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Un uomo è seduto davanti a me.
Credo abbia una cinquantina d'anni, visto il volto stanco e i capelli brizzolati.
Mi siedo e l'interrogato alza lo sguardo. I miei occhi incontrano i suoi e quello che percepisco non mi piace per niente, d'altronde se si trova qui è perché ha fatto qualcosa di sbagliato. 
«Ciao, io sono Nina» Dico presentandomi.
«So già chi sei» mi risponde seccato.
Come fa a sapere chi sono? Io non l'ho mai visto.
«Perché non ci presentiamo con una stretta di mano?» gli domando con tutta la mia gentilezza.
«Mi chiamo Salvatore Berti» dice ignorando completamente la mia richiesta «e tu dovevi essere la mia vittima» prosegue. 
Credo di aver capito male. Ho capito male.
«Interessante. Sai Salvatore, mi piaci. Mi piaci perché non fai giri di parole, ma vai dritto al punto» Dico cercando di rimanere il più apatica possibile, non deve capire che la sua dichiarazione mi ha fatto venire la pelle d'oca. 
«Dovevi esserci tu al posto di quella ragazza, solo che ho sbagliato» l'ultima parte della frase è quasi un sussurro, sembra quasi che voglia tenerselo per sé. 
Mi manca il respiro.
Apro il fascicolo che ho in mano e leggo il nome della sua vittima.
Nina Maria Sirani, deceduta alle ore 4:55 del mattino.
Sotto la presentazione della vittima ci sono due foto. In una è presente una ragazza tutta sorridente e, nell'altra la stessa ragazza morta con tagli profondi su ogni parte del corpo.
Sto per vomitare, quella ragazza dovevo essere io.
Faccio un respiro profondo e cerco di mantenere la calma.
«Bene, Salvatore raccontami qualcosa di te»
Alza le spalle e poi mi sorride. Il suo sorrisetto mi fa venire i brividi, è viscido e purtroppo ne ho visti molti di sorrisi così. 
«Non c'è molto da dire, sono un sicario»
Un sicario non molto sveglio mi verrebbe da dire, ma è meglio non farlo arrabbiare altrimenti rischierei di fare innalzare un muro tra me e lui. 
«Per chi lavori?» gli domando, ma so già la risposta. L'unico uomo che mi sta cercando su questo pianeta. 
Lui sorride.
«Per Rodolfo Solca, sai abbiamo fatto molta fatica ad avere un nome, ma fortunatamente il capo ha sempre un asso nella manica»
In che modo è riuscito ad avere un nome?
«E l'asso nella manica sarebbe?» domando questa volta impreparata per la risposta che potrebbe darmi.
Si sistema meglio sulla sedia e mi sorride.
«Ha assunto una medium, è grazie a lei se abbiamo avuto un nome» Confessa.
Impossibile. Non possono avere una medium, se è vero quello che ha detto ho le ore contate.
«Perché stai collaborando con me adesso?» chiedo curiosa. Non è tenuto a rispondere a tutte le domande che gli pongo, eppure lo sta facendo senza esitare. 
«Se dovessi finire in prigione, il capo non mi torcerà un capello per l'errore che ho fatto, se invece mi manderete a casa potete ritenermi già morto» Dice tutto d'un fiato.
Voglio finire questo interrogatorio, ora capisco perché non volevano che lo sostenessi io.
Sono più tesa di una corda di violino. Potrei vomitare l'anima da un momento all'altro. 
«Un'ultima domanda Salvatore. Devi dirmi come l'hai uccisa» chiedo con tono poco convinto e lo nota anche lui, perché mi guarda comprensivo.
«Anch'io farei fatica ad ascoltare come mi avrebbero ucciso» si schiarisce la voce e poi continua «Sono entrato in casa sua dalla finestra, lei stava dormendo. Il capo mi ha ordinato di torturarla, voleva una morte lenta e dolorosa per la donna che ha ucciso il suo fratellino» fa una breve pausa prendendo il bicchiere d'acqua poggiato sul tavolo «Lei piangeva come una bambina e quindi non ci sono riuscito. Ho cercato di fare il più lentamente possibile volevo farla patire almeno un pochino, ma al piano di sotto c'erano i suoi genitori. Per prima cosa le ho tagliato la gola, facendola morire dissanguata, continuava a sostenere che lei non c'entrava niente, che mi stavo sbagliando. Non le ho creduto, così ho continuato a tagliarla. Una volta morta, la stavo per decapitare, ma sua mamma ha aperto la porta e io mi sono dato alla fuga» fa una breve pausa e poi prosegue
«Sinceramente il capo voleva che la impiccassi, ma non un'impiccagione tradizionale, ha un nome specifico che però non ricordo»
L'unico metodo di impiccagione che conosco, oltre a quello tradizionale è il metodo Condé.
«Perché voleva proprio quel metodo?» Domando più per curiosità mia.
Svariati flashback mi ritornano alla mente, facendomi venire ricordare che mia mamma è morta con il metodo Condé. 
