IX

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Lily Rose Deep, Motel Desider, Confine stato di Washington.

Non è stata colpa mia.
Non è stata colpa mia.
Non è stata colpa mia.
Non è stata colpa mia.

Mi sfregai con forza la spugna contro il corpo e toccai la collanina con il crocifisso. Presi altro sapone e con la spugna mi strofinai le gambe, le mani, l'addome. Nella mia testa rimbombava un solo ordine: strofina, strofina, strofina. E poi ancora: strofina, strofina, strofina. Altro sapone, altra acqua. Strofina, strofina, strofina. Mi dovevo pulire da quello sporco e dovevo pulirmi dal suo tocco orrido.

Non è stata colpa mia.
Avevo solo dieci anni.
Non è stata colpa mia.
Quattordici anni.
Solo sedici anni.
Non è stata colpa mia.

Sfregai, sfregai, sfregai con forza per togliermi il fantasma di quel tocco, che ancora mi perseguitava a distanza di anni.

Non è stata colpa mia.
Non è stata colpa mia.

Strofina.
Strofina.
Strofina.
Acqua.
Sapone.
Sapone.

Strofina.
Più sapone, più sapone.
Doveva andare via tutto.
Tutto.

Un potente conato di vomito mi fece uscire dalla doccia e piegare sul water. Quei ricordi, esacerbati probabilmente dallo stress delle ultime ore, si erano risvegliati impetuosi e mi stavano soffocando di nuovo. Non era stata la vicinanza con Andrej Kirill Ivanov, il mio ex paziente; anzi, tutt'altro, mi ero sentita stranamente al sicuro di fianco al suo corpo marmoreo, ma quel volto aveva distrutto i piani di una bella dormita. Era ballonzolato con presunzione nel buio della mia coscienza addormentata e mi aveva destabilizzato, era così nitido e preciso, colmo di dettagli e vibrante che mi aveva svegliata.

Non è stata colpa mia.
Non è stata colpa mia.
Dieci anni.
Quattordici.
Poi sedici.
E di nuovo.

Dovevo pulirmi, ancora.

"Lily Rose?" La voce di Mr. Ivanov mi richiamò dalla camera. "Dottoressa Deep?"

Mi avvolsi in un asciugamano e chiusi gli occhi.

Non è stata colpa mia.
Non è stata colpa mia.

Ma l'aria, Dio, l'aria si era fatta di piombo e i miei polmoni non riuscivano ad espandersi. Una prigione di acciaio serrava la mia cassa toracica.

Non è stata colpa mia.

In un flash rividi quel sorriso sadico, quella camminata da predatore e tutte quelle notti.

Gridai.
Gridai così forte, che mi portai le mani alla gola.
Gridai con tutto il fiato che avevo in corpo. Gridai per espellere quel dolore nauseante dal quale non ero guarita.
Gridai in cerca di aiuto.

Non è stata colpa mia.
Non è stata colpa mia.
Non è stata colpa mia.

La porta del bagno si spalancò con forza e mi chinai di nuovo sul water.

"Lily?" Mr. Ivanov mi allontanò con delicatezza dal water e tirò lo sciacquone. "Lily Rose, tutto bene?" Mi sorresse il volto cianotico con le mani, mi scrutò con occhio clinico e quando il suo sguardo si posò sulle mie braccia escoriate, la sua espressione si indurì. "Lily?"

Sollevai gli occhi colmi di lacrime.

"Non è stata colpa mia," sussurrai flebile. "Io non l'ho invitato nella mia camera."

La confusione di Mr. Ivanov durò solo un infinitesimo istante e poi la realizzazione lo sconvolse: chiuse le mani a pugno intorno ai lati delle lunghe gambe e fece scattare la mandibola.

"Lily Rose, ascoltami, se non ti copri finirai per congelare." Mi aiutò a riacquistare la posizione eretta con una dolcezza in netto contrasto al suo esplicito stato d'animo e mi scortò di nuovo nella camera da letto, se così fosse stato possibile chiamarla. "Adesso sistemiamo tutto."

Pazzia | THE NY RUSSIAN MAFIA #2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora