nove

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Per la milionesima volta, a salvare le giornate dei ragazzi dalla noia fu la notizia da Bill, che annunciava tutto contento l'inizio ufficiale dell'allestimento della "Derry autunnale", dall'ultimo di settembre fino ad Halloween.
Anche quella ricorrenza veniva ormai tramandata da anni e anni, e quell'anno, il 1989, avrebbe finalmente compiuto vent'anni senza mai spegnersi come tutte le altre avevano fatto. Ad esempio quella in primavera, quella dove si tenevano gare tra travestimenti di carnevale e vinceva sempre Greta Bowie.
I pochi periodi festivi che potevano permettersi erano boccate d'aria da tutta la depressione e dal letargo stregato. Il padre di Bill collaborava ai preparativi, quindi la famiglia Denbrough era sempre ben informata sulla situazione, e Bill poteva andare a spifferare le novità ai suoi amici. Suo padre gli aveva detto che per festeggiare il ventesimo anno avrebbero utilizzato i fuochi d'artificio, che Derry non vedeva da secoli, il primo e l'ultimo giorno di festa. Un'onda di entusiasmo aveva colpito il piccolo Georgie, di cui occhi mai assistirono ai fuochi dal vivo ma solo visti in qualche film, e cominciò a parlare in continuazione dell'evento anche essendo disinformato. La sua euforia, per qualche motivo, contagiò anche l'interesse di Bill che negli anni, durante la crescita del ragazzo, diminuiva sempre di più per appoggiarsi ad argomenti "da adulti". Sì, si focalizzava principalmente sui discorsi strampalati e cresciuti sul nulla di Richie, che gli raccontava come si davano i baci, e i baci con la lingua e i succhiotti e poi si passava alla parte che affermava di aver sperimentato in prima persona. Bill fingeva di non essere preso affatto dal racconto e si guardava la punta delle converse rovinate, graffiando la bretella dello zaino per l'imbarazzo (Richie raccontava tutto con tanta sicurezza. Con che termini, poi!), però ascoltava tutto e talvolta gli scappava un'espressione incredula alle emozioni che Richie stava grossolanamente raccontando. Fu a causa sua, che raccontò con la voce piena di enfasi la novità ai suoi amici. Quel qualcosa che Georgie gli aveva attaccato, lo beccarono anche gli altri perdenti. Al contrario del bambino, che vedeva i fuochi d'artificio più come uno spettacolo teatrale, i perdenti (e non tutti l'avrebbero ammesso) presero in considerazione il lato romantico. Ben e Bev, per primi, si erano scambiati gli sguardi d'intesa che già prenotavano la mano l'uno dell'altra, pronti a riprodurre la scena nella loro mente fino al fatidico giorno. Ben diventò tutto rosso. Richie invece si era rattristato. Anzi, non triste, solo calmo. Succedeva così raramente che metteva in soggezione. Voleva fare lo stesso. Lui voleva lanciare lo stesso sguardo d'intesa di Ben e Bev a Eddie, proprio come faceva lui quando doveva intercettare una battutaccia, e prendergli la mano, intrecciando le dita alle sue e sussurrare tutte quelle cavolate dolci. Come facevano Ben e Bev. <<Da sballo>> aveva buttato fuori, modificando la voce così da farla sembrare quella di un tipico fattone nei vicoli (almeno lui la chiamava così, però era sempre la stessa voce che aveva normalmente) bassa e lenta, per mascherare la confusione che aveva nel cervello. <<Proprio da sballo>> Aveva ripetuto. <<Derry ci fai un cazzo di niente, e adesso se ne escono con questa cagatona da film romantico. Uno sballo.>> Bev rise e appoggiò la fronte sulla spalla di Rich. <<Almeno è qualcosa. Qualcosa di carino..>>
Rich piagnucolò. <<Per te, mia Bevvie! Per te che hai qualcuno! Ahimè sono troppo per questa gentaglia... Va sempre a finire così: una botta e via. Oh, povero povero Richie Tozier! Va a finire che il Dottor Kaspbrak lo batte.>>
Mike, semplicemente, voleva vederla come Georgie. Era l'unico nel gruppo a non aver mai pensato all'amore. Riteneva fosse troppo lontano ancora. Stava bene con se stesso e comunque, se anche avesse voluto, nessuno lo ispirava in quel senso. Si rincuorava, dicendosi che doveva semplicemente rispettare le proprie idee e che avrebbe trovato qualcuno. Faceva il tifo per i suoi amici e spesso consigliava a Ben dei regali per Bev, o lo aiutava quando c'era da far pace dopo qualche litigio.
