La splendida luce gialla

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<< Bellamy non costringermi a farlo. >>

<< Non mi sparerai Clarke. Il ponte sta per chiudersi, dovresti andare. >>

<< Non senza quel quaderno. >>

<< Guardati Clarke! Che cosa stai provando in questo momento? >>

<< io- >>

<< Per il necessario bisogno di proteggere qualcuno che ami, sei così disposta a uccidere il tuo più caro amico, qualcuno di cui ti fidi, colui che tre giorni fa ti ha riportato indietro dalla morte a causa della mania del non riuscire a rinunciare a te! >>
<< Tutta questa sofferenza può finire Clarke, anche Madi sta soffrendo! Non posso fare altro che condividerlo.. >>

<< Non posso lasciare che le facciano del male. >>

<< Ci sarò io a proteggerla. Così è come possiamo fare meglio. Questo è l'unico modo. >>
<< Mi dispiace. >>

<< Anche a me. >>
Si udisce una colpo di pistola e Clarke si sveglia sobbalzando imperlata di sudore.
Si guardó intorno spaesata e si strinse le ginocchia al petto affondando la testa tra le gambe.
Erano passati due mesi da qual giorno, 61 notti a sognare sempre la stessa persona, a svegliarsi con il battito accellerato e continuare a piangere per il resto della giornata.
Erano passati due mesi e l'accampamento aveva già preso una forma stabile, le capanne ben sistemate e gli strumenti da cucina ben ordinati in una lastra di pietra costruita da John.
Erano passati due mesi dal giorno in cui aveva perso le due persone più importanti della sua vita, e per giunta a causa sua.
In questi mesi era riuscita a rilassarsi qualche volta, ma la sua vita continuava ad essere imperfetta, incompleta. Ogni volta cercava una motivazione per andarsene, scappare dallo sguardo ancora irato di Octavia, scappava da tutto e da tutti rifugiandosi davanti quel lago, proprio quello dov'era seduta in quel momento, l'unico posto che gli ricordasse lui.
La riva dove Bellamy le confidò i suoi sentimenti, dove le spiegò la sua ira e dove lei lo abbracciò facendosi stringere dalle sue braccia.
Gli mancava, troppo, eccessivamente.
Il lago dove lui la perdonó per essersene andata, e dopo lei lo ha ucciso.
Senza pietà, neanche il tempo di spiegare. Non ha cercato nemmeno di capirlo, ha solamente sparato all'unica persona che realmente teneva a lei, soltanto per l'insistente bisogno di protaggere sua figlia. Anch'essa morta. Era rimasta sola, sola con gli 'amici' che fino ad una settimana prima la odiavano.
Non aveva più niente, non era più niente.

Quel giorno tutto sembrava più pesante, la ferita che spezzava in due il suo cuore sembrava più afflizionata e lacerante. Perdere le due persone che palesemente erano l'assioma della sua vita, la stava distruggendo, si stava consumando nel tempo.

Il sole splendeva, era ora di pranzo.
Clarke si alzó, si asciugò le lacrime e tornó all'accampamento, non voleva far preoccupare nessuno, non voleva creare altro scompiglio.

<< Ehi Clarke! >> la chiamò Jackson.
<< Dove sei stata, tutto bene? Ci hai fatti preoccupare! >>

<< Sto bene >> annuì impercettibilmente.
Il suo viso diceva tutt'altro, la sua espressione seria, i suoi bei occhi azzurri ormai velati di un grigio scuro e due macchie violacee che le contornavano gli occhi. Jackson la guardó preoccupato, ma non face domande: d'altronde non aveva niente da chiedere.

Rimase in silenzio per tutto il pranzo, mangió poco e niente. Seduta in disparte, lo sguardo basso, e una terribile idea nella mente. Ci pensava da giorni, ma non ebbe mai tale sangue freddo. Oggi l'avrebbe fatto, oggi se ne sarebbe andata. Stavolta per sempre, questa volta non ci sarebbe stato un Bellamy pronto a salvarla.

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