Adrien

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Caratterialmente, avrei potuto benissimo definirmi un pacifista.
Non come uno di quei tizi che sta sdraiato nei prati con le collanine di fiori al collo, e neanche come uno di quei santoni che passa le giornate a meditare a gambe incrociate in templi sperduti tra le montagne.
Un pacifista... moderato.
Uno che si fa gli affari suoi, che non cerca questioni e che non si lascia provocare.
Un pacifista tranquillo, ecco.
Crescere a tu per tu con Chloe, era stata un'ottima scuola.
Lei perdeva le staffe come in autunno gli alberi perdono le foglie.
L'avevo vista fare ogni genere di capriccio, per ogni genere di motivo. Onestamente parlando, nove volte su dieci, mi ritrovavo a chiedermi se non fosse posseduta...
Non la capivo. Non concepiva la parola "no" in nessuna delle sue forme.
Io la sentivo così spesso, che ormai nemmeno ero più certo ne esistesse una controparte.
E non mi ribellavo mai, ad essa.
Crescere, non era servito a cambiare niente.
Chloe era rimasta la stessa, e il suo odio per i "no" come tale.
E io... beh, io continuavo a subire in silenzio.
Non mi creava problemi.
Non davo di matto appena restavo solo, non pianificavo fughe notturne, né covavo nessun risentimento.
Mio padre mi diceva sempre e solo di no... e io non dicevo niente.
Era stata quella, la solfa, fino a un anno prima. Quando, all'improvviso... la mia vita era cambiata.
Chat noir era stato la rivoluzione della mia esistenza.
Esprimere me stesso e ciò che realmente ero e pensavo, stando però nascosto dietro la sua maschera, era così semplice che non tardai ad innamorarmi, di quella sensazione di libertà assoluta.
Mi cambiò profondamente.
E alla lunga iniziai, maschera o no, piano piano, a ribellarmi.
Se mio padre diceva no, io a volte protestavo.
Se a scuola vedevo qualcosa di storto, non esitavo a dire la mia.
Ero sempre un pacifista che odiava la lite ma, non ero decisamente più un succube silente della vita.
In quelle ore, poi, superai ogni record. Anarchia totale di pensiero.
Nell'arco di 24 ore, ero arrivato due volte a tanto così da voler ridurre il grugno di mio cugino a una frittata.
Poco dopo, mi si era annebbiata la mente in un altro modo, e d'impulso avevo baciato una ragazza che non amavo, mandandomi totalmente in crisi il cervello.
Anche in quel momento, chiuso nella mia stanza ad ascoltare il temporale, in attesa che Marinette tornasse, mi sentivo calmo come uno che aveva bevuto 10 litri di caffè nero.
Pichiettavo le dita freneticamente sulla scrivania, e sbattevo le ginocchia una contro l'altra, come fossero dei piatti da orchestra.
Mi sentivo fremere tutto. Mai stato tanto nervoso in vita mia.
"Se non ti calmi, finirà che ti verrà un infarto. " commentò plagg, osservandomi annoiato, mentre mangiucchiava un formaggino.
"La fai facile, tu. Te ne freghi sempre di tutto e di tutti... "
"Già, e campo da più di 2000 anni, grazie a questa politica... "
Scattai in piedi, irritato, e aprii uno stipetto. Ne presi una bottiglietta d'acqua, che praticamente vuotai in un sorso.
"Sai cosa mi calmerebbe, plagg? Risposte! E invece, vengo sempre messo in una situazione del cavolo, in cui non so, o non capisco niente!"
Scrutai plagg, torvo.
"Scommetto che tu sai perfettamente, cosa faceva qui il kwami di ladybug ieri notte, eh?"
Plagg mi guardò mezzo secondo, poi tornò al suo spuntino.
"Mi sembra di avertelo già spiegato, che non posso rispondere a nessuna domanda... "
"Ok, lo prendo per un sì. Dio, che nervoso... ma perché non posso mai sapere niente?!"
"Non farne una questione personale. Non sei tu di per sé, il problema. In generale, nessuno deve sapere niente. Sei l'ennesimo chat noir, che calca il suolo di questo mondo, e nessuno dei tuoi predecessori è mai stato messo al corrente di un fico secco.