Mike Hanlon, più che voler mettersi in gioco, era uno che voleva fare lo spettatore. E da spettatore era ovvio che capì che qualcosa in Richie non andava.
<<Rich, non c'è solo l'amore. Puoi tenere la mano anche al tuo migliore amico.>>
Eddie avvampò. <<Io la sua mano non la tocco.>>
<<Preferisci che tocchi altro, tesorino?>> Disse imitando la madre di Eddie. Aveva le guance rosse, molto rosse, però scherzava e rideva. Altrimenti sarebbe scoppiato a piangere.
Si calmò solo quando Bill gli mise un braccio sulle spalle e gli appoggiò il mento sulla spalla, e quando sentì che Beverly stava cambiando posizione, appoggiando la schiena contro Richie.
<<Ma vi sembro un divano?>>
<<Sì, sei morbido, taci>>
<<Ben lo è di p->>
<<Richie!>>
Bill gli tirò la guancia. Ben invece rise, e questo tranquillizzò l'intero gruppo. Richie sapeva che avrebbe riso.
<<Non posso darti torto. Però è un vantaggio.>>
Poi, nell'esatto momento in cui Bev baciò Ben sulla guancia, Bill si ricordò di Stan. Di Stan all'ospedale tutto da solo, a guardare gli uccelli fuori dalla finestra senza più sensibilità alla gola per i colpi di tosse. Stan che non sapeva che quell'anno ci sarebbero stati i fuochi d'artificio.
Stan che al posto di gioire per il periodo festivo imminente, e cadere nella tranquillità del letargo, se ne stava sotto le coperte che non sapevano di gelso ma di lavanda con il disegno della ghiandaia stretto tra le braccia. Mentre la città cambiava forma con addobbi e bancarelle, l'ospedale restava il solito monotono, sepolcrale edificio che puzzava di disinfettante. Non c'era l'ombra di colori caldi come il rosso, arancione o giallo che ricordavano le foglie in autunno, e che Stan era sicuro riscaldassero l'atmosfera, solamente verde occasionale per la porta e pareti bianche e fredde che con l'autunno c'entravano poco.
E così viveva lui. Viveva giornate bianche. Come se lì le stagioni fossero tutte uguali. Lui stesso si pareva bianco. Aveva l'impressione di passare ogni momento decente della vita tra pareti asfissianti e medicinali. Desiderava prender su e uscire da quella stanza, correndo, e filare tra le strade di Derry, sbirciare tra le bancarelle in fase di preparazione come se fossero le quinte di un film. E voleva farlo con una giacchetta leggera, tipica della confusione autunnale, per poi tirarsela fino alle orecchie e dire a Bill Denbrough che c'era freddo per farsi prestare di nuovo la camicia a scacchi. Ad impedirglielo era solo Stanley Uris e la sua malattia. Cos'altro poteva fare? Fantasticare. Fantasticare guardando fuori dalla finestra i rami delle foglie oramai ingiallite degli alberi, che venivano accarezzate delicatamente dal vento, flebile, e si scontravano fra di loro come se su quegli alberi ci si stessero appogiando centinaia di uccelli. Privato del loro fruscio, mutati dalle finestre chiuse. Sentiva solo, qualche volta, lo sfrecciare delle automobili echeggiare tra le pareti, un rumore forte ma nemmeno troppo frettoloso. E andava avanti così finché non passava la tosse a fargli visita, o nel caso peggiore, il polmone se ne andava per un po' e allora doveva attaccarsi alla bomboletta di ossigeno. Proprio quella notte, dopo che Bill l'aveva abbracciato, la tosse era venuta più improba del solito: aveva svegliato quasi tutto il piano, gli tolse completamente l'aria, fracassò al sua cassa toracica o almeno quella fu l'impressione, e seccato sempre di più la gola. Tanto che dopo aver buttato giù in pochi sorsi un'intera bottiglia d'acqua si distese sul letto con le guance umide di lacrime. Sperava, con tutto il suo cuore, di star piangendo per il dolore fisico al petto, ma sapeva di stare così perché era un casino. Era un casino per chiunque gli stesse accanto. In tutti quegli anni, mai riuscì a superare quel blocco mentale che lo convinceva di essere solo un maledettissimo errore. E non ci riuscì nemmeno lo psicologo, che aveva smesso di frequentare. Per quanto riguardava i genitori di Stan, però, era "un bel passo avanti.".
