II

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Gli Eglantine vivevano in una bella casa dalle mura bianche vicino al fiume Itchen, in una via sterrata che si chiamava River View. Non avevano vicini a meno di una lega e la casa a due piani era circondata da uno steccato di legno e ben protetta dalla fitta vegetazione di alberi, siepi e rampicanti che crescevano rigogliosi al suo interno, mescolandosi a volte con la vegetazione ripariale e alle erbe spontanee delle rive. 

Ruth si sentiva bene quando vedeva spuntare il tetto d'ardesia nella grande matassa vegetale, tornando da scuola. Era bello saltellare sul sentiero evitando le pozzanghere con i suoi stivaletti di cuoio nuovi, canticchiando le rime che apprendeva durante la lezione della signorina Allen. Attorno a lei l'ottobre piovoso che tanto immalinconiva le sue compagne di scuola, rendeva verde e attraente ogni arbusto, erba e albero. Ruth si riempiva i polmoni di quell'aria carica d'umidità, che sapeva di muschio e terra bagnata. Si sentiva particolarmente a suo agio in quel clima uggioso, quando la sua mente non correva all'incubo del cielo grigio antracite. A volte si diceva che era nata per essere un girino o una chiocciola, non una bambina. Forse le sarebbe piaciuto riposare su una foglia turgida, godendosi la pioggerellina autunnale e il pallido e raro sole dell'inverno.

Quando arrivò alla porticina nello steccato, notò fumo uscire dal comignolo della casa. Alzò gli occhi verso quella che era la finestra della sua stanza, incastonata nel bovindo dell'unica torretta presente. Qualcuno aveva già acceso un lumicino dietro i vetri bombati a forma di rombo. Si chiese se fosse stata la governante, la signora Tansy, o se fosse opera della signora Eglantine. Elysia amava dire che una piccola luce in ogni stanza serviva a ricordare all'anima che un posto sicuro si poteva trovare in ogni angolo del mondo, bastava solo crearselo. Molte delle frasi pronunciate dalla sua madre adottiva mettevano radici nella mente di Ruth, ma lei non era in grado di spiegare il vero significato di nemmeno la metà. Elysia era una donna enigmatica, a tratti incomprensibile. Era sempre buona con lei, ma c'era qualcosa che metteva Ruth a disagio. 

Il cancelletto cigolò mentre lo apriva e la vite canadese abbarbicata all'arco d'ingresso, appesantita dalla rugiada, la ricoprì di minuscole gocce fresche. Ruth avanzò sul selciato dove ogni pietra piatta sembrava annegare in un mare d'erba color smeraldo. Ruth saltellò di sasso in sasso, mentre la sua gonna blu scuro ondeggiava come una campanella. Probabilmente la madre di Mary Rose Brown avrebbe detto che il loro giardino assomigliava più a una selva, ma Ruth lo amava. E amava ancora di più il minuscolo spazio che la signora Eglantine aveva ritagliato sul retro. Ma era troppo presto per fermarsi ad ammirarlo: il sole, seppur debole, era ancora alto.

"Ah, ecco la signorina" la apostrofò una voce calda ed entusiasta. Ruth smise di canticchiare e sorrise timidamente, come sempre. La signora Tansy, in maniche di camicia, stava lanciando bocconcini di pollo ai gatti randagi che vivevano nel loro giardino e che in quel momento la circondavano come se fosse il Messia. Era una donna di sessant'anni, con gambe come tronchi e braccia d'acciaio, in grado di tirare il collo a una gallina e dare il latte a un gattino di cinque giorni con la stessa facilità. Ruth alzò una mano e le sorrise. 

"Buon pomeriggio, signora Tansy" mormorò, osservando un gatto bianco e nero strusciarsi contro la gonna di pesante tessuto scuro della donna.

"Allora, com'è andata a scuola?"

"Bene" rispose la ragazzina. Dopo qualche secondo, si sforzò e aggiunse: "Abbiamo letto un'opera di Shakespeare e imparato un nuovo Salmo".

"Molto bene. È molto importante compiacere Nostro Signore, Ruth".

"Sì, signora Tansy".

"Devi sempre ringraziarlo per quello che ci ha dato".

La signora Tansy era fermamente convinta che lavorare per la famiglia Eglantine fosse un dono proveniente dal cielo. Ruth non aveva mai conosciuto una persona così ferocemente dedita al suo lavoro e ai suoi padroni. Non che si ricordasse di aver conosciuto molte governanti, dalla sua vita precedente. Nessun viso aveva nome, nei suoi ricordi.

"Sì, signora Tansy. La signora Eglantine è in casa?"

La donna le rifilò un'occhiataccia e il suo viso dai tratti grezzi si indurì. "Volevi dire tua madre".  

"Sì" si arrese Ruth. "Mia madre è in casa?"

