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Il reverendo Aaron lasciò questa valle di lacrime la mattina seguente. Le campane della vicina chiesa di St. Paul iniziarono a suonare proprio all'inizio della lezione della signorina Allen. Le sue compagne iniziarono a sussurrare tra loro, ma Ruth sapeva cosa era successo. Cercò di concentrarsi sul suo quaderno, intingendo la penna nell'inchiostro, senza pensare troppo al povero reverendo e alla sua ultima predica.

"Sarà morto?" chiedeva Minnie alle sue spalle. 

"Mio fratello diceva che durante gli ultimi giorni non faceva altro che delirare" le rispose Mary Rose. 

Ruth sospirò e si chiese se Elysia lo avesse visto, come aveva detto la notte precedente. Cosa avrebbe voluto fare? Consolarlo? Stringergli la mano e stargli vicino nel momento del trapasso? Sapeva che, in quanto moglie del medico del paese, spesso visitava i pazienti di Ezrel e altrettanto spesso aveva ospiti. Ancora una volta si domandò perché e poi ripensò all'ultimo incubo che aveva fatto. C'era la nebbia nel suo sogno. Una nebbia umida e appiccicosa come tela di ragno. L'aveva respirata e quei filamenti grigiastri le erano scesi nei polmoni e le avevano fatto mancare il fiato.

Il richiamo della signora Tansy dalla cucina l'aveva strappata a quell'orrore. Ruth si era svegliata di soprassalto, ansimante e sudata. Aveva dovuto spazzolare con cura i capelli e lavarsi il viso tre volte prima di togliersi di dosso quell'aspetto sconvolto. 

Dopo scuola, tornò a casa sotto un cielo grigio che prometteva pioggia. Spirava un vento gelido e Ruth tremava nella sua gonna lunga fino alle ginocchia. Si affrettò quanto poté, saltando pozzanghere e blocchi di fango infido.

"Guarda come hai ridotto quei poveri stivaletti nuovi!" la apostrofò la signora Tansy, quando lei tentò di entrare in casa in punta di piedi per non far notare il disastro. Uscì dalla cucina come una furia, rossa in viso e con le maniche della camicia arrovesciate fino ai gomiti. "Sono tutti da spazzolare, prima che il fango si secchi!"

"Mary". La voce di Elysia provenne dal primo piano. Ruth alzò gli occhi e vide sua madre, pallida nel vestito verde scuro che indossava, all'inizio delle scale. "Lasciala stare. Ho bisogno di parlare con lei".

"Sì, signora" convenne immediatamente la governante, lanciando un'ultima occhiata assassina agli stivali, prima di rientrare in cucina. 

"Vieni, Ruth" le ingiunse Elysia. La ragazzina obbedì senza fiatare. Abbandonò le scarpe sporche, si infilò le pantofole e fece gli scalini a due a due. La donna la introdusse nella sua camera da letto. Ruth c'era stata solo un paio di volte: era l'unico angolo della casa in cui non osava mettere piede se non espressamente invitata. Di per sé, la stanza non aveva nulla di spaventoso: vi era un grande letto matrimoniale dalla splendida testata di mogano, dentro cui era stato inciso un medaglione con le loro iniziali identiche, intrecciate come viticci. Le lenzuola erano verde chiaro e crema, così come il piccolo canapè ai piedi del giaciglio e le due poltroncine che incorniciavano un tavolino di marmo rotondo, giusto sotto la finestra che dava sul giardino. Sulla parete più distante, un caminetto recava le tracce dell'ultimo fuoco notturno. Sopra di esso c'era un bellissimo vaso di porcellana contenente i fiori tanto amati da Elysia. Ruth non sapeva come si chiamassero, ma crescevano nella sua piccola serra: grosse campanule bianche che nel buio sembravano risplendere di luce propria. Sua madre le chiamava trombe degli angeli.  

"Siediti, tesoro".

Elysia si accomodò sul letto e le fece segno di seguirla. Dopo un momento di imbarazzo, la ragazzina la seguì. Elysia la strinse a sé e le diede un bacio sui capelli.

"Lo sai già, vero?"

Ruth annuì. Continuava a chiedersi perché sua madre sembrasse così addolorata: da quando viveva in casa Eglantine, non le era parso che lei avesse un rapporto particolare con il reverendo. Si salutavano e si fermavano a parlare quando capitava, certo, ma non era niente di più di quello che facevano la maggior parte delle signore di St. Paul by-the-river. Che lei sapesse, il reverendo Aaron non era mai passato a trovarli. 

"Domani si celebrerà il funerale. Sarà il primo... nella tua memoria" mormorò Elysia. Le strinse una mano. "Devi essere forte".

Ruth non aveva pensato a quel dettaglio. Forse la donna era solo preoccupata per lei. Cercò di sorridere, anche se le costò. "Non ti preoccupare... madre".

"I funerali in questo paese sono sempre molto tristi" continuò Elysia, come se non l'avesse udita. "Ci sarà gente che piange e gente che si dispera. Aaron avrebbe voluto un banchetto dopo il suo funerale, ma ho già saputo che il reverendo Thomas ha dichiarato la sua contrarietà".

"Sarà lui il nuovo reverendo?"

"Fortunatamente no. Invieranno qualcuno da Southampton".

Ruth annuì. Era la stessa cosa che Ezrel aveva detto il giorno prima, quando i due sembravano essersi dimenticati della sua presenza. Si mordicchiò un labbro, prima di domandare: "Sei... andata a fargli visita?"

"Purtroppo non ho fatto in tempo". A Ruth parve di notare sincero dolore nella sua voce. "Avrei voluto salutarlo. Non era un pastore come gli altri... Aaron era molto più intelligente e... sveglio. Mi accolse con infinita bontà e senza alcun pregiudizio quando io giunsi qui".

Se avesse avuto piccole e mobili orecchie come quelle del signor Sandy, Ruth le avrebbe drizzate in ascolto. Era la prima volta che Elysia accennava al suo passato, al suo e a quello di Ezrel. Lei non aveva mai avuto il coraggio di chiedere. 

"Quanto tempo fa accadde?"

"Oh, sono passati anni. Io ero solo una giovane straniera al seguito di Ezrel...", sorrise come se il ricordo fosse di caramello. "Una giovane, entusiasta, malaticcia ragazza, che tutti guardavano con tremendo sospetto".

"Malaticcia?"

"Sì, Ruth. Di corpo e spirito. Ma tuo padre mi curò. Ezrel cura sempre tutti, quando può".

La ragazzina si bevve quelle parole come vino speziato. Avrebbe voluto fare mille domande, perché Elysia aveva scoperchiato il vaso di Pandora della sua curiosità.

"E perché eri malata?"

Elysia le lanciò uno sguardo che lei non riuscì a decifrare. Con un delicato sorriso le rispose: "Mi sono successe cose brutte quando ero giovane. Proprio come è successo a te, tesoro mio".

"Però tu le ricordi?"

"Vorrei averle dimenticate".

Ruth fu sul punto di dirle che nemmeno lei aveva dimenticato, solo che le comparivano con forme ancora più terrificanti nei sogni. Ma non osò. 

"Dove sei nata?" domandò invece.

"A Plymouth. Nel Devon. Vicino alla baia del Sound".

"I tuoi genitori... i miei signori... nonni... sono ancora vivi?"

Elysia continuò a studiare il suo viso come se cercasse di leggervi qualcosa. Ruth rimase con il cuore in gola, in attesa di una risposta. Risposta che non arrivò. 

"Un giorno ne parleremo, Ruth. Purtroppo non potrai conoscere i tuoi nonni, questo no. Parleremo di ciò che ancora non sai".

Un moto di stizza e frustrazione colse la ragazzina di sprovvista. 

"Perché ogni volta mi dici che ne parleremo un altro giorno?" domandò, senza saper tenere a freno la lingua. "A me... a me piacerebbe... sapere".

"Lo so" le rispose tranquillamente Elysia. Eppure tutto il coraggio di Ruth svanì sotto lo sguardo di quegli occhi temporaleschi. "Lo so, tesoro mio. Ma c'è tempo per ogni cosa a questo mondo. E ora è tempo di pregare per l'anima del nostro povero reverendo... e pregare anche che da Southampton arrivi qualcuno di altrettanto degno".



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