Capitolo 21 "Mi sembrava che si dicesse diavolo per benda"

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La squadra procedeva bene, Eren al centro, tenuto sotto controllo dai due capitani.
In verità più che per controllare che non si trasformasse per evitare che si facesse male come un idiota; in meno di due ore avrebbero raggiunto la base accampata prima della foresta di alberi giganti, T/N guardava di sottecchi tutti i suoi compagni -quelli vicini a lei-.

Un boato lamentoso si dipanò e tutti si voltarono, a meno di trenta metri un classe sei.
Era grande e complicato su terreno piatto. Non era quello che cercavano tuttavia, sarebbe stato meglio farlo fuori.
«Andate avanti!» gridò la ragazza , vedendo Eren sguainare le spade per prevenire qualche mossa azzardata; forse era il caso di ignorarlo e muoversi a raggiungere la base.
Sentì una fitta alla testa, vacillò un secondo.
«Le retroguardie?!» disse il castano nel pallone. Levi si voltò, vedendo la sua collega non rispondere, troppo presa dal tenere lo sguardo su un punto fisso tentando fortemente di far svanire il suo malessere. Il corvino ci fece caso, decise di tacere però, per evitare drammi inutili in situazioni altamente instabili.
«Non è compito nostro moccioso, concentrati ed esegui gli ordini.»
Così fecero con il magone, accelerando il passo in sella ai loro cavalli, il corvino rallentò per poi passare dalla parte della sua collega ancora scossa dal dolore di prima.
«Non si ferma.» lo videro avvicinarsi coi loro occhi al cuore della formazione, si guardarono tra di loro, non si dissero nulla.
«Avanzate! Ci mettiamo un attimo!» dissero di sfuggita, mentre la ramata si buttava col busto in avanti ad afferrare le redini dei due cavalli, visibilmente preoccupata per i due capitani.
Il duo, splendidamente coordinato, con un balzo si accinse ad immobilizzare le gambe del gigante; poi saltarono ancora dando una botta di gas.
Un'altra fitta. Alla ragazza sembrò di sprofondare, perse lievemente quota.
«Cazzo T/N vai sulla nuca!» sentì gridare e fu quello a spingerla a rimettersi in piedi.
«Ci sto provando dannazione!» un'altra ancora, più forte.
Si diresse velocemente, grazie ad una piroetta in aria, vicino alla nuca. Dovevano tranciare allo stesso tempo: l'unico vincolo.
"Devo immediatamente fermarmi, mi sento cedere"
Con un gesto forsennatamente pieno di disperazione ella non attese il suo compagno ma si buttò direttamente a lame sguainate sul titano, tranciandolo perfettamente.
Lo sentiva -il corvino- che gridava il suo nome con rabbia. No, forse non lo sentiva più.
Mollò la presa sulle lame e sul gas mancandole la forza di stringere ancora, di conseguenza precipitando giù fino a terra priva di appigli dove appoggiarsi.
Udiva perpetue le urla dei suoi compagni d'armi, tuttavia non riusciva a rispondere più al suo corpo; rotolò battendo la testa, ma aveva già perso i sensi.



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«Papà?... Che fai? Perché hai quella... Ah!» l'uomo -visibilmente drogato- era tornato di notte tarda a casa -situata nella sottospecie di attico che si trovava nella caserma- mentre tutta la legione dormiva ai piani sotto del dormitorio, vedendo le sue figlie sveglie.
La più piccola, di quattro anni e la più grande, di otto.
Con uno sguardo tutt'altro che rassicurante le aveva addossate entrambe al muro, circondandole con le sue possenti braccia da cui si intravedevano livide vene pulsare avidamente sulla pelle di porcellana. Il fiato corto e affannato e l'alito che emanava un fortissimo odore di Gin, il pomo d'Adamo che faceva su e giù ritmicamente -sul quale si concentrò la più piccola, cercando di distogliere l'attenzione dal resto-, la fronte sudata e i ciuffi lunghi appiccicati che ricadevano sopra agli occhi, che le fissavano come un leone guarda la sua preda.
Mari aveva paura, T/N pensava che con suo padre sarebbe stata al sicuro e che non c'era nulla da temere. Spalancò la bocca sentendo troppo dolore perfino per gridare, quando le arrivò il primo colpo. È probabile che si sia udito il suo cuore infrangersi a terra mentre lasciava spazio alla consapevolezza che invece era proprio dall'uomo che l'aveva messa al mondo a dover scappare. La più grande sussultò dal terrore quando vide la cintura dell'uomo colpire violentemente sua sorella. Non seppe cosa fare, allungò una mano verso di lei e le arrivò un colpo sulle mani che si ritirarono immediatamente.
«State ferme. Ho detto che dovete stare ferme o vi uccido. Chiaro?» aveva biascicato sottovoce, le uniche parole proferite da quando era tornato a casa, le due si guardarono per poi annuire, spaventate a morte.
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"That rose blossomed in the ice" 🌹[LevixReader] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora