XII

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Il sole ottobrino stava tramontando quando Ruth aprì il cancelletto del suo giardino. Non si era resa conto di quanto tardi si fosse fatto, mentre parlava con Hazel. Si erano raccontate così tante cose mentre sedevano sul ponticello sospeso sopra l'Itchen che non si erano accorte che il sole aveva iniziato la sua breve corsa verso il riposo notturno. Era stato il lontano canto delle campane, che richiamava i fedeli alla messa delle sei, a ricordare loro che il tempo non si era fermato. Si erano salutate rapidamente e Hazel le aveva dato un bacio sulla guancia, con uno di quei sorrisi birichini. Dopodiché era scomparsa tra gli aceri, con i ricci che si confondevano con le foglie.

Era la prima volta che Ruth si attardava fuori casa fino al tramonto. Comprese subito che quell'improvvisa novità non era stata accolta come sperava. 

"Signora! Signora! La bambina è tornata!"

La voce della signora Tansy risuonò come un rombo di tuono per tutto il giardino. Doveva essere stata appostata all'ingresso della casa fino a quel momento per riuscire a vederla mentre varcava l'ingresso del cancello. Ruth trasalì per la sorpresa: normalmente la governante non alzava la voce. Un'ombra si mosse dietro il lumicino acceso nel bovindo della sua stanza. Elysia? 

Mentre si avvicinava alla porta principale, un grosso gatto nero le sfiorò le gambe, correndo a rifugiarsi nella vegetazione con un sonoro miagolio. Ruth fece gli scalini che la separavano dal corridoio con una strana sensazione di disagio.

La signora Tansy stava scendendo le scale che portavano al piano superiore con i suoi passi pesanti e il fiatone. Non appena vide la figura filiforme della ragazzina venire illuminata dalle soffuse luci della hall, inarcò le sopracciglia con fare temporalesco e disse: "Benedetta bambina, ci farai venire un colpo a tutti quanti".

"Come? Ma io..."

"Dove sei stata?"

Il cuore di Ruth mancò un battito quando la voce di Elysia scosse la penombra. Dietro la signora Tansy, la signora Eglantine le stava lentamente andando incontro, scendendo uno scalino alla volta. Ruth aveva già visto il viso di sua madre privo di sorriso, ma per la prima volta, con angoscia, si rese conto che quella mancanza era colpa sua. Il volto di Elysia era una maschera pallida, priva di espressione. L'argento dei suoi occhi era trasmutato in mercurio. La fiamma della lampada dell'ingresso rabbrividì al suo passaggio, disegnando ombre aguzze come lame sul suo vestito rosso scuro.  

Non era il benvenuto che si sarebbe aspettata. 

"Ho fatto una passeggiata" mormorò la ragazzina, cercando di sostenere quello sguardo lunare. Elysia non sembrava arrabbiata, ma quell'espressione così fredda la terrorizzava più di qualsiasi ruga o dente scoperto. La donna si limitava a studiarla con attenzione. Ruth si domandò se dovessero sentirsi così i passerotti appena nati davanti al muso di una serpe.

"Sola?"

"Sì".

Qualcosa dentro di lei ebbe il sopravvento e controllò voce e labbra prima che Ruth dicesse la verità. Non sapeva perché, voleva solo evitare che lei si arrabbiasse. 

Elysia la squadrò e Ruth si domandò se fosse stato uno sbaglio mentire. Forse lei già sapeva. Forse la stava mettendo alla prova e lei aveva fallito. Forse...

"Sei andata in giro da sola nel bosco? Ruth, sai che è pericoloso".

Un'increspatura si formò tra le sopracciglia della donna. Ruth seppe che lei non sapeva e il sollievo le fece tremare la voce. 

"Solo fino al ponte. Mi sono persa guardando la caduta delle foglie".

Trovò anche il coraggio di andarle incontro. Elysia le prese la mano. Le sue dita erano gelide e umide. Doveva aver passato del tempo nel suo posticino segreto, sul retro del giardino.

"Non devi andare nel bosco da sola. Non è il momento".

"Perché?"

"Sei troppo piccola per capire. Non voglio che tu lo faccia".

All'improvviso Ruth mormorò: "Sai, è arrivata una nuova bambina oggi a scuola".

Era successo di nuovo, il suo istinto l'aveva guidata nel pronunciare quelle parole. Elysia rimase impassibile, ma lei notò che la sua mano aveva avuto un leggerlo fremito attorno alla sua. 

"Ah, sì. Immagino sia la figlia del nuovo pastore".

"Si è presentata come la figlia del reverendo Victor Anderson".

La donna annuì, senza guardarla, mentre la guidava verso le scale. Ruth studiò attentamente i suoi lineamenti, mentre nella sua testa, per l'ennesima volta, risuonavano le parole delle comari del cimitero. Perché il suo istinto le aveva detto di star zitta riguardo Hazel? Una parte di lei avrebbe voluto condividere con Elysia la gioia di aver trovato qualcuno con cui parlare, qualcuno simile a lei. Un'orfana. Eppure sapeva che sarebbe stato un errore, anche se non era certa del perché. 

"Vedremo se questo nuovo pastore è degno del titolo che porta. Dubito che raggiungerà mai il livello di Aaron, ma..."

"Gli Anderson sono londinesi".

"Così ho sentito. Immagino che lo conosceremo a breve. Lui e tutta la sua famiglia. Probabilmente dovremo invitarlo qui..."

Il viso di bambola di sua madre si contrasse in una smorfia per un battito di ciglia. Subito dopo le sue labbra pallide si tirarono in un sorriso, che a Ruth parve privo del solito calore. 

"O forse no! Vedremo".

Ruth annuì. Dentro di lei quella prima, piccola bugia, luccicava come una pepita d'oro nel mezzo di un fiume. Per quanto tempo sarebbe riuscita a nasconderla?

Rotting RuthDove le storie prendono vita. Scoprilo ora