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«Dobbiamo rientrare.» 
«Si, grazie.» Montò in sella di nuovo con un movimento fluido. «Possiamo fare ancora una corsa?» 
Vide per un secondo un lieve sorriso dell’uomo che però nascose subito. Le fece un gesto affermativo con la testa. 
Amyna fece di nuovo un urlo nello stile arabo e partì al galoppo seguita dai quattro cavalieri. 
Arrivò di corsa alzando un polverone, rideva accarezzando il collo del cavallo. «Grazie, King, sei bravissimo.» 
Si guardò intorno. «Posso avere una mela o una carota» chiese quasi timidamente. In pochi istanti qualcuno le mise fra le mani una carota che lei portò alla bocca del cavallo, dopo aver mangiato le si appoggiò sul collo masticandole il tessuto del velo. «No, King, questo non si tocca, per rispetto...» Lui sembrò capirla e smise, qualcuno le prese le redini dalle mani e lo portò alle stalle. Entrò dentro chiedendo di farsi accompagnare nelle sue stanze, era ancora tutto nuovo, ci si poteva perdere là dentro. Chiese di farsi preparare un bagno caldo e di essere lasciarla sola.
Se le avrebbero concesso quelle piccole libertà, alla fine non sarebbe stato male. Non amava suo padre, lo odiava per usarla come un oggetto. 
Odiava la perdita della sua libertà e dei suoi diritti. Ma amava il deserto,  le dune, la piccola oasi, la sabbia. Era come se quelle cose le avesse nel sangue, come la corsa con King. Avrebbe voluto lanciarlo in una vera corsa, aveva sentito che scalpitava, che volendo sarebbe andato più veloce, ma i cavalli delle sue guardie erano più lenti e non poteva sembrare che volesse scappare.  Poi le avrebbero tolto quella gioia.

***

Ogni giorno faceva la sua passeggiata con corsa fino all’oasi. Era bellissimo e in quei pochi momenti si sentiva viva e libera. Ogni cosa che faceva veniva controllata. 
Ogni giorno andava nella biblioteca prendendo libri, leggendoli: all’università aveva studiato lingue, parlava correttamente inglese, francese e tedesco, e l’arabo le scivolava sulla lingua come se l'avesse sempre parlato costantemente. Pensò per qualche attimo: sì lo aveva nel sangue.
Trovò alcuni libri scritti in arabo, che prese mettendoli nel mucchio che si era prefissata di leggere.
La porta della biblioteca si spalancò, anche se non lo conosceva bene sapeva che era suo padre, era l’unico che sarebbe potuto entrare passando fra le guardie. Le si avvicinò guardando il mucchio di libri appoggiati sul tavolino, e lesse i titoli di quelli in arabo, erano favole per bambini. Ma le serviva per rinfrescarle la memoria.
Lui la guardò. Lei no, tanto da dietro il velo che ne capiva.
Sapeva che doveva rimanere educata. Altrimenti avrebbe perso alcuni privilegi. 
«Buon pomeriggio padre. Spero non ti dispiaccia che io legga.»
Per un secondo lui sembrò sorpreso che l’avesse chiamato padre, e non come l’ultima volta “mostro bastardo”. 
«No, va bene.» Rispose infine. Si avvicinò alla libreria prese due volumi e li appoggiò al mucchio sul tavolo. Erano due libri di poesie di due autori arabi.
«Volevo ringraziarvi padre, anche per il vostro permesso di poter cavalcare. King è stupendo.»
La guardò stringendo gli occhi. «King?»
Sotto il velo si sentì arrossire. «Scusate padre, io chiamo così quel cavallo perché ha troppi nomi altisonanti e non riuscivo a ricordarli.»
Un lieve sorriso gli si formò sulle labbra. «King, va bene.» Disse infine. Prese un libro e si mise seduto su una poltrona in silenzio.
Rimasero lì, ognuno a leggere il proprio libro per qualche ora, fino a che fu annunciata la cena.  Lei avrebbe cenato nelle sue stanze, non riusciva a mangiare con il velo.
«So che ceni nelle tue stanze. Ma vorrei che cenassi con me.» Le disse infine.
Lei sospirò. «Come desiderate, padre.» 
Lui le sorrise.

***

Cenarono in una piccola sala, era bellissima le ricordava molto i film anni sessanta con i colori rossi e oro che spiccavano dappertutto. 
Suo padre la guardò dopo un poco. «Noto, che non mangi carne.»
«Infatti, all’inizio evitavo solo le carni proibite, poi nel tempo ho eliminato tutta la carne.»
«Sei stata cresciuta come, una musulmana occidentale, loro hanno troppe libertà.» Ringhiò l’uomo.
«Sono stata cresciuta secondo il corano, ero libera perché potevo scegliere e non ero un oggetto di scambio, ho sempre rispettato la mia religione e non ho mai fatto nulla per portare vergogna alla mia famiglia. Se questo volete chiamarlo occidentale, fate pure, signore, ma peccate in obiettività.»
«Per questo tuo atteggiamento potrei farti frustare.» Ringhiò lui.
Per qualche attimo sudò freddo non riuscendo a trattenersi gli rispose a tono. «Rovinando così la vostra merce di scambio? Non siete uno sciocco, sapete che valgo più perfetta che con cicatrici da frusta.» Sorrise sotto il velo portando la forchetta con il cibo alla bocca.
Dopo il primo momento di shock, suo padre la fissò. «Hai ragione, quindi anche le cavalcate ti mettono in pericolo, forse sarà il caso che tu non le faccia più.»
Lacrime di rabbia le scesero dalle guance, rimase in silenzio.
Suo padre diede un colpo al tavolo, era rabbioso. «Sei proprio mia figlia!» Esclamò sospirando. 
«Da qualcuno devo pur aver preso.» Rispose  lei secca, mordendosi subito dopo la lingua.
Dopo un primo attimo di sbalordimento, suo padre iniziò a ridere, poi strinse gli occhi guardandola. «In mia presenza puoi toglierlo.» Fece un gesto con una mano indicandole il velo.
Lo levò e tolse anche la cuffia che nascondeva i capelli, portò la treccia di lunghi capelli neri su una spalla. Evitò di guardarlo, avrebbe visto tutto il suo disprezzo. Poteva amare il suo paese, ma non il trattamento riservato alle donne. E soprattutto odiava le minacce fatte a sua madre.
«Posso scrivere a mia madre?» La voce le uscì tremante e flebile.
«Scriverle?»
Lei annuì.
«Perché non chiamarla al telefono?» La voce di lui era ironica.
«Perché non ero sicura di avere il vostro permesso.» Si guardava le mani nervosamente.
«Potrai chiamarla: in presenza di persone fidate e in vivavoce.»
Lei sorrise alzando lo sguardo. «Va benissimo, ho nostalgia di lei e del mio fratellino.»
Lui fece un gesto con la testa e poi si alzò. Lei rimise i capelli nella cuffia veloce e rimise il velo.
«Il prossimo mese verrò…» Per un attimo sembrò imbarazzato. «Con il tuo promesso sposo.»
Per fortuna aveva il velo ora o avrebbe visto tutta la sua rabbia, non gli disse nulla si alzò e andò verso la sua stanza.
Si spogliò e si mise la camicia da notte di seta bianca. Era così nervosa, camminò avanti e indietro arrabbiata. Prese uno dei libri arabi e lo sfogliò, era il primo dei due libri di poesie che suo padre le aveva dato, leggeva e le recitava. 
Ormai persa nella lettura. La lingua che si arrotolava con quelle parole d'amore verso quel paese di sabbia, deserti e culture differenti.
Qualche parola le sfuggiva nel significato, non pensava che fosse così tanto arrugginita. Eppure era la migliore del suo corso di arabo. 
Prese un foglio e una penna e scrisse le parole che non comprendeva. Mano a mano che leggeva riempiva il foglio di scritte. Andò in biblioteca cercando un dizionario, invece trovò altri libri di poesie degli stessi autori. 
Li lesse tutti e c'erano altre parole che si aggiungevano, alla fine le guardò e comprese che erano sempre le stesse e non riusciva a tradurle.
Chiese ad una domestica se c’era qualcuno che sapesse leggere e scrivere. Per chiedere di leggerle alcune parole e spiegarle il significato. La donna annuì con un sorriso dolce, parlava poco lei, però avevano provato una simpatia reciproca dal primo giorno.

La Regina del Deserto **Serie Pink Lady**Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora