capitolo 8

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È proprio vero che la vita ti fotte anche solo guardandola. Ti prende in giro. Ti fa a pezzi, ti distrugge e poi gioca con te come vuole e perché vuole.

E tu sei lì a fare da pedina. Come un gioco da tavolo.

«Stinson, alla lavagna.» il professor White è il classico insegnante a cui non importa niente di te, l'importante è che fai l'esercizio corretto, il resto, non importa.

Peccato che io non abbia mai fatto un buon esercizio, se non quando mi va di farlo bene.

Mi detta un espressione da scrivere, e in tutta risposta disegno un elefante sulla lavagna.

La classe inizia a ridere e il professore si gira verso di me confuso «E questo cos'è? cancella, muoviti.»

Il professor White ha gli occhi azzurro ghiaccio, un colore che in prima superiore mi metteva abbastanza ansia e paura, ora mi ricordano solo quelli di mio padre.

«Ma come si permette, guardi che gli elefanti sono carini.» faccio il muso e lui mi guarda male. Dovrebbero dargli una dose di felicità e ironia.

«Se non vuoi che ti metta tre scrivi l'espressione.» dice brusco, anche se già sa cosa sto per dire «Okay, allora mi metta tre e saremo tutti più contenti.» esclamo, disegnando una faccina felice col gessetto.

«Sei all'ultimo anno Stinson, e sei un disastro nella mia materia e probabilmente in tutte le altre, se vuoi diplomarti allora finiscila di ubriacarti e disperarti con tuo fratello e inizia a studiare.» mi si è raggelato il sangue.

Ma chi si crede di essere?
Come sa che bevo?
Perché nominare James?

«E lei dovrebbe imparare a farsi gli affari suoi!» grido ed esco dall'aula sbattendo di proposito la porta.

"Sei un disastro" mi hanno detto questa frase ormai non so quante volte.

Era l'ultima ora, prendo il telefono e scrivo a James che sarò a casa prima del previsto, invio il messaggio e vado dritta a casa.

***

Sono le 18:30, e da come dice l'orologio, è l'ora del whisky.

Mi faccio la doccia, metto un paio di jeans, una felpa nera e le air force.

Apro il cassetto del comodino e prendo 30 dollari dai miei risparmi, alla fine ci ha lasciato proprio una bella somma di denaro. Mi fa proprio pena.

Prendo il telefono sopra il cassettone dei jeans e il mio sguardo si posa sulla foto di papà. Ci siamo io, lui e James. Io avevo 3 anni e James 6, nella foto mi tiene in braccio, mentre papà ci avvolge con le sue braccia.

Tutti e tre abbiamo degli enormi sorrisi sul volto, sorrisi che non vedo da tempo. Io e James da piccoli eravamo come Tom e Jerry, non eravamo mai d'accordo, sempre a litigare, ci odiavamo.

Poi quando le cose sono cambiate in famiglia, ci siamo avvicinati, e anche se continuiamo a prenderci in giro ci sappiamo sempre essere l'uno per l'altra.

Ritorno alla realtà, esco dalla camera e scendo giù per le scale «James io esco, ti ho lasciato il panino sul tavolo.» esclamo nel mentre prendo le chiavi di casa, e quando apro la porta mi trovo una rossa difronte.

«Buonasera, mi ha invitato qui-» James arriva velocemente verso di noi, prende la mano della ragazza rossa e le dà un bacio galante. Troppo per me, bleah.

«Io inizio a salire di sopra, Junior falla entrare e quando esci ricordati di non bere troppo.» alzo gli occhi al cielo e lui corre di sopra a sistemare la stanza degli ospiti, che ormai è diventata la stanza delle ragazze serali.

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