Tu hai conosciuto il precedente guardiano, conosci quello attuale, e persino un paio dei portatori. Lamentati!"
Mi interdissi.
Wow. Ero messo bene, in confronto ai vecchi portatori del mio anello, a quanto pareva.
"Ok, va bene, lo ammetto, non mi posso lamentare... "
"E allora perché lo fai?" Chiese plagg, snervato.
"Perché non capisco! E non capire, mi rende isterico. Odio i segreti!"
Plagg sospirò, come una maestrina esasperata davanti al somaro della sua classe.
"Ti posso dire solo questo: C'eri arrivato da solo, non occorreva aggiungere altro. Tikki non era qui perché qualcuno era in pericolo. Sarebbe venuta da me, altrimenti... "
Guardai plagg, sbigottito.
"Non intendo aggiungere altro, sia chiaro! Non ci ritorno in quell'anello altri 200 anni, solo perché gli ormoni adolescenziali ti danno alla testa."
Sospirai, confortato.
Ok, il mio ragionamento filava.
Meno male, almeno così sapevo che milady stava bene.
"E allora perché era qui?" Chiesi, sedendomi di nuovo davanti alla scrivania.
"Parlo arabo? Niente più domande! Sta bene, stanno tutti bene, quindi fatti gli affaracci tuoi!"
Feci una smorfia di disappunto, ma non protestai oltre.
Aveva ragione, mi era stato concesso di sapere anche troppo, rispetto a chi era venuto prima di me, non avevo diritto di lamentarmi.
Guardai l'ora. Marinette era scesa da mio padre ormai da dieci minuti.
"Secondo te, cosa doveva chiedere, Marinette, a mio padre?" Chiesi a plagg, guardandolo aprire una nuova confezione di camembert a spicchi
"E come faccio a saperlo, mica sono un veggente. " rispose lui, scartandone uno.
"Beh, non che ci sia da preoccuparsi. In fondo, è solo al piano di sotto che parla con papà, no? Mi fa solo strano che mi abbia chiesto di restare qua. Come se... non volesse che sentissi quello che ha da dirgli."
"Festa a sorpresa?" Propose plagg. Io veci un verso di scherno.
"E va a parlarne a mio padre? Si taglia le gambe da sola, così... "
Plagg fece spallucce.
Io mi appoggiai allo schienale della sedia, meditabondo.
Se fosse stato un consiglio stilistico, non avrebbe implicato la mia esclusione, quindi bocciai l'idea.
La teoria di plagg? Era a dir poco assurda...
No, c'era decisamente qualcos'altro, sotto, qualcosa di più grosso.
Marinette era sembrata inquieta, poco prima di uscire. Più che scendere di sotto a parlare a mio padre, sembrava che stesse partendo per il fronte.
Doveva, forse, dire a mio padre... qualcosa di spiacevole?
E quella strana frase...
"Ladybug ci sarà sempre, per te..."
Che cosa voleva dire?
Che c'entrava ladybug, in quella storia?
Via altri dieci minuti.
Ok, ora iniziavo ad innervosirmi sul serio!
"Io scendo. " dissi, d'un tratto.
Guardai plagg. Lui guardò me.
"Che vuoi?" chiese.
"Non so perché... " dissi, ed era la sacrosanta verità. "Ma credo sia meglio che tu venga con me. "
Plagg inarcò le sopracciglia.
"Devo venire con te per andare al piano di sotto da tuo padre?"
Annui.
"Si. Ho... un brutto presentimento."
Plagg mi guardò intensamente, come forse non aveva mai fatto.
Poi, posò ubbidiente il formaggio che stava mangiando, e venne a infilarsi nel taschino interno della mia camicia.
Ad ogni buon conto, portai con me anche il cellulare.
Avevo una strana sensazione, sentivo che era in arrivo qualcosa di veramente brutto.
Scesi le scale di casa mia, tendendo l'orecchio.
Lo studio di mio padre era la prima porta sulla destra.
Bussai.
Nessuna risposta.
Strano, pensai.
Bussai ancora.
"Papà, sono io." chiamai.
Silenzio.
Bene, ero ufficialmente preoccupato.
Mi feci un rapido giro della casa: salone, camere (evitai quella di Felix) e guardai il giardino dalle finestre, in ogni punto.
Niente, scomparsi. Inghiottiti dalla terra.
Non potevano essere usciti.
Mio padre non usciva di casa da eoni. E con quel tempaccio, era meno che mai probabile.
E Marinette? L'aveva forse mandata via? Col diluvio universale di fuori? Poteva essere così infame?
No, un momento, non lo volevo sapere...
Ecco che il cellulare mi tornò utile. Chiamai Marinette.
Segreteria telefonica.
Chiamai mio padre.
Idem con patate.
Ma porca di quella miseria, dove caspita erano andati a finire!
Bussai, stavolta con più veemenza, alla porta dello studio.
"Papà, apri questa porta, per piacere!" Esclamai. "Dov'è Marinette!?"
Niente.
Preso dal panico, e dai nervi a fior di pelle, feci uscire plagg dalla tasca.
"Dimmi che succede là dentro!" Sbottai. Plagg, in primis, parve spaventarsi un po', visto che non gli avevo mai parlato con quel tono.
Poi però annuì, e infilò la testolina nella porta, in un punto molto in basso, per evitare che lo notasse qualcuno all'interno della stanza.
Un attimo dopo, riemerse.
Era atterrito.
Senza tante cerimonie, alzò la minuscola zampetta, e diede un leggerissimo colpetto alla maniglia della porta, che si disintegrò all'istante.
"Entra, muoviti!" Disse.
Non me lo feci ripetere due volte.
Diedi una spallata alla porta dalla serratura distrutta, e piombai nella stanza.
Quello che vidi, mi gelò il sangue nelle vene.
Marinette era lì, e c'era anche mio padre.
Entrambi... erano riversi a terra, privi di sensi.
Corsi da Marinette, la più vicina.
"Marinette! Marinette, apri gli occhi! Su, coraggio, apri gli occhi!"
Mi inginocchiai a terra, e la presi tra le braccia, cercando di tirarla su.
Lei piano piano aprì gli occhi. Sembrava stordita.
"A... Adrien... " mugugnò.
"Si, sono qui, Marinette, va tutto bene. Su, da brava, cerca di alzarti..."
La presi in braccio, e piano piano feci scivolare a terra le sue gambe, facendola aggrappare al mio collo.
Lei si portò una mano alla testa, ancora un po' suonata.
"Riesci a stare in piedi, o ti riprendo?" Le chiesi.
Lei tentò qualche incerto passetto. Era un po' titubante, ma riusciva a reggersi in piedi.
"Sto bene, ce la faccio. " mi disse.
Io mi fidai del suo giudizio, e la lasciai per correre da mio padre.
Anche lui, dopo qualche richiamo, riprese i sensi.
Lo feci alzare in piedi. Era intontito anche lui, e si reggeva la testa come Marinette.
"Ma cosa diavolo è successo, qua dentro?!" Chiesi concitato.
Mio padre fece per rispondere, ma si fermò di colpo. Stessa cosa Marinette.
"Niente." risposero entrambi all'unisono.
Divenni una iena.
"Come fate, anche solo a pensare, che possa crederci! Vi ho trovati svenuti, entrambi, in una stanza chiusa a chiave dall'interno. E voi osate dirmi niente?! Esigo una spiegazione, ora!"
Marinette guardò mio padre.
Lui fece altrettanto con lei.
Si scrutarono a lungo. Sembrava di stare in un film western.
Poi, mio padre, divenne improvvisamente cereo in viso.
Portò la mano al collo, e si tastò la camicia.
Vidi la rabbia fiorire nei suoi occhi grigi.
Corse poi alla cassaforte nascosta dietro il quadro di mia madre. La spalancò, e ci frugò dentro. Imprecò aspramente.
"Piccolo ladro vigliacco... " sibilò. Marinette emise un verso sprezzante.
"B
"Toh, il bue che dà del cornuto all'asino... " mormorò, aspra.
Lui la fulminò.
