Capitolo 20 "Pensieri di un sopracciglione"

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Ancora una volta feci finta di nulla, nonostante avessi una voce interiore che oltre a lamentarsi come al solito dello sporco continuava a dire con una voce da gallina che dovessi seguirla e chiederle tutte le spiegazioni che meritavo, anche se forse non ero più convinto di meritarle.
Tuttavia mi costrinsi a credere che il suo fosse un semplice sfogo e che in verità io potevo farci poco e niente. Anche perché non avrei mai mosso un dito per aiutare quella rompiscatole. Sia chiaro.
Eppure perché mi sono sentito stretto in un pugno quando mi ha ricolmato quello sguardo furente? Come se fossi andato a sbattere contro il sole, come se avessi bevuto d'un sorso il tè bollente senza soffiarci su per minuti interi. Ma che pensieri smielati e inutilmente poetici e metaforici da far star male faccio?
Mi sgridai da solo, sentendomi sciocco anche solo a fantasticare su fantasie -appunto- lontane e inafferrabili. "Fantasia" poi, che parola stupida, l'ho sempre definita una banale circonlocuzione, in fondo a che mai mi sarebbe occorsa? Di tutte le parole dette, "fantasia" è forse una delle meno utilizzate dal sottoscritto, insieme ad "amore", "tragedia", "favoloso", "bugigattolo", e "zuccheriera".
La prima e l'ultima le detesto ampiamente, ma non è del mio vastissimo vocabolario personale che ho l'onere di narrare, tra l'altro sembrerei anche uno sbruffone, cosa che -senza ombra di dubbio- non sono. Non mi perdo più in chiacchiere però.
Sbuffai con l'intento sciocco di farmi sentire da lei che stava ancora sul piano, per attirare la sua attenzione.
Avere venticinque anni e dimostrarne otto, signori della corte.
A parte i monacali rimproveri che mi volgevo, tra l'altro innervosendomi con me stesso dicendo di dover farmi gli "affari miei" (per non infangare questo garbato scritto che sono riuscito a portare avanti fin qui, evito di ripetere completamente tutti gli insulti che rivolgevo al "me" interiore.), mi affrettai a non bruciare più tempo e mi costrinsi a forza a concentrarmi solo ed esclusivamente sulla mia squadra e sulla spedizione che avremmo dovuto affrontare di lì a poco.
Ci riunimmo tutti giù, io già teso come le corde di un violino per i motivi che di sicuro avrete appreso.
«Allora?! Ancora così stiamo?! Non abbiamo tutto il giorno, mocciosi.»
Scattarono tutti sull'attenti, controllai velocemente con lo sguardo che non mancasse nessuno e quando stavo per rendermi conto che proprio quella disgraziata della mia parigrado non fosse presente sbucò dalle mie spalle con le nostre borracce d'acqua in mano.
«Mi raccomando ragazzi. Solo se state morendo di sete o per soccorrere qualcuno in caso di vera e propria emergenza, è mezzo litro. Non dovete appesantirvi troppo.»
A volte mi stupivo di come fosse capace di camuffare il suo umore, come riuscisse ad essere severa, premurosa, dolce, acida, tutto insieme. Come dalla sua faccia impassibile si riuscisse a percepire tutto l'affetto che provava per la nostra squadra, per cui avrebbe irrimediabilmente dato la vita.
I ragazzi, in riga, annuirono, mentre afferravano la sacca d'acqua. La porse anche a me, per ultimo, facendo sfiorare le nostre mani. Sussultò, ci guardammo negli occhi.
Un brivido mi attraversò, creandomi un lieve rossore.
«Che mi guardi? L'hai avvelenata per caso?»
La buttai sul ridere, parlando sardonicamente con un impercettibile -tranne che per lei- ghigno sul viso. Alzò gli occhi al cielo, riuscii a scorgere i sorrisetti divertiti dai nostri alterchi della nostra squadra.
Me la sbatté addosso, facendo uno sbuffo.
«Ah ah ah... Quanto sei simpatico. Prendila e sta' zitto, mi hai dato un'ottima idea per la prossima  volta. Ora è tardi per andarla a svuotare.»
Sorrise beffarda, per poi intimare ai nostri sottoposti di rompere le righe e di montare in sella. Ci saremmo riuniti al resto della legione davanti il cancello di Trost.


__
Gagliardo e poderoso, senza soffermarsi a rispondere alle affermazioni colme d'ignoranza dei paesani e senza mai tirarsi indietro in nulla, il comandante Smith sfilava insieme al resto dei soldati per le strade di Trost. Quella mattina non aveva smesso di pensare, di domandarsi se sarebbe andato tutto bene, di pensare a diversi piani di riserva -pur sapendo che la sua prediletta già lo stava facendo al suo posto-, di ricordare.
Quella mattina sapeva e sentiva dentro di sé che qualcosa fosse diverso. Mentre camminava adagio in sella al suo destriero rifletteva su tutte le anime che oggi non avrebbero rincasato per colpa sua.

"That rose blossomed in the ice" 🌹[LevixReader] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora