Adrien

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Avere una fidanzata, mi aveva dato un po' alla testa.
Sapere che era colei che avevo lottato tanto per conquistare, mi rendeva euforico.
Pensare che, contemporaneamente a tutto questo, l'amore della mia vita si era rivelata essere la mia migliore amica... mi aveva fatto andare letteralmente di volta il cervello!
Mi svegliavo al mattino sorridendo come un ebete, e la prima cosa che mi passava per la mente... era Marinette.
La chiamavo in continuazione, sia se non riuscivamo a vederci, sia se ci saremmo visti entro pochi minuti.
Capitava molto di rado, che non ci vedessimo per un tempo troppo lungo. Non lo permettevo. L'idea di dover stare lontano da lei per più di un giorno, mi mandava al manicomio.
Se avevo qualche impegno lavorativo, tipo servizi fotografici o interviste, la portavo con me.
Se erano eventi in cui non potevano partecipare gli estranei, tipo interviste o eventi mondani a cui mi invitavano, il giorno dopo mi davo malato con tutti, e mi dedicavo completamente a lei.
Le inviamo messaggi, regalini, fiori...
So che poteva risultare melenso, soffocante... ma non me ne importava niente, ero innamorato pazzo!
La situazione con le famiglie, poi, inzuccherava il tutto ancora di più.
I genitori di Marinette erano il massimo!
Suo padre mi faceva entrare in laboratorio, e con la scusa della cavia per gli esperimenti, mi mangiavo dio e tutti i santi!
Sua madre, invece, mi aiutava a metabolizzare lo stress dei miei mille impegni giornalieri, con il tai chi e il tè verde al gelsomino.
Avevo la pace interiore di un santo, grazie a lei.
Nonna Gina? Un mito indiscusso!
Si imparava più roba sulla cultura degli altri paesi da lei, che guardando un miliardo di documentari.
Era stata talmente felice di sapere che ero diventato il fidanzato di sua nipote, che mi aveva autorizzato a chiamarla nonna. Mi commosse profondamente, questo gesto...
Nonno Roland... beh, lui era nonno Roland, poco da aggiungere.
Era stato felice che perlomeno non avessi piercing o tatuaggi.
Però, non c'era verso di convincerlo che ero biondo naturale...
A breve, era in programma un bel viaggetto a Shangai, terra nativa della madre di Marinette, per conoscere il resto della famiglia.
Suonava tanto come un fidanzamento ufficiale... e la cosa mi piaceva un sacco!
La mia di famiglia, invece... beh, lì la situazione era un po'... diversa, ecco.
La mia famiglia... erano solo mio padre, mia madre, mia zia e mio cugino. Fine.
Mia madre, dopo l'intervallo di sonno forzato, andava rifiorendo ogni giorno che passava. E tutta la famiglia le andava dietro. Sembrava Persefone di ritorno dagli inferi che riportava la primavera nel mondo.
Lei e Marinette si erano prese all'istante.
Mamma adorava farsi coccolare, e a Marinette piaceva un sacco prendersi cura di lei.
Si spazzolavano i capelli, si facevano le unghie, e guardavano vecchi film sdolcinati insieme. Sembravano sorelle.
Sarei stato a guardarle per ore...
Papà... beh lì Marinette aveva pochi sbocchi, come ogni altro essere umano al mondo.
Non fosse che, la mia dolce metà, aveva dalla sua un bell'asso nella manica, da giocare: la moda.
Rimasi sbalordito, di quanto facilmente mio padre di fosse adeguato alla costante presenza di Marinette in casa, e tutto grazie alla moda.
Parlando la stessa lingua, mio padre la fece entrare nelle sue grazie senza neanche accorgersene.
Quando, poi, gli arrivò all'orecchio che Ivette Lamorliere l'aveva adocchiata alla festa di suo marito, divenne persino possessivo nei suoi confronti. Se andavamo da qualche parte dove poteva avvicinarla la concorrenza, non la mollava un secondo, come un'aquila di guardia alle uova.
Si parlava di miracoli, qui...
Mia zia e mio cugino... boh, non saprei.
Felix più stava alla larga, più ero contento.
Gli volevo bene, era mio cugino, e tante belle cose, ma... vederlo sempre con gli occhi incollati alla mia fidanzata, mi faceva incavolare di brutto..
Quindi ciao, ci vediamo a natale e pasqua...
Mia zia Amélie... 
Beh mia zia, era mia zia.
Era una versione di suo figlio al femminile, a mio parere.
Mamma, saltò fuori, non ci andava chissà quanto d'accordo.
Forse in passato, aveva puntato mio padre, chissà...
