capitolo 1

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Il mio corpo si rifiuta di alzarsi, porca miseria.
Mi sento come se fossi tutt'uno con il letto e a dir la verità è anche abbastanza piacevole.
Mi stropiccio gli occhi e mi guardo lentamente intorno cercando di capire chi sono e in che pianeta mi trovo, come ogni mattina del resto.
Il sole di Brooklyn splende nella mia camera e in un attimo mi ricordo che giorno è oggi.

Merda.

Oggi incomincia di nuovo l'inferno: i compiti, i progetti scolastici e svegliarsi ogni mattina alle 6 in punto.E in generale quella scuola che non mi andrà mai a genio, ma del resto come tutte le altre.
Nel mentre penso al grande odio che provo nel sapere che giorno è oggi, mi rendo conto che sono in ritardo e che rischio di perdere il pullman.

Fortunatamente non ci metto molto a preparare me e lo zaino e corro dritta giù per le scale, rischiando come al mio solito di cadere e vado in cucina.
«Buongiorno sconosciuta.» il mio cuore perde un battito. Subito dopo alzo gli occhi al cielo, è una ragazza, un'altra ancora.
«Mi spieghi gentilmente che cosa ci fai nella mia cucina?» sbotto, e lei da un altro morso al suo toast facendo quel rumore che tanto odio.
«James!» grido, mi farà perdere la voce prima o poi.
«Cosa c'è?» scende assonnato giù per le scale già sorprendentemente vestito e gli indico con un cenno del capo l'intrusa nella nostra cucina.

Lui si avvicina alla ragazza, la prende per mano e la accompagna fuori la porta, per poi sbattergliela in faccia.
Oh dio, ci risiamo.
La ragazza urla arrabbiata e se ne va velocemente, come ogni persona, ogni singolo giorno.

Anche se devo ammettere che il via vai di ragazze è diminuito quest'estate, probabilmente avrà fatto il pieno a quelle dannate feste in discoteca.
Non capisco cosa ci trova di bello la gente nello stare appiccicati a ballare come cozze.

O sono semplicemente io che odio il contatto fisico.

«Hai la delicatezza di un elefante» gli dico e lui mi lascia velocemente un bacio sulla fronte per poi uscire di casa peggio di Usain Bolt.
Sorprendente, non lo faceva da mesi.
Ridacchio tra me e me e mi preparo un panino da portarmi dietro.

***
Le nuvole si muovono lentamente, o forse più veloci, non riesco a capirlo stando dentro questo pullman.

Mi sembra di essere come i bambini, che mentre sono in macchina, chiedono: "mamma, papà, siamo noi che ci muoviamo o sono le nuvole che ci seguono?" perché non ho fatto queste domande? avrei potuto farle, fin quando avrei potuto, ma ero una bambina diversa. Alla mia tenera età, già sapevo fin troppe cose.

E vorrei non averle mai sapute.

Imagination di Shawn Mendes risuona nelle mie orecchie e sento le palpebre che iniziano a rilassarsi, scuoto la testa e mi irrigidisco di botto sul sedile.
Odio questo, odio questo mondo, odio voler abbassare la guardia e non poterlo fare.
Sono di pietra, un blocco di ghiaccio incapace di sciogliersi.

«Posso sedermi?» mi domanda una ragazza con un leggero sorriso, penso abbia la mia età.
Sostengo il suo sguardo per un paio di secondi e mi giro continuando a guardare il finestrino, ma lei sembra sedersi comunque.

Dio, prega che non faccia domande.

L'ultimo giorno di scuola mi ritrovai affianco un ragazzo del secondo anno, impacciato e goffo, e non avevo mai sentito nessuno parlare per così tanto tempo. Mi fece venire il mal di testa.

Il sole mi illumina il viso, facendo brillare i miei occhi verdi. La scuola si avvicina, il bus rallenta, mi alzo lentamente e scendo giù.
Di solito quando qualcuno si siede vicino al mio posto, inizia a farmi mille domande, di qualsiasi genere, e io a malapena presto attenzione, perché insomma: chi ha la forza di parlare di prima mattina?

Mi dirigo verso l'entrata pensando al fatto che quella ragazza, fortunatamente e diversamente dagli altri, non mi abbia fatto nessuna domanda.

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