III

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"Hai imparato qualcosa di bello oggi?"

Sedute nel loro salotto privato, il suo preferito, Ruth si sentiva molto più a suo agio. Le piacevano gli spazi ben protetti e quel piccolo angolo, dove si aprivano solo strette finestre a ogiva, rendeva l'atmosfera calda, intima e piacevole. Il fuoco era acceso e l'aria profumava di fumo di legna, polvere e inverno, le fiamme riverberavano sul legno e gli arazzi tinteggiando tutto d'oro e carminio, si riflettevano negli occhi di vetro del fagiano e delle volpi impagliati.

Il signor Sandy le stava accoccolato sulle gambe, sopra la coperta di lana verde. La sua tozza codina color sabbia fremeva ogni volta che lei smetteva di carezzarlo dietro le orecchie. 

Avevano cenato con zuppa di zucca e pollo alle noci e uva passa. Alla fine, la signora Tansy le aveva preparato un tè caldo allo zenzero per tenere lontano il raffreddore e il suo sapore permaneva ancora sulla sua lingua. 

"Abbiamo letto un passo di Sogno di una notte di mezza estate" rispose Ruth. "E abbiamo imparato il Salmo 91".

"È un salmo molto bello. Tu non temerai gli spaventi della notte, né la freccia che vola di giorno, né la peste che vaga nelle tenebre..."

Elysia si era messa comoda, sul comodo divano di fronte al caminetto. Aveva sostituito il bel vestito da giorno con una camicia da notte che si chiudeva sul collo con uno svolazzo di pizzi. Sopra di essa, indossava una veste da camera che apparteneva a Ezrel, bordeaux scuro con ricami dorati. Ruth aveva visto la signora Tansy in abbigliamento notturno: camicia da notte, calzettoni bianchi e cuffia di pizzo. Nulla a che vedere con la sensuale bellezza davanti a lei. La veste da uomo le scivolava da una spalla esile, nascosta sotto il cotone bianco, facendola apparire ancora più giovane. I serici capelli biondi erano raccolti in una treccia disordinata, che le sfiorava la spalla. 

Ruth avrebbe potuto far finta che fosse sua sorella maggiore, per quanto poco si assomigliassero, con la sua liscia zazzera castana e gli occhi scuri. Sarebbe stato meno strano che considerarla come sua madre.

"Poi abbiamo corretto i compiti di matematica. I miei erano tutti giusti".

"Non mi sorprende".

"Quelli di Barbra Green invece non lo erano. È stata punita e ha dovuto stare all'angolo per un'ora".

L'etereo viso di Elysia si accigliò mentre ascoltava quelle parole.

"Se ti succede, voglio che tu me lo dica, Ruth. Mia figlia non verrà messa in nessun angolo, né riceverà alcuna bacchettata sulle nocche".

Ruth rimase in silenzio e si limitò ad annuire. Una volta la maestra delle arti femminili, la signorina Birchwood, le aveva inferto un paio di bacchettate sulle dita dopo essersi stancata di vedere i suoi punti storti. Era contenta di non aver detto niente a Elysia, non voleva che le sue compagne pensassero che fosse una privilegiata. Chissà cosa avrebbe potuto fare la sua madre adottiva a quella donna. Meglio non pensarci.

"Come sta Ambrose?" domandò. Era un tentativo goffo, ma aveva trascorso tutto il pomeriggio, mentre faceva i compiti di dizione, a chiedersi il perché della presenza del signor Smith in casa. Subito dopo averle dato un bacio, Elysia l'aveva congedata dolcemente, con la promessa di una crostata di mele cotogne ad attenderla in cucina. La torta effettivamente era lì, ma Ruth avrebbe sacrificato il dolce in cambio di qualche informazione. A volte il suo bisogno di sapere e capire era così struggente da farle venire le lacrime agli occhi. Ma non aveva ancora trovato dentro di sé il coraggio di riaprire il discorso con i signori Eglantine.

"Ambrose?" Elysia parve sorpresa dalla domanda. "Sta bene. La febbre ormai è un vecchio ricordo. Ezrel ha fatto un miracolo... Come spesso succede".

