capitolo 2

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Scendendo dal bus, noto che la ragazza prima seduta accanto a me mi segue, il che mi da fastidio, e non poco.
Mi dirigo verso i cancelli dell'inferno, ma la sconosciuta è ancora dietro di me. Dio se mi irrita.

Sbuffo infastidita e mi giro verso di lei «Il mondo è grande, perché cammini proprio dietro di me?». Lei si toglie le cuffiette e spalanca gli occhi, rivelando un castano chiaro, una sorta di color miele «Fino a prova contraria sei tu quella che intralcia il mio cammino, hai l'andatura di un vecchio che guida un'auto.» dice apatica.

Ma chi si crede di essere questa? «Scusa?» le domando incredula e irritata. Lei fa un ghigno «Ti prego, hai le gambe così corte che potresti sembrare una lattina»

Ripeto, ma chi cazzo si crede di essere? «Senti... -mi fermo un attimo, non conoscendo il suo nome- cosa, non hai il diritto di parlarmi così» le dico, cercando di apparire minacciosa.

Ma a quanto pare, fallisco.

Lei fa un sorrisetto divertito «Altrimenti?» mi sfida. Ma è stupida o cosa? «Altrimenti il sorriso che hai te lo farò sparire.» dico soddisfatta della mia risposta incrociando le braccia al petto.

Lei ride «Non credo che riusciresti ad arrivare alla mia faccia, a meno che tu non abbia una scala.»
«Ma sei una stronza!» esclamo incredula dal suo comportamento. Non ci conosciamo, e lei si rivolge così male.

Come se io fossi Mrs.finezza.

Lei alza gli occhi al cielo «Lo so già, non ho bisogno che me lo dica una rompi palle alta come un bonsai.» dice sbuffando, e mi supera, diretta verso la scuola.
La osservo mentre si allontana, con i suoi vestiti neri e le sue cuffiette arrotolate attorno al suo telefono. Quanto odio non avere l'ultima parola.

Perché ho come l'impressione che non sia l'unico caso umano che incontrerò?

Nel mentre il mio sguardo era perso nel vuoto, la campanella è suonata, e mi affretto ad entrare, anche se proprio non voglio.
Come ogni anno, il preside fa un discorso di benvenuto e bentornati a tutti i ragazzi della Stuyvesant High School. Ma per fortuna, per me questo è l'ultimo anno.

Ma, come per miracolo, riconosco una figura fin troppo familiare. «JACOB!» lo richiamo sorridente, non aspettando l'ora di abbracciarlo. 

Lui, spaesato e confuso, si gira su se stesso per riconoscere chi l'ha chiamato, e rido, vedendo che sta facendo la figura di uno stupido. Poi, finalmente, si gira dalla mia parte e viene incontro a me regalandomi uno dei suoi sorrisi più belli.

Io e Jacob siamo migliori amici da quando siamo praticamente nati. Siamo davvero molto diversi caratterialmente, ma sull'aspetto fisico, sembriamo quasi fratelli: capelli neri e occhi chiari, l'unica differenza è l'altezza, lui è praticamente un gigante. Un'intera estate non ho potuto vederlo perché io e mio fratello eravamo troppo impegnati a sistemare la nuova casa in cui viviamo ora.

E anche a capire qualcosa di quel maledetto omicidio di cui ancora capisco poco e niente.

Ma non vedevo l'ora di riavere il mio buon e vecchio Jacob. Lui è l'unica persona, oltre James, con cui io abbia un legame.
Sono sempre vista come la stronza della situazione, e per carità, non hanno tutti i torti, ma con Jacob è diverso, sono una persona migliore quando sono con lui, mi fa sentire..libera.

Mi fa abbassare la guardia.

«Allora... -inizia lui- com'è andata l'estate?» chiede sorridendo. «Beh, sai, scatoloni, nuovi mobili, nuovi vicini, nuovi insulti da sentire perché mio fratello suona la batteria di notte. È un po'come la vecchia casa, soltanto che io e James finalmente abbiamo più privacy.» gli spiego. Lui aspetta che io dica qualcos'altro, vedendo la mia bocca semi-aperta, ma alla fine non gli dico niente.