Tirate le somme, ero felice che in famiglia, mia o sua, fossero felici per noi. Ma anche non lo fossero stati, poco mi sarebbe importato.
Ero felice io, per tutti quanti. E questo bastava.
Ero felice in modo incontenibile.
Avrei voluto salire sulla punta della torre Eiffel, e gridare al mondo, quanto ero felice!
Mi avevano dato tutto, nella vita. Non mi era mai mancato nulla.
Eppure, ero sempre stato infelice.
Solo, e infelice.
La solitudine che avevo patito, specie nell'ultimo anno e mezzo, aveva scavato un solco assai profondo, in me, una vera e propria voragine.
Un vuoto simile, mi dicevo, chissà se si colmerà mai. Chi avrà mai, tutta questa forza, in sé, per curare questa ferita?
Chi? Semplice.
Ce l'aveva la creatura minuta e delicata, se ora stava seduta in mezzo alle mie gambe, il fido quaderno dei bozzetti tra le braccia.
Ci eravamo rintanati sul suo piccolo balcone, in uno di quei giorni in cui facevo perdere le mie tracce ai paparazzi.
Avevamo steso un plaid a terra, improvvisando una sorta di pic-nic. Papà Doupeng ci aveva fornito il rancio: pane fresco, crema al cioccolato, croissant e pasticcini. Mamma Doupeng-chen una bella caraffa ghiacciata di tè Darjeeling, il mio preferito. Dio li benedica!
Una meravigliosa estate parigina, a far da cornice al tutto.
Mi sentivo così sereno e felice, che persino il vento tra i miei capelli e il sole sulla mia pelle, sembravano più piacevoli. Ero... in paradiso.
Presi il cellulare da una tasca, mi misi in bocca il meraviglioso biscotto al limone che stavo sgranocchiando, e mandai un messaggino a Marinette:
Ti amo ❤
Lei sentì il telefono vibrare sul tavolino. Si sporse, e lesse il messaggio. Fece una faccia a metà tra l'esasperato, e il divertito.
"Ti amo anch'io, Adrien, ma non facevi prima a dirmelo? Sono qui..."
"È più romantico, così, no?" Le risposi.
Lei mi guardò dal basso, la testa contro il mio sterno, inarcando un sopracciglio.
Io, per tutta risposta, le baciai la punta del naso.
Lei mi sorrise, e mi fece un grattino sotto il mento, tornando al suo figurino.
"Rallenta un po', con quei pasticcini. Mi stai riempendo i capelli di briciole... "
Io appoggiai il naso ai suoi capelli corvini. Profumavano di gelsomino.
"Non puoi lamentarti. Scommetto che non l'hai mai avuta, una forfora così dolce..."
"Io non ho mai avuto la forfora!" Protestò lei, cercando di separarmi dal mio dolcetto. "Sul serio, micetto! Se continui ad abbuffarti così, addio modello... e io so che ne morirei!"
Io ridacchiai, mettendomi in bocca una madeline.
"No, perché? Cambio solo categoria, mal che vada. Tu e papà disegnerete la nuova linea: moda Agreste per taglie forti!"
La vidi sbarrarmi due occhi grandi come i fanali di un camion. Scoppiai a ridere, e le rubai un bacio.
"Che c'è? Non mi ameresti più, se mettessi su qualche chilo?"
Lei mi guardò truce, e mi diede una schicca sulla fronte.
"Non dire scemenze! Io ti amerei anche se diventassi Renee Lamorliere 2.0, e lo sai... "
Mi corse un brivido lungo la schiena.
"Mi butto nel Tamigi con Ivan in braccio, se divento come quel tizio... "
Marinette scoppiò a ridere, mentre io mi alzai per andare a versare due bei bicchieri di tè freddo.
Mentre osservavo il liquido ghiacciato atterrare tra i cubetti di ghiaccio, trascinandosi dietro un paio di fettine di limone, mi accorsi di un dettaglio nella frase di Marinette.
"Marinette... " dissi. Lei non smise di disegnare, ma emise un verso che confermava che stava ascoltando.
"Amore... sbaglio, o mi hai chiamato... micetto?"
Lei alzò un attimo la testa dal suo quaderno, e mi guardò.
"Si, mi pare di sì. Perché?"
Feci spallucce, e le porsi il tè.
"Niente di che. È solo che... non mi hai più chiamato così, da dopo che papà ha chiuso... beh, l'attività, ecco."
Marinette bevve un gran sorso del suo tè, e appoggiò il bicchiere accanto a sé, meditabonda.
"Già... non ci avevo fatto caso, ma effettivamente... è una vita, che non uso quella parola."
