del suo letto. Era stanco, davvero esausto ma non riuscì a prendere sonno facilmente. Era agitato per l'indomani. Era contento e rassicurato dal fatto che in classe con lui ci sarebbero stati Zak e Dan. Ma probabilmente sarebbero capitati anche con Luke. Quello sarebbe stato un terrore per gli anni a venire e gli avrebbe fatto passare degli anni di merda. Non ci voleva nemmeno pensare. Solo il fatto di averlo incontrato quella sera, aveva creato scompiglio. La maglia strappata a lui, il pugno che si era preso Zak. Non era giusto che quel bastardo si comportasse così. Era anche un po' preoccupato per il carico di studio che il liceo avrebbe portato con sé. Ma Dan era un ragazzo intelligente e sveglio. Non avrebbe avuto difficoltà per quello. I problemi sarebbero stati altri.   

Ed in mezzo a tutto questo groviglio di pensieri, precipitò in un sonno senza sogni. Liscio e pulito.   

La sveglia delle sette buttò puntuale giù dal letto Dan che aveva dormito meno di cinque ore e si sentiva ora parecchio esausto. Sentiva già dei rumori provenire dal piano di sotto. Tazze e cucchiai che sbattevano tra di loro e un phone che andava al massimo in bagno. Sbadigliando e svogliato, mise i piedi giù dal letto e si vestì con i panni presi dal cassetto che meglio si abbinavano all'umore della sua giornata. Una t-shirt nera con jeans blue scuro. Si fiondò giù dalle scale, entrò in cucina e mise sotto i denti una brioche confezionata. I suoi genitori stavano trafficando con le loro cose del lavoro e quando sua madre lo vide con i capelli tutti arruffati sbraitò:  «ma tu pensi di andare alle superiori il primo giorno con quel ciuffo tutto sparato in aria e quei vestiti? Mi sembri un metallaro disadattato»

«Mamma, non rompere, già ho sonno, non ho proprio voglia di discussioni» le rispose svogliato Dan.   

«Hai sonno eh? A proposito che ora avete fatto ieri te e tua sorella? Io mi sono abbioccata durante quello show sul canale sei e poi ho dormito tutta la notte filata. Non avete fatto tardi vero?»

«No, No, alle undici eravamo già a casa» disse Dan con un sorrisetto beffardo.   

«Benissimo... Dai muoviti a prendere il bus che rischi di far tardi il tuo primo giorno».

Dan prese lo zaino in spalla, salutò anche suo padre che si stava allacciando le scarpe e si diresse verso la fermata del bus.   

Secondo l'app della compagnia di trasporti locale l'autobus sarebbe dovuto passare per le sette e venti. Erano le sette e un quarto. «Sono in perfetto orario» pensò Dan e si infilò le cuffiette del suo Ipod. Riproduzione casuale, rock classico e via. La giornata stava iniziando con il piede giusto. Appena arrivato alla fermata, sgranò gli occhi. Quello che stava vedendo lo lasciò sbigottito. 

Alla fermata erano presenti minimo una cinquantina di persone, tutte incazzose e intente ad aspettare il bus mattutino. E come cazzo ci saliamo tutti sul bus? O è di due piani o qua rimaniamo schiacciati come sardine in una scatoletta. 

Ne Matt ne Zak prendevano il suo stesso bus, il 14. Matt andava direttamente in bici, abitando in centro. Zak prendeva il 23, bus che tagliava la città per traverso e non per orizzontale come faceva il 14. «Pazienza, tanto li vedrò a scuola». 

Finalmente arrivò l'autobus, uno scassone degli anni 90 che emetteva dallo scarico un fumo puzzolente e azzurrognolo. Alla faccia dell'inquinamento e dello sviluppo ecosostenibile, pensò Dan.   

La scena che ebbe inizio, poteva benissimo essere inserita in un film di Fantozzi. O anche uno di quegli assalti che gli americani fanno ai supermercati durante il black Friday. Dove ci si butta come bestie per arraffare il modello di lavastoviglie in sconto del 10%. 

Appena il bus si accostò alla banchina, tutti i partecipanti all'assalto, sia grandi che piccoli si misero a correre per essere i primi a salire sopra quella vecchia baracca che li avrebbe portati ognuno alle proprie incombenze. Spintoni e spallate si susseguirono con urla da pirati all'arrembaggio. La prima che si piazzò davanti alla porta del bus era una signora sui 50 anni, grassa come un elefante e che scacciava i pretendenti all'assalto come moscerini con la sua borsa di pelle. Sciò, sciò, piccoletti, il posto a sedere è mio.   

Con determinazione, anche Dan si mise in fila riuscendo per il rotto della cuffia a salire sul bus, ma naturalmente rimase in piedi. Schiacciato come non mai, si aggrappò ad una barra metallica con la speranza di riuscire a ritagliarsi uno spazio di appoggio. Il mezzo partì barcollando per il suo tragitto verso la scuola. 

In quel autobus mancava l'aria. Letteralmente. I finestrini erano chiusi ermeticamente e se uno studente tentava di aprirlo per avere un po' di refrigerio, la vecchietta di turno starnazzava  «Chiudilooo! Entra il freddo della mattina! Non vorrai mica far peggiorare i miei reumatismi, con un colpo di freddo, disgraziato!»

Dan si trovava impigliato tra una povera ragazzina delle medie che era più bassa di un nano e un impiegato sui quaranta, con il riportino e la fiatella pesante. Stava parlando al telefono, questioni di lavoro, e ogni volta che apriva quella dannata fornace una ventata che sapeva tra un misto di letame e la menta della sua cicca, ne fuoriusciva. Nauseante. Dan non vedeva l'ora di arrivare. 

Dopo venti minuti di tragitto il carrozzone dell'orrore arrivo a destinazione e scaricò Dan nel piazzale della scuola che lo avrebbe ospitato per i prossimi cinque anni, il Dragonetto. 

A vederlo da fuori non sembrava per niente una scuola, ma piuttosto una fabbrica. Una fabbrica vecchia e costruita con abbondanti colate di cemento. Tutta la costruzione era grigia e triste con una facciata ridipinta di rosso per cercare di dare un po' di colore a quello squallore. Orde di ragazzini, dalla prima alla quinta, si ammassavano all'ingresso, mentre l'emozione del primo giorno di scuola riaffiorò di colpo in Dan. Il cuore gli vibrava sempre più veloce nel petto, la saliva in gola gli si stava prosciugando tutta e si sentiva preso da un leggero malessere. Si fece forza e si incamminò tra il marasma di gioventù ammassata davanti al cancello.

L'ombra nella scuolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora