Capitolo 17

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Corsi all'impazzata, cercando di non cadere sul sentiero che ormai conoscevo a memoria, ma da cui continuavo puntualmente a inciampare.

Entrai come una furia nel villaggio, percorsi le viuzze in terra battuta, spingendomi contro le pareti per tagliare laddove queste curvavano.

I paesani mi videro sfrecciare tra di loro come una pazza, senza fermarmi neanche un momento per prendere fiato.

Alcuni al mio passaggio si scansarono, inveendomi contro, altri mi vennero addosso, richiamando ogni santo della loro memoria.

In entrambi i casi non cambiai mai la mia direzione.

Nessuno avrebbe potuto costringermi a spostarmi, c'era la salute della mamma di mezzo.

Arrivai infine di fronte a una casa in pietra con un palo di legno attaccato all'esterno.

Il palo era un'agghiacciante raffigurazione di ciò che il padrone di casa faceva per mestiere: era avvolto da garze dai colori alternati che si muovevano con nauseante grazia ad ogni folata di vento.

Le garze erano bianche e rosse.

Le prime, apparentemente pulite, rispecchiavano il prima.

Le altre, intrinse del sangue "empio" dei concittadini, rappresentavano il dopo.

Salassi.

Ero nel posto che stavo cercando.

Ero dal barbiere, nonché cerusico del villaggio.

Bussai come aveva fatto Fiona Griffith poche ore prima, l'ansia e il nervosismo che mi stavano corrodendo da dentro.

Bussai ancora, ma nessuna risposta.

− Signor Hartford!

Urlai con tutta la forza dei miei polmoni.

Di nuovo, nessuno si fece vivo.

Continuai a bussare e ad urlare.

Avrei perseverato fino a farmi cadere le mani e perdere la voce.

Avessi avuto più forza avrei buttato giù la porta a spallate.

Ma seppur più muscolosa delle mie coetanee ero fin troppo gracile per il massicio legno del portone.

Alla fine, sfiancato dalle urla fuori dal suo uscio, il cerusico mi aprì.

La prima cosa che vidi fu un bel ceffone.

Poi arrivò la ramanzina.

− Che diavolo ti urli tu?! Non sai che sono occupato, eh? Vuoi farmi perdere tempo?

Non riuscii a rispondere nell'immediato, la guancia bruciava e mi concentrai a ricacciare indietro le lacrime.

Quando ripresi un po' di controllo, parlai.

− Signor Hartford, mia madre sta male! Sta molto male! Ha dei forti dolori di stomaco e ha cominciato a vomitare sangue! La prego ci aiuti!

La voce tremava, non ero in grado di controllarla, percepivo come tutto il mio terrore fuoriuscisse tramite quelle parole e non potessi fare nulla per fermarlo.

Non m'importava però, non era la dignità di cui avevo bisogno al momento.

Il cerusico fece una smorfia infastidita.

− Ugh, sarà solo dell'indigestione, vattene a casa.

Udito ciò sgranai gli occhi. Non mi avrebbe aiutato facilmente.

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