IV

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I vestiti di Ezrel erano scuriti e gli stivali lucidi di pioggia. Li aveva tolti prima di entrare in casa, dopo aver lasciato il suo cavallo, Straniero, nella piccola stalla dietro casa. I suoi folti capelli rossi si erano incollati alle tempie e alla fronte. Quando li ravvivò, per permettere loro di asciugare al fuoco del camino, una miriade di gocce tiepide piovvero sul divano e sul tappeto più vicino. Catturarono i riflessi delle fiamme. 

"Ti prenderai un raffreddore" gli stava dicendo Elysia, mentre Ruth li osservava, di nuovo ben al caldo sotto la sua coperta di lana verde. Il signor Sandy era tornato da lei, ma questa volta si era accoccolato come un grosso pane in cassetta sul cuscino al suo fianco. La ragazza udiva le sue morbide fusa.

"Ci vuole ben più che uno scroscio d'acqua per farmi ammalare" le rispose Ezrel, allungando le mani verso il camino, i gomiti appoggiati alle ginocchia. Sua moglie aveva intrecciato il braccio sinistro al suo e giocherellava con una sua ciocca ormai asciutta, che sembrava la cresta di un pappagallo. 

"Così una persona si prende una polmonite, caro".

"Che fortuna per il paziente essere anche medico".

"Sì, ma quando il medico è anche paziente, non è lui a utilizzare le siringhe su se stesso..."

Entrambi si misero a ridere, mentre riprendevano a bisticciare. La ragazzina iniziò a disinteressarsi delle loro parole quando suo padre parlò della sua giornata. Preferì perdersi nei suoi pensieri, mentre li osservava.

Ezrel era un bell'uomo, alto e slanciato, anche se le rughe d'espressione sul suo viso e una certa tendenza all'accumularsi del grasso sulla pancia ricordavano a tutti che ormai era più vicino ai cinquanta che ai quaranta. Aveva occhi neri e intelligenti, sopracciglia e ciglia più scure dei capelli e una bocca severa, che sapeva però aprirsi in sorrisi caldi e amabili. Ruth si sentiva a suo agio con lui, più che con Elysia. Ezrel non era circondato da quella strana aura di autorità che la sua giovane moglie possedeva. 

Eppure, quando i due stavano assieme, sembravano una bella coppia. Si prendevano in giro e si baciavano e sfioravano spesso. Ruth non aveva mai visto altre coppie fare lo stesso, almeno non in pubblico. Dubitava fortemente - e con una certa soddisfazione - che le madri e i padri delle sue compagne di scuola più odiose dimostrassero di amarsi alla stessa maniera dei suoi. Quando ci pensava, uno strano ma piacevole calore, un minuscolo gomitolo tiepido, si muoveva nel suo acerbo petto di tredicenne. Quando non pensava agli incubi e alla sua amnesia, era bello perdersi nel sogno ad occhi aperti che Elysia ed Ezrel le avevano permesso di vivere: una bellissima casa, una scuola per privilegiate, una famiglia amorevole che si amava. Un'orfana come lei non avrebbe potuto pregare l'Onnipotente per qualcosa di meglio... se solo non fosse stato per quella dolorosa incognita sempre presente. In uno dei libri che Elysia le aveva regalato pochi giorni dopo il suo risveglio, aveva trovato la fiaba della principessa e il pisello. Per quanto ridicolo potesse sembrare, Ruth conosceva benissimo quella perenne insoddisfazione. E la odiava. Se solo avesse saputo come togliere quel maledetto legume dalla sua testa...

"... Ho anche una notizia che non ti piacerà".

Ruth abbandonò all'improvviso le fiabe per capitombolare nuovamente nel salotto di casa Eglantine. Elysia, che nel frattempo si era sistemata sulle sue ginocchia e gli stringeva le braccia al collo, contorse la bocca. 

"Che notizia?"

"Il reverendo sta morendo".

"Come?"

Nella voce di Elysia c'era allarme e addolorata sorpresa. Padre Aaron era il simpatico, gioviale ma anziano reverendo della chiesa di St. Paul by-the-river. Qualche settimana prima era caduto da cavallo mentre si dirigeva a dare l'estrema unzione a una vecchia nella sua casupola presso le rive del Itchen. Una volpe aveva spaventato la bestia, che si era imbizzarrita e il povero reverendo aveva fatto un volo di vari metri. Ezrel aveva curato le fratture al femore e alle due costole, ma l'uomo non aveva mostrato grandi segni di miglioramento. 

Ruth si rattristò: le piacevano le prediche piene di speranza di quell'uomo, rallegravano le sue domeniche. Non erano come quelle del giovane padre Thomas, che insegnava loro i Salmi nel collegio di Santa Barbara, che parlava sempre di punizioni e castighi divini. Una volta le aveva detto che il mondo era pieno di demoni e che sarebbe stato meglio indossare la croce di Cristo come alcune delle sue compagne facevano, ma quando Ruth aveva riferito il messaggio ad Elysia, sua madre era scoppiata in una breve e secca risata, dicendo: "Se Cristo si curasse di cosa indossiamo, metà della gente che conosci finirebbe dritta all'Inferno. Non sarà una croce di latta a renderti una persona migliore".

"Non penso riusciremo a curarlo, questa volta".

"Posso visitarlo, vero?"

"Sì... ma non riporre troppe speranze in ciò che vedrai".

Non era la prima volta che Ezrel utilizzava un plurale quando parlava di guarire una persona. Ruth lo trovava curioso.

"Se muore, chi prenderà il suo posto? Il giovane Thomas che insegna religione a Ruth non è ancora adatto a dirigere una parrocchia".

"Immagino che invieranno qualcuno da Southampton".

Il viso di Elysia si indurì udendo quelle parole. A Ruth parve di osservare una perfetta statua d'agata bianca, sul cui pallore le fiamme generavano la vita. Le braci nei suoi occhi color cenere sembravano mormorare e crepitare, mentre fili d'oro si intrecciavano ai suoi capelli d'argento e alla rossa vestaglia. Quando Elysia Eglantine mostrava quel viso, lei sentiva correre un brivido freddo lungo la schiena. Affondò le dita nel soffice pelo di Sandy e il gatto smise all'improvviso di fare le fusa, socchiudendo gli occhi.

"Non è una notizia che mi si aggrada, Ezrel".

Lui si ravvivò nuovamente i capelli. Sospirò, mentre si appoggiava al divano. 

"Non posso fare miracoli" mormorò a bassa voce. 

Elysia aprì la bocca contrariata, poi la richiuse. Lanciò uno sguardo a Ruth, che li osservava, pallida e in silenzio. La sua severità di statua si sciolse in un sorriso dolce e Ruth seppe di essersi giocata l'opportunità di scoprire qualcosa di nuovo. 

"Forse è meglio se accompagniamo a letto questa signorina, è molto tardi" disse, alzandosi. Ezrel parve ricordarsi in quel momento della sua bambina. Sorrise anche lui e le fece un cenno, indicando la porta. 

"Andiamo, Ruth. Sarai stanca".

"Anche tu lo sei?" domandò lei, calciando la coperta e infastidendo il signor Sandy mentre si alzava. Ezrel la prese per mano, mentre raggiungevano Elysia, che già li aspettava nel corridoio illuminato da luci soffuse. 

"Sì, tesoro. Andremo tutti a dormire".

Bugiardo, pensò Ruth. Sapeva che si sarebbero messi a parlare dei loro segreti, come facevano sempre nelle ore più buie. Non aveva mai osato avvicinarsi alla loro camera da letto per origliare, ma prima o poi l'avrebbe fatto. 

L'accompagnarono assieme nella sua stanza, una bella cameretta con una graziosa carta da parati a non-ti-scordar-di-me, rosa e azzurri. Aveva un armadio, uno scrittoio, due seggiole - una occupata da una bambola dalle trecce rosse come i capelli di Ezrel - e il letto dalle lenzuola inamidate dove si era risvegliata, quella mattina di maggio. Elysia diede qualche colpetto ai suoi cuscini di piume e, una volta che Ruth si fu infilata sotto le lenzuola, si sedette al suo fianco. Le sorrise, come sempre, e poi si piegò su di lei a darle un bacio.

"Dormi bene, tesoro mio".

Ezrel le carezzò i capelli, poi prese per mano la moglie e spense la gialla candela di cera del comodino. 

Ruth rimase sveglia per molto tempo dopo che la porta si era chiusa alle loro spalle, la testa piena di cavalli imbizzarriti, croci di ferro e occhi di brace.  


Rotting RuthDove le storie prendono vita. Scoprilo ora