«Dice che è il metodo che preferisce e che anni fa ha ucciso una donna così» Il mio cuore inizia a battere all'impazzata, è come se la frase che ha appena pronunciato dia conferma a dei pensieri che ho sempre tenuto per me.
«Come si chiamava quella donna?» Gli domando, credo di aver usato un tono con troppa enfasi, perché Salvatore mi guarda con fare scocciato e alzando un sopracciglio.
«Non lo so, non me lo ha detto. Credo che questa informazioni la sappiano solo Rodolfo e i familiari della vittima» finisce la frase iniziando a ridere, serro le mani così forte che le nocche mi diventano bianche. 
Non posso farmi influenzare dalle mie emozioni. 
«Tornando a noi, come hai capito che avevi sbagliato persona?» proseguo con l'interrogatorio cercando di mantenere un tono neutro. 
Il suo sguardo si concentra sul mio viso e inizia a sorridermi, sembra quasi un sorrisetto di compassione.
«L'ho capito quando sua mamma è entrata nella stanza, da quello che so tu non hai più una mamma, non è così?»
Non faccio neanche in tempo a rispondere che la porta si spalanca facendo entrare Kevin e Simon.
Mi alzo dalla sedia e senza guardare nessuno corro in bagno.
Cosa ho fatto?
Un'innocente è morta a causa mia.
Mi avvicino al primo gabinetto che vedo e inizio a rigettare tutto quello che avevo nello stomaco, non posso rischiare che altri innocenti muoiano a causa mia.
Dopo essermi data una pulita, estraggo dalla tasca dei pantaloni il mio cellulare e clicco sul numero quattro tra i miei contatti preferiti, facendo partire la chiamata.
«Pensavo fossi scomparsa» sento la sua voce profonda dall'altro capo del telefono.
Ora che ci penso non vedo Giorgio da un mese circa e non mi sono neanche fatta più sentire, non che le nostre conversazioni siano molto profonde, ma ogni tanto ci sentivamo per messaggio.
«Ho avuto da fare» dico scusandomi «Ascolta, hai tempo per venire a Firenze? Ho bisogno di te» continuo usando un tono supplichevole. Non mi è più servito il suo aiuto, ma ora che sto ricominciando con le visioni e mi trovo in questa situazione orrenda mi serve qualcuno che mi faccia distrarre.
«A Firenze?» mi domanda poco convinto.
«Si, a Firenze pago tutto io. Alloggio e trasferimento, ci stai?» aspetto una sua risposta che non tarda ad arrivare.
«Certo, prendo il primo treno»
«Perfetto, allora a domani» lo saluto chiudendo la chiamata.

Esco dal bagno, fortunatamente non c'è nessuno ad aspettarmi, ripercorro con una fretta che non ho mai avuto i corridoi, per raggiungere la sala interrogatori.
Insieme a quell'uomo è seduto Leonardo e accanto a lui, ma in piedi, ci sono mio fratello e Simon.
Entro insieme a loro, senza preoccuparmi di mio papà che mi ha chiamato e ha provato a fermarmi.
Mi guardano tutti e quattro sbalorditi, soprattutto Kevin che sa il mio modo di reagire a notizie come queste e quello che sto facendo adesso non è da me. Sarei scappata, mi sarei presa il mio tempo per elaborare quello che è successo e me ne sarei andata lontano, ma ora sono stanca, devo tirare fuori le palle e affrontare le situazioni, soprattutto se sono stata io a crearle.
«Lasciateci soli, per favore» dico usando un tono sicuro, che non ammette repliche.
Leonardo si alza e mi lascia la sedia libera, mentre Salvatore mi guarda con un sorrisetto.
«Non ti lascio sola» alzo gli occhi al cielo quando sento la voce di Simon.
Mi giro a guardarlo e lo fulmino con lo sguardo, sono arrabbiata per quello che è successo in bagno e non mi passerà facilmente, anche se non ho motivo di essere arrabbiata lo sono comunque.
«In questo momento la tua presenza mi fa innervosire, quindi esci da questa stanza o ti giuro che ti lancio la sedia addosso»
Simon ride scuotendo la testa e poi esce dalla stanza.
Coglione.
Salvatore ride e poi si fa serio in un attimo.
«State insieme?» mi domanda dopo qualche secondo di silenzio.
Resto sorpresa a quella domanda, pensavo fosse vietato dire stronzate in sala interrogatori.
«No, non stiamo insieme» rispondo sentendomi in imbarazzo, spero di essere brava a nasconderlo, perché il mio viso sta andando a fuoco.
«Beh» alza le spalle «Allora vuole solo scoparti»
Ho il cuore che va a mille, ho paura si possa fermare da un momento all'altro, cerco di restare il più composta possibile, anche se quelle parole hanno mosso qualcosa nel mio stomaco, spero sia vomito.
Mi passo una mano tra i capelli, ormai in uno stato pietoso e continuo con le mie domande.

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