cinque

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Dopo tre mesi, la stanza di Stan ricominciò ad essere la solita buia lagna. Tutta casa sua era buia e troppo grande, ma in particolare la sua stanza gli lasciava un grande vuoto. La finestra era nell'angolo opposto al letto, posizionato accanto alla porta, mentre la scrivania era proprio accanto, perciò per avere un minimo di luce doveva usare la lampada. Il cielo era ormai completamente coperto dai nuvoloni, segnavano che di lì a poco sarebbe giunto il temporale atteso da metà luglio. Stan aspettava solo che iniziasse a tuonare, e che il rumore della pioggia fuso alle sue canzoni preferite lo aiutasse a fare i compiti.
Quando la stanza era così, il lavoro scolastico era l'unica cosa che riusciva a fare.
Riga dopo riga, equazione dopo equazione, sempre con la stessa espressione impassibile, e la sua musica rock proibita di sottofondo.
Chiuse lentamente la porta e appoggiò lo zaino in un angolo. Non avrebbe iniziato prima del temporale, cercava di godersi gli ultimi momenti estivi. Le giornate si erano accorciate già da qualche settimana e questo già gli metteva tristezza. Meno luce, meno tempo, meno sorrisi, più raffreddori.

Stanley aveva paura del buio.

Non paura del buio da dormire con le luci accese, più una paura persistente, che non lo lasciava un attimo. Lo torturava ogni secondo passato in un angolo più buio, un buio che scorticava le pareti della sua stanza, che gli teneva il collo tra le dita scheletriche e il naso tappato.
Era l'altro buio. Quello più oscuro e spaventoso.
Come se fosse sempre immerso nell'oscurità. Solo lui ed il buio in quella stanza che emanava quell'odore di gelso da lui detestato.
Stan si precipitò sul letto.

Il buio era con lui. Dovunque andasse. Che fosse casa sua, la scuola, che fosse mentre chiacchierava con Bill Denbrough, che fosse in macchina con suo padre, l'odore di gelso del buio lo perseguitava. Si infilava nei suoi polmoni, li stringeva, lo baciava con le sue fredde labbra e gli toglieva il fiato. In poche parole, Stanley Uris aveva sempre paura di morire.

Allungò un braccio e appoggiò il vinile sul giradischi. Era rimasto fuori dalla copertina dalla sera prima, quando era crollato dal sonno dopo un po' che ascoltava.
Subito partì Good Luck Charm, ma era praticamente a metà canzone e lui non si preoccupò di metterla da capo. Poteva dire di aver sperimentato l'amore, sì, ma per Elvis Presley.

Si distese sul materasso, probabilmente rifatto per la seconda volta da sua madre qualche ora prima, e appoggiò la guancia al cuscino. Sentì gelso. Gelso in bocca. Gelso negli occhi. Gelso nelle narici. Sua madre usava l'ammorbidente al gelso, perciò anche le lenzuola sapevano di gelso. Le prime volte non gli dispiaceva quell'odore, ma a lungo andare, gli dava il mal di mare. Gli impediva di respirare. Tuttavia, non riuscì ad alzarsi. Una forza lo teneva con il viso incollato al cuscino, con lo sguardo fisso verso il muro. Si mise le braccia sopra la testa, coprendo la visuale, un po' anche l'odore forte.

Gli sembrava di avere del cotone in bocca, di non poter urlare, oppure che il buio avesse deciso di coprirgli nuovamente il naso.

Ti fai soffocare dall'ammorbidente!
Il buio gli parlava anche.
Starai mica diventando matto, Stannie?!

Affondò il viso tra le braccia, ma non chiuse gli occhi.
"Fatelo smettere", pensò. "Al più presto."
Da uno spiraglio, lasciato per fissare il muro, lo vide.
In piedi, alto almeno due metri, osservarlo a testa bassa. Gli occhi scavati, iniettati di sangue, grigi quanto il cielo burrascoso di metà settembre. Non aveva capelli, non aveva denti, era umano e non lo era allo stesso tempo. Era astratto e concreto. Le gengive erano disgustose, ingiallite, a vederci bene due denti li aveva. Uno sotto e uno sopra, rigorosamente giallastri. Era tutto nero, il buio. Nero e mucoso.

Aveva lunghe braccia, lasciate penzolare accanto al torso magro che lasciava scorgere le costole. Le mani erano bucate, le unghie della stessa lunghezza delle mani. Puzzava di gelso, misto all'odore di un cadavere in putrefazione. La cosa che colpì di più Stan, però, furono i polmoni che emanavano luce accecante.

See You Later-stenbroughDove le storie prendono vita. Scoprilo ora