Non posso dirgli dell'omicidio. Non posso.

Lui sorride un pò confuso e mi riabbraccia, senza preavviso, cogliendomi totalmente di sorpresa «E quest'abbraccio inaspettato?» gli chiedo mentre gli stringo le braccia al collo.

«Mi sei mancata» mi dice staccandosi da me. Sorrido «Andiamo, campione -lo prendo sotto braccio e lo trascino verso l'atrio- abbiamo un lungo discorso da ascoltare»

***

«Ringraziamo innanzitutto i ragazzi che hanno scelto la Stuyvesant High School, la scuola che garantisce...» il preside parla convinto che i ragazzi lo stiano ascoltando, però non ha capito che non frega niente a nessuno, perché a nessuno piace il rientro della scuola.

Mi giro attorno con lo sguardo, seduta praticamente in fondo al grande atrio scolastico, e vedo sempre le stesse scene che ci sono ogni anno.

Un ragazzo si è addormentato sulla sedia e ha la testa a penzoloni, una ragazza chatta con le sue amiche, e chi, come la tipa che ho incontrato prima, ha le cuffie nelle orecchie.

Ma una cosa che però noto di diverso è che un ragazzo, seduto proprio accanto alla ragazza che mi ha insultata, mi sta fissando intensamente.

Alzo un sopracciglio, come per dirgli di smettere, ma lui continua a fissarmi insistentemente.

Mi chiedo come certa gente possa essere così ritardata. Sbuffo e giro lo sguardo, sperando che capisca che non voglio essere osservata.

Ma dopo qualche minuto vedo che non ha ancora staccato gli occhi su di me. Brutto coglione, ce la fai a non guardarmi o devo farti girare lo sguardo a ceffoni?

«E adesso, passiamo la parola a Monica Moore, la capo cheerleader di quest'anno, e a Miles Wheeler, il capo della squadra di football» annuncia il preside.

Alzo gli occhi al cielo. Ormai nelle scuole non conta più l'organizzazione degli studi e la serenità degli alunni, ma le attività extra-scolastiche, come lo sport e le sue squadre.

«Salve a tutti ragazzi -a parlare è Monica, una moretta figlia di papà che crede di avere in mano la scuola con qualche vestito firmato e le cinture Gucci- quest'anno vorrei davvero essere chiara sulle Stuyleader, la nostra squadra cheerleader, e vorrei che mi ascoltaste attentamente: niente sfigate obese, perché qui abbiamo bisogno di stile, non di grasso in più» dice con un'aria da reginetta mancata.

Mi viene voglia di tirarle in testa quel maledetto microfono che ha in mano.

Sono disgustata, e il bello è che gli insegnanti non dicono niente, per paura che la sua ricca famiglia possa fare qualcosa a questa scuola. Patetico.

A prendere il microfono, stavolta, è Miles, il ragazzo che qualunque fanciulla in questa scuola vorrebbe: è biondo con gli occhi azzurri, il ragazzo della porta accanto e pieno di muscoli.

Ma io non mi fido dei biondi con gli occhi azzurri.

«Ciao a tutti ragazzi e ragazze, come ben saprete, quest'anno si terrà il campionato contro la Brooke High School -e qui partono bisbigli e rumori in sottofondo- la scuola che più volte ci ha battuti. Ma io non permetterò che verremo sottoposti ad altre umiliazioni, ci saranno sempre più allenamenti e le iscrizioni sono aperte a tutti, come sempre. Voglio lavoro di squadra, non solo da parte dei giocatori, ma anche da voi, dalla nostra adorata scuola» finisce il suo monologo con uno smagliante sorriso.

Tutti applaudono, specialmente le ragazze, che con gli occhi a cuore, lo guardano sognanti. Ma in questa enorme stanza, in due non applaudono: io e il ragazzo che mi fissava.

Stavolta sono io a guardarlo, e lo vedo alzare gli occhi al cielo, per poi alzarsi dal suo posto e andarsene senza farsi notare.

Bah, ormai la gente strana, la incontro solo io.

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