"Chiudi quella boccaccia, tu, è tutta colpa tua!"
Lei parve scandalizzarsi.
"Colpa mia? In questa famiglia nascono criminali come fossero funghi, e lei da la colpa a me?!"
"Tu, l'unica cosa che dovevi fare, era farti gli affari tuoi!" Rispose mio padre, adirato. "Guarda cos'ha prodotto, invece, il tuo operato! Quella canaglia impunita, ha rubato i... "
"Chiuda il becco!" Sbraitò Marinette. Mio padre parve in primis accalorarsi parecchio. Poi distolse lo sguardo, visibilmente irritato.
"A che scopo tacere, ormai, eh? Ho già sbagliato io, a farlo, per tutto questo tempo... " sentenziò.
Marinette sbuffò col naso, senza dargli risposta.
Io non ci stavo capendo più nulla, da almeno dieci minuti.
"E cosa crede di fare, ora, vuotando il sacco? Badi, non ho la minima intenzione di lasciarle mettere in mezzo Adrien in tutto questo casino! "
"Nemmeno io, cosa credi?! Adrien è mio figlio!"
"Guardi, non la voterei come padre dell'anno, se devo essere onesta... "
"Come osi... "
"BASTA!!"
Il vaso era colmo. Quell'urlaccio mi uscì praticamente dalle viscere.
Sia mio padre che Marinette tacquero all'istante.
"Ok... vi do tre secondi, a partire da due secondi e mezzo fa, per dirmi cosa accidenti sta succedendo qui!"
Ero alquanto sull'orlo di una crisi di nervi, e la cosa doveva essere evidente, perché quei due smisero di beccarsi immediatamente.
Mio padre pareva incerto sul da farsi. Marinette, invece, mi venne vicino, e prese la mia mano.
"Onestamente... vorrei che tu sapessi ben poco, di questa storia, per non dire niente. "
Eh, che novità...
"Io invece, onestamente, voglio che sputiate il rospo, Marinette... "
"Non è tempo di chiacchiere, questo. " se ne uscì mio padre. "Per ora dobbiamo muoverci. Non ho idea di cosa voglia fare quella peste con... "
"Di questo, mi occupo io. Lei resti qui con suo figlio." lo interruppe Marinette. "Mi dica come funziona quel coso... "
"E cosa pensi di fare, da sola?" Rispose mio padre, quasi in tono canzonatorio. "Sei vulnerabile, come chiunque altro, senza... "
Marinette fece scattare la chiusura della sua borsetta, e ci infilò dentro la mano.
Quando la tirò fuori, sul palmo aveva qualcosa che fece arrestare di colpo il mio cuore.
Là, nel centro del palmo della sua mano, c'erano due lucenti orecchini rosso fuoco, con degli inconfondibili puntini neri.
Il miraculous... della coccinella!
Mio padre lasciò cadere la mascella.
"Io dormo con gli occhi aperti, signor Agreste." Disse Marinette, mentre la osservavo mettersi gli orecchini, la gola secca come un deserto.
Poi, quando di pu ti in bianco di trasformò davanti ai miei occhi, il mio cervello dichiarò ufficialmente la resa.
Ero incapace di smettere di guardarla, come se temessi potesse svanire in una bolla di sapone se avessi smesso.
E guardandola, tutto mi fu chiaro. Quella sensazione che sentivo quando guardavo Marinette. Quella confusione, quel sentimento che non mi consentivo di provare, ma che ormai sapevo esistere...
Marinette, che tanto mi amava, e che tanto avrei voluto essere in grado di amare anch'io... era ladybug.
La mia ladybug!
La mia mente, forse, non lo aveva capito. Ma evidentemente, il mio cuore sì.
"Tu... " mormorai, sopraffatto da una gioia enorme, che a stento riuscivo a contenere. "Tu sei... ladybug!"
Lei evitò accuratamente il mio sguardo.
"Se avessi potuto dirtelo, ti giuro che l'avrei fatto." disse piano. "Comunque ha ragione lei, signor Agreste, non abbiamo tempo da perdere. Non avrà preso i miei orecchini, ma ha comunque abbastanza potere da permettergli parecchi danni. Specie, se quella serpe lo aiuta. Il miraculous della farfalla e del pavon in quelle mani, posso scatenare l'inferno! "
Mio padre annuì, e andò verso l'enorme dipinto raffigurante mia madre. Premette con sicurezza alcuni punti, apparentemente a caso, sulla tela. Questi, con mia sorpresa, rientrarono come pulsanti, aprendo nel pavimento un grosso buco rotondo, largo abbastanza da farci passare una persona adulta. Ero allucinato a dire poco. Era... un passaggio segreto?
"Si passa da qui. Come lo abbia scoperto lui, non so dirlo... "
"Non mi stupirei, se qui dentro ci fossero telecamere nascoste. Il pericolo viene da dentro, non se lo dimentichi."
"Papà... perché c'è questa roba nel tuo studio?" Chiesi, facendomi avanti, confuso.
Mio padre mi guardò fisso, un alito di mal celata sofferenza negli occhi.
Fece per aprire bocca, ma con la coda dell'occhio, vidi Marinette osservare il buco nel pavimento, per poi prendere di sana pianta e infilarci dentro le gambe.
"Ehi, dove credi di andare, tu?" Chiesi, acchiappandola al volo prima che saltasse dentro.
"Parla con tuo padre. Io devo sistemare due cosette qui sotto."
Denegai, e mi voltai verso mio padre.
"Ho un mucchio di domande da farvi, a tutti e due, e nessuno si muoverà da qui, finché non avrò finito!"
"Non ho tempo di spiegarti niente, adesso, sta per succedere il pandemonio, e devo impedirlo!"
"Lo puoi fare dopo, ora mi spieghi! Chi ha preso i miraculous della farfalla e del pavone, e che accidenti facevano qua dentro? E che cos'è questo tunnel, nel pavimento?"
"Troppe domande, tempo scaduto. Io vado."
E prima che potessi fermarla, si calò nel buco nel pavimento.
"Ma... oh, quanto detesto quando fa così, maledizione!" Sbottai, e mi infilai anch'io nel tunnel.
A dire il vero mi faceva impazzire, quando faceva così. Ma non quando lo faceva a me!
"Ok, stammi a sentire... " dissi rivolto a mio padre, ormai quasi isterico. "Non muoverti da qui, almeno finché non torno! Mi devi diverse spiegazioni, signorino!"
Non gli diedi il tempo di aggiungere altro, e mi lasciai cadere nel tunnel anch'io.
Atterrati poco dopo, in un luogo buio e dall'aria un po' viziata.
"Marinette?" Chiamai, tastando l'oscurità.
"Oh dio, ma perché mi hai seguita?" Rispose lei, e nel buio prese la mia mano.
"Perché è questo il mio posto." Risposi, con naturalezza.
"No, il tuo posto è al sicuro!" Mi apostrofò lei. "Non posso combattere e proteggerti allo stesso tempo! Sono da sola, in fin dei conti... "
"Tu non sei mai sola. E di solito sono io quello che proteggo, non quello che viene protetto."
"Che significa?" Chiese lei.
Io non risposi.
"Il famigerato ladro lo sa chi sei?" Chiesi, evasivo.
"Sì." Rispose lei, osservandomi allibita. "Crede di avermi sottratto il miraculous, ma l'ho gabbato. A quest'ora, dovrebbe averlo capito, però... "
"Bene. Troviamolo, ora. Al resto, penseremo dopo... "
"Tu devi tornare di sopra!" Insistette lei. C'era una nota di disperazione, nella sua voce. Aveva paura per me.
"Non preoccuparti, e fa come ho detto."
Lei sospirò, ma annuì.
"Ok. Ora cerchiamo quel ladro."
"No, tu adesso torni lassù, per piacere! Non permetterò che ti venga fatto del male... "
Io la ignorai, e prendendo il telefono dalla tasca, illuminai la via.
"Nessuno mi farà niente, non temere." Ed era vero.
Il ladro forse sapeva chi era lei, pensai, prendendola per mano e facendole strada.
Ma dubitavo fortemente... che sapesse anche chi ero io!









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