Avanti? Lui si sentiva indietro.
I pensieri non la smettevano mai di turbinargli in testa. E ora tutti si incontravano sull'abbraccio profumato di Bill Denbrough. Se ci pensava riusciva a percepire le sue braccia attorno al collo e le sue dita sulla schiena, e poi sentiva ancora la fronte schiacciata sulla sua spalla, coperta da quella camicia che aveva avuto la fortuna di indossare. Stranamente il freddo si faceva meno provocatorio e gli si dipingeva un sorriso stupido sulle labbra.
Bill aveva colorato una delle sue giornate bianche.
Riuscì ad aiutarlo a non crollare completamente. Forse, se non l'avesse abbracciato, dopo quel discorso la sera avrebbe urlato. E fu felice di non averlo fatto perché non voleva ferire la madre più di quanto già stava facendo. Come una botta alla testa. Qualche secondo di pelle d'oca. Ma apatia totale per il resto. Sul momento non riuscì a piangere (oh, ragazzi, la madre ci riuscì benissimo), proprio come suo padre. Sua madre era completamente distrutta. Non riusciva nemmeno ad urlare dallo sfinimento e si rifiutava di prendere la mano del marito, con il quale Stanley sapeva benissimo che discuteva. Ed era tutta colpa sua.
Si stavano sommando troppe cose e una sola persona non poteva sopportare il lavoro che non aveva pietà, la gestione di una casa, i litigi con il marito sul figlio che
"È improbabile che riusciremo a trovare un donatore compatibile"
stava per morire.
Stan ammirò la abilità dell'infermiera di mantenere professionalità e il tono autoritario, mentre distruggeva tre persone psicologicamente senza volerlo. Doloroso, molto, e le dispiaceva, certo, ma era sempre meglio di raccontare bugie e regalare false speranze. Non gliene faceva una colpa, tuttavia Stan si sentì un altro stupido paziente insignificante e non un quattordicenne che aveva appena scoperto di aver l'1% di possibilità di sopravvivere.
Rimase di nuovo solo.
Lui a rabbrividire ogni volta che il sole veniva oscurato dalle nuvole e lasciava spazio all'ombra fredda, e come le luci natalizie ad intermittenza, ritornava con qualche raggio e gli scaldava la gamba.
Non pianse ma lo fece di notte. Dopo aver svegliato tutti. Lo fece talmente tanto che fu costretto a vomitare in un secchio. E ciò non fermò le lacrime ma al contrario le alimentò. Pianse perché molte volte aveva pensato di andarsene fregandosene di tutto, di sgarrare qualche regola per vivere come pareva a lui, riponendo tutta la fiducia in quell'operazione che era sicurissimo di ottenere.
Ma si sbagliava.
Ancora una volta il punto andava a Lei. Sperava, per lo meno, che potesse concedergli una piccola felicità
Una soddisfazione in mezzo a tutta quella merda che gli stava facendo passare. Ma no. Per Stan il sole non poteva che essere ad intermittenza. Non si sarebbe liberato del Buio che lo tormentava di notte e non si poteva liberare del tutto nemmeno della malattia perché Lei sarebbe rimasta negli altri organi. I polmoni potevano salvarsi.
Almeno quello pensava di meritarlo.
Da lì, la sua vita si divise, e cominciò quella che non sapeva nemmeno di avere. Quella che provava ad essere la migliore possibile invano, e che non poteva esserlo senza quei dannati polmoni. Se prima pensava che fosse buia, ora aveva scoperto cosa realmente rappresentasse Il Buio e di quanto contorto fosse il suo modo di vivere, o meglio dire, sopravvivere.
Cadde, in poche parole.
Ma Bill cadde con lui.

See You Later-stenbroughDove le storie prendono vita. Scoprilo ora