Io mi sistemai di nuovo dietro di lei, e me la tirai più vicina, cincendole la vita con le braccia, il mento sulla sua spalla.
"Lui ti manca, forse? " la buttai lì.
Marinette fermò di colpo la matita sul foglio, e si voltò a guardarmi.
"Mi manca chi, scusa?" Chiese, stupita.
Io non parlai. Mi limitai ad alzare la mano destra. Il sole rimbalzò sulla superficie liscia e argentea del mio anello.
Lei rise piano.
"Come può mancarmi? Lui sei tu.
Sei sempre stato tu. Non è una persona che vive su un altro pianeta, dove non  posso né vederlo, né parlargli.
È qui, dentro di te. Chat noir non può, e non potrà mai mancarmi, perché... lui non se ne è mai andato. È ancora qui, con me."
Stavolta fu lei, a baciarmi. Un bacio al tè freddo al limone, a dir poco afrodisiaco.
"Perché tu, invece? Senti mai la mancanza di milady?" Mi chiese.
Io le accarezzai dolcemente il viso.
"Non direi... era carina, questo si. Ma... era un po' testarda, e decisamente troppo piena di sé. E tremendamente permalosa, aggiungerei... "
"Senti un po', tu... " protestò lei, guardandomi male.
Io le rubai un altro bacio.
"Visto? Avevo ragione... "
Marinette pescò dal suo bicchiere un cubetto di ghiaccio, e cercò di infilarlo  dentro la mia maglietta, giù per la mia schiena.
Io però, la afferrai per la vita, e la sollevai, facendola girare. Lei rise fino alle lacrime.
"Lo vedi?" Mi disse, abbracciandomi. "Tu sei chat noir, con o senza costume e maschera. Lui è la metà esatta della tua anima. E della mia... "
Posò la sua fronte alla mia. Era talmente bella, che mi fece venire i brividi.
"E così anche per me, amore mio. Tu e io, contro il mondo... per sempre. " le sussurrai.
Avevo solo 14 anni, quando ho pronunciato queste parole. Si può anche pensare che i miei sentimenti, come pure io stesso che li provavo, fossero un po' immaturi, per pronunciarsi in quel modo tanto solenne.
Ma l'amore non ha nome, e neppure un età. Arriva nella vita delle persone senza preavviso. E se mette radici abbastanza profonde nel cuore di chi gli dà asilo, rimane lì per l'eternità.
E il mio cuore da quattordicenne, era stato una dimora perfetta.
Amavo Marinette da morire, quando ero un ragazzo... e la amo allo stesso modo oggi, che sono diventato un uomo.
Anzi...
Oggi, che sono diventato suo marito, e sto seduto nel giardino di casa nostra a guardare nostra figlia giocare nel prato, sento di amarla ogni giorno di più.
La mia piccola Emma ha solo quattro anni, eppure riesco già a intravedere il suo caratterino. E che caratterino, aghiungerei!
È identica a sua madre in tutto e per tutto, testa dura e determinazione inclusa. Ma ha molto anche di me, specie quando passa davanti a uno specchio...
Ero letteralmente pazzo di lei!
"Papà, ho fame!" La sento gridarmi.
"Va' a lavarti le mani, allora, che facciamo merenda!" Le rispondo.
Emma annuisce, e trotterella verso casa.
Approfittando di quel momento di solitudine, osservo il mio vecchio anello.
I monaci, neanche a distanza di anni, hanno mai capito cosa sia capitato, quel giorno.
Quella strana energia uscita dal mio anello e dagli orecchini di ladybug... non aveva spiegazione.
Ma dopo la nascita di mia figlia, a coronamento del mio perfetto sogno d'amore con sua madre, io sentivo dentro di me di sapere la risposta.
Un antico potere come quello dei miraculous, poteva essere sopraffatto solo da un potere ancora più forte e ancora più antico. E in natura, la forza più antica e forte conosciuta... era l'amore.
Solo l'amore poteva vincere, in quel momento di profonda oscurità.
L'amore, il mio e quello di Marinette, aveva annullato il potere dei miraculous, svegliando me e mia madre dal nostro sonno incantato.
Ne ero più che certo.
Come ero stato certo, fin dal primo istante, che io e ladybug ci appartenessimo a vicenda.
E non sbagliavo.
Due anime affini si sentono, si chiamano. Si cercano.
E se vengono divise, si ritrovano in fondo al sentiero intrapreso per farle separare.
Perché è questo, che deve accadere, se si amano davvero.
Sarà questo, ciò che un giorno dirò a mia figlia.
Non servono poteri magici, né gioielli miracolosi, bambina mia...
... nella vita, l'unico potere che serve, è l'amore.

FINE








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