I signori Eglantine avevano preteso dal primo giorno che lei li trattasse come dei genitori. Per Ruth non era così facile. Nulla era stato facile, dal giorno in cui si era risvegliata in un letto dalle lenzuola morbide, bianche e inamidate, in una stanza sconosciuta, senza nemmeno ricordarsi il suo nome. Aveva tredici anni, ma era come se in quel letto ci fosse nata, una mattina di maggio, con il sole che le accarezzava il viso e il sorriso perfetto e affettuoso di una bellissima donna a darle il benvenuto nella sua nuova vita. 

Forse sarebbe stato diverso, se non avesse avuto gli incubi. Forse sarebbe stato facile dimenticare di aver sicuramente avuto una vita prima di quella che stava vivendo, se non ci fosse stato un oscuro monito notturno a ricordarglielo, ogni giorno. 

"Sì, cara. Vai pure" le rispose la signora Tansy, tornando allegra e lanciando una generosa manciata di bocconcini a due gatti rossi gemelli, appena apparsi nell'erba.

"Grazie. Arrivederci" la salutò educatamente Ruth, dirigendosi verso la porta di casa. Sugli scalini la attendeva un grosso gatto grasso color sabbia. Emise un brontolio quando lei gli passò a fianco. Era così che il signor Sandy le dava il benvenuto, ogni giorno. Ruth si inginocchiò per fargli un grattino dietro le tozze orecchie tonde, dopodiché entrò in casa. Si tolse gli stivaletti nell'ingresso, appese la sciarpa e il cappotto e fece per dirigersi verso le scale che portavano al piano superiore. Si fermò davanti all'ingresso della sala da pranzo quando udì la voce della signora Eglantine. Stava parlando con qualcuno. In punta di piedi superò l'ampia tavola di quercia dove cenavano e si avvicinò all'entrata del salotto dove gli ospiti venivano accolti. Non voleva essere maleducata e disturbare, ma non voleva nemmeno rifugiarsi nella sua camera da letto come un topo. Toccò delicatamente la porta e la voce della signora si interruppe. 

"Sì?" chiese, con la sua voce sottile come un respiro. 

"Signora... madre... sono io".

"Entra, Ruth".

Il salotto degli ospiti era bello, ma molto semplice. Ruth amava molto di più il disordinato raccoglimento del loro salottino privato, dove mazzi di fiori secchi univano il loro odore vagamente polveroso agli arazzi antichi, gli animali impagliati e al legno dei pannelli alle pareti. Quel salotto, invece, era color crema, con due ampi divani, un tavolino Luigi XIV e un bel lampadario a nove luci. Le vetrate davano direttamente sul giardino del retro e tutto dava una la sensazione di essere rinchiusi in una serra.

Sulla sua sedia preferita, dall'ampio schienale e i piedi a forma di testa di leone, sedeva la padrona di casa. Ruth si prendeva sempre qualche secondo per osservarla e domandarsi quanti anni avesse. Ezrel, suo marito, ne dimostrava almeno cinquanta. Elysia, invece, aveva l'aspetto di una donna appena giunta alla soglia dell'età adulta: aveva morbidi capelli biondo chiaro, che sotto alcune luci apparivano d'argento, che le ricadevano in morbide onde sulle spalle, occhi a goccia d'acqua della stessa sfumatura delle nuvole temporalesche e la pelle così chiara che pareva d'alabastro. Vestiva come sempre con un rigoroso abito a collo alto, color avorio. Ruth non l'aveva mai vista indossare niente che fosse scollato. Le maniche del vestito le scendevano fino ai polsi, come se fossero una seconda pelle. Non le avrebbe dato più di venticinque anni. Eppure, quando Elysia Eglantine apriva bocca, sembrava molto, molto più vecchia della sua età apparente. Molto più vecchia di suo marito, della signora Tansy o di chiunque altro Ruth avesse conosciuto nella sua nuova vita. Quando Elysia Eglantine parlava, tutti ammutolivano e stavano ad ascoltare. 

Lo stesso valeva per il suo interlocutore. Ruth lo riconobbe subito: Victor Smith, il padre di Ambrose Smith, un ragazzo di quattordici anni che un mese prima si era ammalato di una qualche febbre difficile da curare. Ezrel era stato chiamato più volte nel cuore della notte, quando si pensava che per il ragazzo non ci sarebbe stato più nulla da fare. Miracolosamente, sembrava che il giovanotto se la sarebbe cavata, anche se con qualche conseguenza. 

Il signor Smith possedeva un negozio in città, vendeva tessuti e chincaglierie per sarte. Ruth si chiese cosa ci facesse lì, ma c'erano cose che non avevano ancora trovato risposta. Elysia aveva spesso ospiti, anche se era una donna ricca e non possedeva un lavoro. 

Appena la vide, si aprì in un sorriso perfetto, fatto di labbra pallide e denti candidi. Era lo stesso sorriso che l'aveva accolta nel mondo, quando la sua vita come Ruth Eglantine era iniziata. 


Rotting RuthDove le storie prendono vita. Scoprilo ora