Ruth annuì, optando per l'ennesima volta per la ritirata. Ezrel era un medico molto famoso a St. Paul by-the-river. In verità era l'unico medico laureato presente, ma spesso la gente accorreva dai vicini villaggi e piccole città per consultarlo. Elysia le aveva detto che aveva studiato a Oxford. Ruth sapeva a malapena dove situare quella città dentro del regno della Regina, ma era certa fosse un immenso onore aver completato i suoi studi lì. Anche se, molto spesso, aveva come l'impressione che le persone non venissero tanto a chiedere un consulto a lui, quanto a vedere sua moglie. 

"E... il signor Smith..."

"Voleva ringraziarci. Ha trovato me, purtroppo Ezrel non c'era" le rispose prontamente la donna, con un dolce sorriso. "Ma stavamo parlando della tua giornata, bambina mia. Vai avanti".

Ruth sospirò dentro di sé. Si chiese se avrebbe dovuto parlare dei commenti maligni di Minnie e Mary Rose.

"Mi hanno chiesto di nuovo dell'... dell'istituto" mormorò. Preferì rimanere sul vago, senza fare nomi. 

Gli occhi grigi di Elysia si illuminarono di una luce che Ruth reputava sempre pericolosa. Era come vedere una minuscola brace ancora ardente in un letto di cenere. 

"Ah sì? E cosa chiedono? Cosa vogliono sapere?"

"Cosa facevo lì, e..."

"A quelle bambine, prima o poi, la vita vera cadrà addosso come un temporale estivo" tagliò corto la donna. "Una bella doccia fredda".

"Però... ecco... il fatto è che io non sapevo cosa rispondere loro, signor... madre".

"Non penso sia di loro interesse né diritto saperlo".

"Vero" concordò Ruth, per poi aggiungere, in un sussurro affranto: "Però continuo a non ricordarmelo".

Elysia la fissò in silenzio per qualche istante. Pur a occhi bassi, la ragazzina notava con lo sguardo il suo profilo, stagliato contro le fiamme. Avrebbe potuto essere la statua di una dea greco-romana durante il riposo, con quelle forme perfette e la veste di seta. Poi, la donna si alzò con un movimento fluido, un leggerissimo fruscio di stoffe ad accompagnare il movimento delle sue gambe. Quando la sua ombra la sovrastò, il signor Sandy aprì un occhio giallo, emise un debole miagolio e scese dalle gambe di Ruth, andandosene con la coda corta ben ritta. Elysia si sedette accanto a lei, le circondò una spalla con una delle sue esili braccia d'alabastro e si coprì le gambe con la coperta di lana.

Ruth si strinse a lei e chiuse gli occhi. Sua madre non sapeva di rose o violette o talco come la maggior parte delle donne adulte che aveva conosciuto. Elysia Eglantine sapeva di ippocrasso, di cannella e chiodi di garofano, di miele selvatico e more mature e bacche di ginepro, di aghi di pino bagnati dalla pioggia e foglie d'ippocastano decomposte nel ricco humus del bosco. 

Aveva il profumo dell'autunno, indossando colori d'inverno. 

"Tesoro mio, i tuoi ricordi torneranno" le sussurrò, le labbra tra i suoi capelli. "Non devi preoccuparti di questo. Ti fidi di Ezrel, vero?"

"Sì".

"E ti fidi di me, non è così?"

Ruth evitò di pensare ai suoi incubi. Non ne aveva mai fatto parola con nessuno. Non lo fece nemmeno questa volta. 

"Sì, madre".

"Allora non devi temere. Torneranno, anche se probabilmente non saranno piacevoli".

"Voi mi avete trovato lì? In quell'istituto?"

Elysia annuì, Ruth percepì il movimento.

"Eri così malata, Ruth. Ti abbiamo portato via e ti abbiamo curato qui, in casa nostra. Tu avevi bisogno di una madre e di un padre".

"Perché io? Perché non una bambina sana?" domandò all'improvviso lei.

Elysia fece per risponderle, Ruth sapeva che era al punto di farlo. Solo che in quel momento, un nitrito squarciò la quiete della notte. 

"Ezrel è tornato" annunciò la donna, scostando la bambina con un sorriso splendido sulle labbra rosa pallido. "Finalmente. Termineremo questo discorso un'altra volta, Ruth". Si alzò in piedi, si sistemò meglio la veste da camera rubata, ridacchiando come una ragazzina, poi le tese una mano. "Andiamo, forza. Sarà stanco, andiamo ad accoglierlo".

Ruth annuì. Si disse che non era importante, che avrebbero parlato un altro giorno. Prima o poi sarebbe successo. 


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