otto

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Decise di andare due giorni dopo, di giovedì.
La giornata più fredda di tutto settembre.
Bill era talmente pieno di vestiti che non gli si vedeva il viso, e il giorno prima era praticamente in maniche corte. Quel periodo era così: dovevi stare attento a non vestirti troppo pesante ma nemmeno troppo leggero, e andava a finire che uscivi con un maglione e dei pantaloncini mentre quello che incrociavi per strada aveva anfibi e piumone, sciarpa e capello. Tra il caldo e il freddo si spegnevano i focolari di Derry, quelli più accattivanti, dai bulletti della scuola sotto l'effetto del letargo scolastico autunnale, alla polizia che abbassava la guardia.
Un motivo se non si erano più liberati del coprifuoco c'era.
Ma alla fine non era tutto questo disastro: città piccola, voci rapide, gente ovunque che monitorava la situazione, significava che facevi fatica a incastrare quei cittadini. Tutto sommato, era un paesino tranquillo non solo nel periodo delle piogge.
Altrimenti Bill starebbe andando in ospedale in macchina.
L'unico pericolo che correva era prendersi un bel raffreddore.
Le mani tremavano dal gelo sul manubrio arruginito, che come di consueto scricchiolava e minacciava di staccarsi e fargli fare un bel volo. L'aria si infilava sull'unico punto scoperto della sua faccia e gli ghiacciava il naso, che continuava a muovere e che poi avrebbe toccato in continuazione con le mani calde per sentire il contrasto tra le due temperature. Per far partire la vecchia Silver con i vestiti pesanti e il freddo ci voleva il doppio del tempo. Spesso si incriccava, e Bill doveva spingere per sbloccarla e sudava.

Ma poi prendeva il via. Lo faceva sempre. Per quanto potesse barcollare, non cadeva mai.

Correva più veloce del vento, o dei suoi pensieri in quel caso, che erano un misto di eccitazione, felicità e confusione. Gli pareva di avere un frullatore in testa.
Non aveva dormito granché, come si aspettava, dopo le parole della Douglas. Si chiedeva come facesse Stan a vivere sapendo che ad ogni minuto qualcosa potrebbe mollarlo. Forse era un po' come Silver: barcollava, molto, ma non cadeva.
O almeno, non ancora.

Cacciò una pedalata e spinse di getto Silver in avanti, sfrecciò sul marciapiede, nel tentativo di lavarsi di dosso quei pensieri.

Se doveva "stravolgergli la vita", non poteva passare il tempo a preoccuparsi della fine. Stan aveva bisogno di pensare ad altro.
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Arrivò all'ospedale in poco tempo.
Smontò da Silver ed esaminò l'edificio, fissò attentamente le finestre in cerca della sua. Gli piaceva guardare il cielo, credeva che le tenesse aperta.
Ma erano tutte coperte da delle tende azzurrine.

Secondo piano, stanza 5.

Entrò, si guardò intorno a disagio. La sala era colma di persone. Alcune infermiere con dei campioni in mano che andavano di stanza in stanza a passo veloce, scambiandosi informazioni sotto l'occhio attento dei malati in sala d'attesa. Evitò di guardarli. Chissà quante volte anche Stan si era seduto su quelle sedie.
Si sistemò lo zaino sulle spalle e trattenne il respiro, perché l'odore di disinfettante tipico dell'ospedale lo infastidiva.
Secondo piano, stanza 5.
Appoggiò la mano sulla ringhiera, teneva lo sguardo basso, fisso sul linoleum. La scossa riprese il controllo e gli fece passare un brivido lungo la schiena.

Arrivò sul pianerottolo dove incrociò un'infermiera che pareva più una guardia dallo sguardo che aveva stampato in volto.

<<Alt. Copri le scarpe e mettiti questa>>
non capiva benissimo, a causa della maschera chirurgica che le copriva la bocca, ma riuscì a capire cosa doveva fare solo perché gli stava allunagando una mascherina come la sua e due sacchetti per coprire le suole.
Già. Regole per la sicurezza del paziente. Anche questo faceva parte della vita di Stanley.
Le regole da seguire.

Respirare con quella mascherina era un'impresa. Stan respirava in quel modo?
È diventata una nuova abitudine, Bill? Pensare a qualunque cosa ed immaginare come la stia vivendo lui?

See You Later-stenbroughDove le storie prendono vita. Scoprilo ora