Stan non si presentò a scuola.
Non lo fece prima del suono della campana, non lo fece durante e nemmeno dopo.Bill era arrivato per primo, in anticipo, ed era solo in classe, e attendeva l'arrivo di tutti i suoi compagni. No, attendeva l'arrivo di Stan. Pensò a lui per tutta la notte.
Aveva una malattia evidentemente non curabile di cui lui non aveva mai nemmeno sentito il nome. Pensò a quanto fosse difficile per lui fare cose che invece Bill faceva tutti i giorni, senza alcuna difficoltà. Per la prima volta, capì che la realtà era Stanley Uris.Stanley Uris era la vita vista dal suo lato peggiore: era malato, solo, ebreo, arrivava a scuola in macchina e Richie Tozier gli aveva fatto una buona prima impressione. Ce le aveva tutte. Cos'altro gli avrebbe fatto capire quel ragazzo?
Gli aveva chiesto di "non fare quella faccia" come se lo stesse pregando e lo aveva fatto sentire in colpa.
In quel momento poteva soltanto fissare la porta e aspettarsi di vedere quei capelli riccioli sbucare, poi vedere il suo viso sconvolto dalla corsa all'ultimo minuto per raggiungere la classe ed evitare la solita predica sulla puntualità. Ma non successe, e Stan non poteva correre.
Era una scossa inaspettata, una sensazione strana quella che provò quando la professoressa Douglas chiuse la porta, dando il suo scocciato buongiorno. La porta si era chiusa e nessuno l'avrebbe più aperta.
Abbassò lo sguardo e guardò il foglio, dove stava scrivendo un'altra delle sue ultime invenzioni, che avrebbe letto a Georgie prima di dormire alla sera.Quella parlava delle stelle. Banale. All'inizio gli sembrava davvero banale. Ma poi, si rese conto che con le stelle poteva trasmettergli il messaggio in cui aveva sempre voluto credere: ad ogni persona deceduta corrisponde una stella.
Per quelle buone più luminose, gli aveva detto sua madre, quando chiese inaspettatamente, come una normale curiosità di qualsiasi bambino, dove finissero i morti.
Allora da quel giorno non lo ammise ma cominciò realmente a sperare che fosse così.
E voleva farlo sperare anche a George.
Ma al momento, aveva un problema più grande. In un certo senso, doveva accendere una stella per Stan.Voltò la pagina del buon vecchio quadernino e passò le dita sul foglio successivo, rigorosamente bianco oltre alle linee dritte che delimitavano lo spazio per la scrittura (quella di Bill era terribilmente disordinata).
"Cose che posso fare per rendere felice Stanley Uris"
Scrisse all'inizio della pagina, con quella calligrafia che iniziava bene ma che sarebbe peggiorata con lo sviluppo della lista.
1)
Fissò quel numero per un tempo interminabile. Era partito con grinta, ma non sapeva davvero cosa fare. Stupida. Idea stupida, istinto da crocerossina, stessa cosa, era qualcosa di più grande di lui.
O no?
O forse poteva non esserlo?
Forse poteva essere l'inizio della scelta migliore di tutta la sua vita, forse uno stupido errore che avrebbe messo a disagio Stanley.
Stappò la penna.
Stanley poteva anche non saperlo."Portarlo a scuola con Silver."
<<Bill Denbrough?>>
Bill sobbalzò alla voce squillante della Douglas.
<<P-p-presente.>>Rispose il più in fretta possibile, per tornare a concentrasi sul foglio e non sembrare troppo perso nei suoi pensieri.
<<P-p-preseeentee>> fecero eco Criss e Belch. Bill alzò gli occhi al cielo e la prof li guardò rassegnata.
Poi proseguì, e Bill tese le orecchie. Avrebbe detto qualcosa, dopo aver visto Stan assente? Era la milionesima volta.
Questo gli provocò un tuffo al cuore.
E per milioni di volte, non se n'era accorto.
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See You Later-stenbrough
FanfictionCominciava a non poterne più. Non poteva montare in sella a quel suo catorcio e pedalare il più lontano possibile portandosi via quel viso stupendo, quella voce calma e angelica, quella paura terribile di innamorarsi, poteva sparire per sempre e bas...