V - Roulette russa

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Seth sa dove trovare Kym. Naturalmente conosce il luogo in cui vive, e sa anche qual è la sua finestra. 

Ha cercato dei sassolini lungo la strada. Non potrebbe mai chiamarla o scriverle su un social network, non è così stupido. 

Colpisce il vetro della sua finestra, lo graffia appena. Ha bisogno di diversi tentativi prima di richiamare la sua attenzione.

Kym pensa che sia solo un'allucinazione, al principio.

Però continua a guardarlo e lui non sparisce. Le fa segno di aprire la finestra. 

Kym ci pensa su soltanto un istante, poi esegue.

«Che ci fai qui?», è una domanda lecita.

«Devi scendere. Adesso. Dobbiamo fare una cosa importante.»

Kym aggrotta le sopracciglia, indietreggia appena. «Perché dovrei fare qualcosa di importante con te?»

Frecciatine che lo scalfiscono in modo lieve. 

No, lui non prova niente. Vuole crederci.

«Vieni qui», ripete, non le fornisce spiegazioni.

Kym sospira. Sa che se non acconsente rimarrà piena di dubbi.

Sperava di ottenere qualche spiegazione in più, ma Seth non è mai stato una persona loquace.

Si sente curiosa, però.

Viva.

Felice, perché è notte, perché non è in camera a cercare di dormire e a farsi sommergere dagli incubi. 

La vita fa male sempre, ma con Seth è più leggera.

Non le risponde, cammina. Vuole che lei lo segua e non faccia troppe domande. Non può ripensarci, non ha scelta. È il destino a scegliere, non Kym.

Finché non la porta nella piccola casa che tempo prima occupava sua nonna. Gli è stata regalata da qualche anno, può organizzarci piccole feste e portarci ragazze con cui passare il tempo.

Kym è lì per un altro motivo.

Seth non riesce a capirlo. Quando arriverà la sua ora? Deve morire o vivere e affogare il mondo nel sangue? Non può controllarlo, non ancora, non di nuovo. 

Solo il destino può deciderlo.

«Ti ho portato qui perché voglio fare un gioco, e penso che tu sia l'unica che acconsentirebbe senza fare troppe storie. Mi spiego meglio: non voglio lacrimoni e pianti disperati. Giochiamo, è davvero semplice», rovista nello zaino, tira fuori la pistola. Ha già inserito il proiettile. È solo uno. Non possono morire entrambi, o per Pan non ci sarà alcuna sepoltura.

Quella situazione non è totalmente nuova a Kym. Lui le ha già parlato della roulette russa, le ripeteva spesso di volerci provare. Quegli attimi le sono rimasti impressi, cicatrizzati in zone amorfe. «Va bene.»

Chiunque fuggirebbe via terrorizzato. Non a tutti piace l'idea di morire.

A Kym non importa della vita, non la vuole. Non è un dono che apprezza, è solo dolore perenne e incessante.

Seth sorride, le sue labbra si stirano laterali, s'inclinano di tetro languore. Vorrebbe sentirsi spaventato, invece non fa altro che pensare a tutto il sangue che scorrerebbe se solo il destino decidesse di uccidere uno dei due.

«Sai già come si gioca, ma c'è qualcos'altro che devo dirti, prima», gira intorno al tavolo circolare al centro della stanza, abbandona la pistola sul legno, solleva lo sguardo su di lei per fissarla. Deve darle la sua parola che andrà come ha stabilito, non possono esserci alternative. «Se dovessi morire io, tu avrai il compito di prendere questa scatola e seppellirla al cimitero, dove ti pare. Se vuoi anche aggiungere qualcosa per farlo sembrare un funerale degno di questo nome è molto meglio.»

Kym inclina il capo a sinistra, si porta l'indice sulle labbra. «Cosa c'è lì dentro?»

«Pan. È morto.»

«E devo fargli il funerale, se muori?»

«Esatto. Se muori tu, invece, vado a seppellirlo io.»

«Non potevi seppellirlo prima?»

«Non ne avevo voglia. Deciderà il fato», conclude, torna a stringere la pistola fra le dita. Fa girare il caricatore, non guarda dov'è infilato il proiettile. «Inizi tu o inizio io?»

Kym scrolla le spalle, è indifferente. «Facciamo testa o croce, io sono la croce», dice, si rovista nelle tasche in cerca di una moneta e la tira fuori. La fa saltare sulla sua mano, poi la riprende, coprendola con l'altro palmo. Tira un sospiro – ha un po' di ansia, è innegabile – e poi scopre la moneta.

Testa.

«Tocca a te.»

È troppo veloce. A Kym sembra di vedere Seth portarsi la canna della pistola alla tempia e quando preme il grilletto vede chiaramente il sangue schizzare da tutte le parti, la calotta cranica distrutta in cocci informi, il cervello riversato in una pozza viscida sul pavimento che si coagula e scorre, intacca le mattonelle bianche, ricopre tutto di rosso.

Kym torna alla realtà. Seth non ha trovato il proiettile.

Questo vuol dire che ha una possibilità di morire, e altre tre o quattro di rimanere viva, Kym non ricorda quanti posti per i proiettili ha quella pistola – d'altra parte non ha mai tenuto un'arma di quel tipo fra le mani.

Seth ha premuto il grilletto a occhi chiusi. Le palpebre abbassate, le mani ferme, come se non provasse paura. Perché difatti non la prova, è il destino a scegliere e gli sta bene ogni sua decisione.

È vivo. Non è ancora il suo momento.

Ora spera solo che lei muoia mentre le loro dita si sfiorano per errore. Sono brividi. È voglia di vederla a pezzi, di sentirla sanguinare, di cercare il suo sangue con la lingua e strapparle la pelle con i denti. Vorrebbe ricoprirla di lividi, vorrebbe vederla morire.

Kym non tentenna. A nessuno dei due importa più vivere, preferirebbero beccarsi quel proiettile nel cranio e sentire silenzio per l'eternità.

Non sono così fortunati.

Il colpo di Kym non ha nessun proiettile. È salva anche lei, e quando lo capisce sente il nodo che le stringe lo stomaco alleviarsi.

Non è vero che non sente niente.

Torna presto la frustrazione. Non ha voglia di vivere ancora in quel posto del cazzo.

Seth non ha voglia di lottare ancora contro l'astinenza. 

Eclissi di cenereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora