12. Quando Týr ci mette lo zampino...

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Marco non ha mai usato i suoi poteri durante quegli allenamenti. Mai, neanche una volta. Non ha neanche mai avuto bisogno di usare il suo potere rigenerante, data la scarsità della ragazza.
Ma adesso, con suo enorme sconcerto, si è ritrovato costretto a ricorrere a quel "trucco" per rigenerare la pelle lacerata dell'avambraccio, profondamente dilaniato da una delle lame dei pugnali sai che la ragazza ha imparato ad usare.
Si è ritrovato, inoltre, a fare quasi sul serio, a dover parare i potenti colpi che la ragazza prova ad infliggere a parti ben mirate del suo corpo, quali testa o addome, e anche a dover provare a mandare a segno qualche colpo, mancandola sempre all'ultimo secondo.
«Stai migliorando, ragazzina.» ridacchia con aria strafottente, bloccando prontamente un calcio della ragazza, troppo vicino alla testa «Ma sei ancora molto lontana dal potermi battere.»
Akemi sghignazza divertita, accucciandosi velocemente a terra e roteando su sé stessa con una gamba ben tesa, facendogli lo sgambetto. In fondo, dove sta scritto che un pirata deve combattere in modo leale?
Marco finisce con la schiena a terra e, prima che possa avere il tempo di reagire, si ritrova schiacciato al suolo sotto al corpo di Akemi, che ghigna con aria trionfante e sicura.
«Vinco io.» afferma con arroganza, tenendogli i polsi bloccati sopra alla testa.
«Ne sei sicura?» controbatte il maggiore, intrecciando una gamba alla sua e ribaltando la posizione con un forte colpo di reni, tenendola a sua volta inchiodata a terra.
Si guardano per un breve istante con aria spersa, troppo vicini per i gusti di entrambi, e mentre Marco cerca di elaborare la cosa, di archiviarla come un evento qualsiasi, Akemi sotto di lui si rigira prontamente, inchiodandolo di nuovo sul pavimento della palestra, a cavalcioni sul suo ventre.
Avvicina lentamente il viso a quello del comandante, senza abbandonare neanche per un istante quel sorrisetto arrogante che mai prima di allora Marco le aveva visto. Si avvicina tanto da poter sentire il suo respiro caldo sulla pelle e questo non fa altro che animarla ulteriormente.
«Assolutamente.» mormora con un filo di voce, prendendo un poco le distanze, ridacchiando felice per essere riuscita finalmente ad atterrare la leggendaria e sin troppo arrogante Fenice. Gli lascia finalmente andare i polsi, passandosi le mani tra i capelli scompigliati e sospirando rumorosamente, stanca come ogni terzo giorno dalla trasfusione.
Marco fa leva con un braccio per alzarsi un poco col busto, poggiandosi sul gomito, guardandola con aria divertita «Questo non prova niente.»
«Questo prova che sono io l'essere superiore, carino!»
Si alza di scatto, Marco, mettendosi a sedere e bloccandole la vita con un braccio per tenerla ferma e puntandole uno dei suoi stessi pugnali alla gola «Sicura?»
Akemi abbassa gli occhi su di lui, completamente priva di paura, e un ghigno divertito le increspa le labbra rosee «Al mille per cento, comandante.»
Sono vicini adesso, troppo vicini.
Il braccio di Marco pare quasi avere vita propria e si stringe ancora di più attorno alla vita sottile di Akemi, costretta così ad avvicinarsi ulteriormente, tanto da far combaciare i loro busti.
Rimangono immobili, guardandosi dritto negli occhi con aria di sfida, tanto vicini che le punte dei loro nasi si sfiorano. Sono completamente ipnotizzati l'uno dagli occhi dell'altra, tanto da non rendersi neanche più conto di quanto li circonda.
Ma a rompere il loro momento di pura intesa ci pensa il sordo rumore di una palla di cannone. Akemi, grazie al suo finissimo udito, sente che ha mancato la nave per si e no mezzo metro.
Scattano in piedi come due molle, accantonando velocemente quello strano momento che si era venuto a creare e subito corrono verso la porta, pronti a dar man forte.
Marco affretta il passo, staccandola di poco e arrivando per primo sul ponte della nave, dove tutti si preparano all'attacco di una ciurma avversaria.
Per un brevissimo istante gli viene pure da ridere, perché trovare qualcuno così stupido da attaccarli è un po' come sentire una barzelletta, ma torna subito con i piedi per terra e si prepara a difendere la loro preziosa e vulnerabile imbarcazione.
Akemi arriva sul posto qualche secondo dopo e immediatamente prova un forte senso di smarrimento. Non aveva mai partecipato ad uno scontro simile, non sa come si deve muovere, ma sa bene che qualcosa deve fare pure lei. È parte della ciurma tanto quanto gli altri, in fondo.
Ma questa sua rosea convinzione viene immediatamente distrutta dalle parole dure e concise del suo comandante.
«Akemi, resta ferma e guarda come si fa.» afferma infatti Satch, mettendole una mano sulla spalla e spingendola indietro per proteggerla. Sa bene che Marco la sta facendo lavorare sodo e che nel periodo il cui non si parlavano più si allenava un po' con tutti gli altri, ma sa altrettanto bene che non sarebbe in grado di combattere senza l'aiuto di uno di loro. E nessuno può permettersi di buttarsi in uno scontro dovendo pure guardare le spalle a qualcun altro.
«Cosa?! NO!» strilla contraddetta la minore, puntando i piedi a terra e guardandolo con astio.
«È un ordine.» sibila a denti stretti il comandante mentre molti uomini partono al contrattacco.
Barbabianca, dal suo seggio, resta calmo ad osservare la scena. I suoi adorati figli sono perfettamente in grado di difendersi da piratucoli di quart'ordine, non hanno bisogno del suo intervento, quindi è assai meglio per la sua salute se rimane fermo. Odia doverlo ammettere, ma la sua malattia l'ha indebolito parecchio. Certo, in caso di bisogno sarebbe perfettamente in grado di contrastare anche un Ammiraglio, ma è sempre meglio evitare sforzi inutili.
«Satch, forse dovrebbe provare. Mal che vada l'ammazzano!» afferma convinto Ace, sperando di far ragionare il fratello. In effetti, poi, non ha neanche tutti i torti: se non può essere definitivamente uccisa, perché mai impedirle di divertirsi un po'?
«Geniale, Ace.» ringhia in risposta Satch, pronto ad entrare in azione.
«Non puoi pretendere che impari a cavarsela da sola se la tiri su a pane e zucchero!» lo contraddice con un certo fervore Pugno di Fuoco, sbarrandogli la strada.
Akemi lo guarda con occhi pieni di speranza e riconoscenza, ma la risposta di Satch fa crollare ogni sua aspettativa.
«HO DETTO CHE RESTA QUI!»
«Tu non resterai qui...» alza di scatto la testa, Akemi, cercandolo in mezzo al caos che è venuto a crearsi sul ponte, capendo però che, come ormai accade spesso, è solo nella sua testa «Adesso gli facciamo vedere come si gioca.» 'Cosa?'
Il suo corpo si intorpidisce all'improvviso: le gambe si immobilizzano, le braccia si fanno pesanti, così come la testa. Chiude gli occhi, senza riuscire a respirare.
'Che diavolo succede?!'
Il panico l'assale completamente quando si rende conto che il suo cuore smette di battere e dopo un secondo si ritrova reclusa nel limbo nero. In sé è come le altre volte, con l'unica eccezione che riesce a vedere nitidamente cosa sta succedendo fuori.
«Adesso vi faccio vedere come si fa.» mormora con tono divertito Akemi, attirando l'attenzione di alcuni uomini a lei vicini, che le domandano cosa voglia dire.
Quello che però non sanno è che non è stata realmente lei a parlare. Si, la voce è la sua, così come il corpo che si muove lento e sinuoso verso la polena, ma non è lei, bensì Týr, che ha momentaneamente preso in prestito il suo corpo.
Si muove piano, un sorriso sadico e sarcastico in volto, gli occhi illuminati da una luce diversa e pure il colore è differente: più intenso, più acceso.
«Cosa cazzo fai, Akemi?!» gli urla Satch non appena la vede saltare sulla nave avversaria, che nel frattempo sta provando ad affiancarli per salire a bordo.
Akemi, o per meglio dire Týr, non ascolta minimamente, con l'unico fremente desiderio di mietere vite.
Un pirata prova a colpirla, ma Týr è più veloce: scatta in basso, evitando il pugno che probabilmente gli avrebbe rotto la mascella, e poggia i palmi delle mani a terra, alzando di scatto le gambe per colpirlo con inaudita violenza sotto al mento, sbalzandolo all'indietro.
Nel frattempo lo scontro inversa, i pirati si scontrano tra di loro e all'inizio nessuno presta attenzione a quanto la ragazza sta facendo, finché le urla di terrore non diventano insopportabili. Solo a quel punto tutti voltano la testa, guardando con occhi increduli quello che sta facendo: si muove velocemente, troppo per seguirne a pieno i movimenti, scattando da un lato a l'altro, lacerando le gole dei malcapitato con gli artigli affilati, colpendoli con estrema precisione e brutalità in punti vitali come la bocca dello stomaco* o il cranio. La cosa più sorprendente e, soprattutto, spaventosa di tutto quello sta nel fatto che sorride mentre lo fa. Un sorriso carico di sadismo e divertimento.
Týr, dal canto suo, è al settimo cielo: finalmente ha la possibilità di muoversi di nuovo a proprio piacimento, per quanto sia consapevole che la cosa sia controproducente. Ma non riesce a trattenersi: uccidere è la cosa che in assoluto gli è sempre riuscita meglio.
Una spada si conficca fastidiosamente nel fianco di Akemi, affondando nella carne in profondità. Týr semplicemente si gira di tre quarti, guardando con aria profondamente scocciata colui che ha avuto l'ardore di attaccarlo.
«Questo mi da molto fastidio.» afferma semplicemente, afferrandogli con decisione un polso e stringendolo così dolorosamente da costringerlo a lasciare l'arma. Lo guarda fermamente negli occhi, accennando un sorriso divertito. Con un movimento secco e preciso poi gli torce la mano all'indietro, facendo fuoriuscire l'osso spezzato.
L'uomo urla per il dolore e in poco si ritrova in ginocchio, sotto la pressione esercitata dalla ragazza. Aveva sentito qualche voce sul suo conto, ma mai avrebbe pensato che una ragazzetta con una taglia così insignificante avesse una forza del genere.
«Adesso ti restituirò il favore.» sorride, Týr, alzando una gamba e poggiando il piede sulla spalla dell'uomo, costringendolo a sdraiarsi di schiena.
Si abbassa a sua volta, riuscendo a portare il viso a pochi centimetri dal suo, mostrando così una notevole elasticità.
Con un movimento preciso e veloce pianta gli artigli nel fianco dell'uomo, facendolo urlare ulteriormente.
«Quello che sento è il tuo intestino?» domanda poi con un sorrisino divertito stampato in faccia, mentre con i polpastrelli tocca i tessuti dell'organo lasciato volontariamente intatto.
Pochi istanti prima che la vita lo abbandoni, Týr decide di infierire ulteriormente: con un gesto deciso estrae l'organo dal suo corpo, stringendolo fermamente nella mano, mettendolo in bella vita davanti a tutti.
Alza piano gli occhi sugli uomini che ha di fronte, immobilizzati dalla paura «Qualcun altro?»
«Prendete quello che volete... ce ne andiamo...» supplica il capitano, alzando le mani in segno di resa e facendo esultare i pirati che aveva erroneamente pensato di poter battere.
Týr, in tutta tranquillità, si dirige verso la Moby Dick, risalendo a bordo con nonchalance, sempre con la spada conficcata nel fianco, sporco di sangue dalla testa ai piedi. La cosa, in realtà, non gli crea il minimo problema.
'Direi che adesso posso lasciarti.' pensa, ritirandosi di nuovo e ridonando il corpo alla proprietaria, che comincia subito a guardarsi attorno con sguardo perso ed impaurito. Abbassando gli occhi, poi, nota la lama nella sua carne e il panico l'assale completamente.
«Toglietemela...» mormora sul punto di scoppiare a piangere e subito Halta va ad aiutarla, estraendola con uno strattone deciso, tamponando poi con le mani il sangue che scorre vischioso.
Alcuni pirati, nel frattempo, sono montati sulla nave avversaria e la stanno depredando, prendendo tutto quello che possono e portandolo sulla Moby Dick.
Barbabianca guarda la figlia con sguardo oltremodo sbigottito, incapace di credere che praticamente da sola sia riuscita a mettere in fuga una ciurma rivale. Certo, non erano questo granché già ad occhio, ma erano pur sempre arrivati nel Nuovo Mondo! Degli impediti completi non potevano certo essere.
«Come diavolo hai fatto?» le domanda a bassa voce Halta, osservando con sguardo quasi spaventato la ferita che si richiude assai velocemente sotto ai suoi occhi «Guarda che roba...» ci passa piano le dita sopra, sfiorando la pelle perfettamente rigenerata.
I loro occhi s'incrociano per un breve istante e Halta riesce a leggerci dentro uno sgomento infinito, cosa che le fa accendere dentro un campanello d'allarme.
Le viene da vomitare ad Akemi; sente il corpo ancora intorpidito e il cuore avvolto dalla paura più nera. 'Non sono stata in grado di fermarlo... non ho potuto fare niente.'
«Era un gioco, ragazzina. La prossima volta ti lascio fare da sola.»
Si porta una mano alla testa, Akemi, cercando di sopprimere quella voce che la sta mandando al manicomio.
«Marco, devo farti i miei complimenti, sul serio. L'hai fatta diventare una forza della natura!» afferma un più che esaltato Blamenco, battendo le mani per enfatizzare il tutto.
I presenti gli danno man forte, esultando felici per gli assai notevoli risultati della sorellina. Perché si, per quanto macabra sia stata quella scena, per quanto li abbia fatti rabbrividire, si è comunque mostrata in grado di difendersi da sola e di avere la stoffa della piratessa.
«Non è merito mio...» mormora un più che confuso Marco.
L'ha allenata molto e per questo è consapevole che non sarebbe in grado di fare una cosa simile. È vero che l'ultima volta che ha attaccato ha fatto una strage simile, ma quella volta i movimenti erano più confusi, animaleschi, mentre stavolta erano puliti, perfetti. Ogni volta che lacerava una gola sembrava quasi un abilissimo chirurgo che incide con estrema precisione con un bisturi, più che consapevole di quale sia il punto da incidere e quanto a fondo premere.
«Ora non fare il modesto, via!» lo riprende Atmos, mettendogli un braccio attorno alle spalle e scuotendolo un poco, senza però riuscire a svegliarlo dal suo stato di sconcerto.
«No, sul serio.» controbatte Marco, togliendosi il braccio dell'amico di dosso e continuando a guardare con insistenza Akemi «Non le ho insegnato io quella roba.»
I due si guardano per qualche secondo dritto negli occhi, quasi volessero cercare entrambi delle risposte, finché Akemi non abbassa repentinamente lo sguardo, notando gli artigli scuri ancora gocciolanti.
«Penso che andrò a farmi una doccia...» afferma titubante, cercando di allontanare il pensiero che è ricoperta in buona parte dal sangue degli uomini che ha ammazzato. Alzando per un breve istante lo sguardo, poi, incrocia quello oltremodo furioso di Satch e un brivido le corre lungo la spina dorsale. 'Sempre più nella merda... riuscirò ad imboccarne una giusta?!'
Se ne va con la coda tra le gambe mentre tutti esultano per la schiacciante vittoria, felici di aver trovato un nuovo pretesto per far baldoria.
Cammina piano, il corpo che a poco a poco viene scosso da leggeri tremori, i passi che si fanno sempre più instabili, quasi il pavimento diventasse di gelatina sotto ai suoi piedi.
Non riesce a capacitarsi di quanto appena accaduto, del fatto che quel pazzoide si sia preso senza tante cerimonie possesso del suo corpo, che l'abbia costretta a compiere un tale massacro. È vero, è una piratessa ricercata, ma lei non vorrebbe arrivare ad uccidere nessuno. Far del male si, soprattutto per difesa personale o per quella del suoi cari, ma non uccidere.
Entra nella cabina con passo instabile, scossa da tremori sempre più forti e ravvicinati tra loro. Una sensazione di fastidio al petto la soffoca, come se ci fosse sopra un peso, e il respiro diventa sempre più corto, come se stesse asfissiando. Sente il naso e le mani formicolate, mentre il cuore pompa sempre più forte.
Si attacca con le spalle al muro, cercando inutilmente ossigeno, mentre quelle sensazioni si intensificano, facendole salire il panico alle stelle.
Si porta una mano tremante al petto, stringendo convulsamente la maglietta all'altezza del cuore, quasi volesse strapparsela di dosso per avere un ostacolo in meno per respirare, come se fosse quella la causa della sua quasi asfissia.
Sente di sfuggita i passi di qualcuno avvicinarsi pericolosamente alla sua porta ancora aperta e l'idea che qualcuno la veda in quello stato le provoca una forte sensazione di nausea.
Teach, incurante di ciò che sta succedendo all'interno della stanza, allunga un poco la testa per salutarla e farle i complimenti per il suo sorprendente talento, trovandola però in pieno attacco di panico «Ehi, ragazzina!»
Entra velocemente nella stanza, accovacciandosi di fronte a lei e guardandola con timore. Si ricorda vagamente che quando una persona è in questo stato bisogna metterle un sacchetto sul viso per aiutarla a regolarizzare il respiro, ma non ne è tanto convinto in quel momento, quindi pensa bene di andare a chiamare le infermiere «Ehi, ehi! Calmati! Aspettami qui eh!»
Non fa però in tempo ad alzarsi che Akemi lo afferra con forza per un polso, costringendolo a guardarla.
«N- no- non-» annaspa, provando a prendere fiato «re- respi- respir- o.»
«Devi calmarti, ok?» le prende una mano tra le sue, Teach, guardandola dritto negli occhi e sperando di tutto cuore di riuscire a calmarla a parole «Guardami: va tutto bene, ok? Non hai fatto niente di sbagliato, va bene? No, ehi, stammi a sentire, concentrati su di me.» le mette una mano sulla spalla, scuotendola piano, sorridendole nel modo più rassicurante che può «Sei stata bravissima poco fa, intesi? Hai lasciato tutti a bocca aperta. Babbo è fierissimo di te. Anche più tranquillo, a dirla tutta: adesso sa che ti puoi difendere da sola.»
Dopo una manciata di minuti, in cui neanche per un istante le ha lasciato andare la mano, il respiro di Akemi comincia lentamente a regolarizzarsi e il corpo trema sempre meno, permettendole di rilassare in parte i muscoli delle spalle.
«Brava, così, respira.»
«Grazie Teach...»
«Ma ti pare?» le sorride bonario, scompigliandole i capelli «Stai tranquilla, Akemi. Hai fatto un ottimo lavoro.» la rincuora di nuovo, alzandosi in piedi e dirigendosi calmo verso la porta, rigirandosi però prima di chiudersi la porta alle spalle «L'unica cosa, però, è che devi trovare una scusa accettabile con Satch per avergli disobbedito così spudoratamente. È abbastanza incazzato.»
'Perfetto.'
Si trascina con passo traballante fin dentro al bagno e senza esitazioni apre il getto dell'acqua calda, mettendocisi sotto ancora vestita. Poggia la fronte contro la parete fredda, cercando di riordinare i pensieri, sperando quasi di sentire le scuse di Týr per averle fatto una cosa del genere, perdendo la cognizione del tempo.
Riprende coscienza di sé solamente quando Tachi entra nella stanza, ricordandole che deve fare la trasfusione.
«Certo, arrivo subito.» risponde con tono piatto, chiudendo il getto e trascinandosi stancamente fin davanti allo specchio sopra al lavandino. Si guarda attentamente, notando quanto gli occhi siano spenti, circondati da occhiaie profonde, quanto la pelle sia sciupata.
'Perché mi riduco sempre così?' si domanda per l'ennesima volta, legandosi i capelli in una coda alta e disordinata, uscendo poi dal bagno per cambiarsi.
Afferra distrattamente la camicia di Satch che aveva indossato la sera prima e la indossa con movimenti frettolosi, uscendo subito dopo e dirigendosi con passo svelto verso l'infermeria.
'Prima lo faccio, prima finisco.' sbuffa sonoramente, ricordandosi solo in quel momento che dopo dovrà parlare con il padre. Perché Týr avrà pure fatto di testa sua e sicuramente presto si rivelerà un grandissimo bugiardo, ma Akemi non è tipo da infrangere la parola data.


La Fenice e l'angelo demoniaco Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora