Paul leggeva infreddolito la mappa che stringeva tra le mani guantate, ancora fermo alla fermata dell'autobus che era già andato via da più di un quarto d'ora.
Decise finalmente la strada da prendere, si sistemò lo zaino, prese la valigia nella mano destra e con l'altra continuò a reggere il pezzo di carta ormai oltremodo stropicciato, incamminandosi.
La città era piena di auto, gente indaffarata che correva qua e là senza fermarsi un attimo, pochi alberi tinti d'arancio dall'autunno: un formicaio brulicante di vita, chiasso e... pioggia.
Iniziò a piovere, prima piano, poi sempre più intensamente."Oh, fantastico", pensò il ragazzo calandosi quasi fino al naso il cappuccio del suo impermeabile verde; un piccolo broncio si dipinse sul suo visetto angelico ma continuò ad andare avanti un pochino più velocemente di prima, oppresso dal peso del suo pregno bagaglio.
Aveva messo una quantità indecente di abiti dentro quella piccola cartella, che sembrava sul punto di esplodere infatti, ma le cose importanti erano nel suo zaino da trekking... non preoccupatevi, ora scopriremo questi oggetti, e dove si stava dirigendo tutto bagnato Paul.
Andava incontro al suo sogno, a una promessa fatta alla madre sul letto di morte e a sé stesso; non sarebbero stati certo i goccioloni e il freddo a fermarlo, infatti, come se tutta la sua eccitazione fosse tornata a galla di colpo, corse a perdifiato per un tratto di strada, affidando al vento impetuoso la cartina che volò via.
Pochi isolati ancora lo separavano dal suo più grande desiderio, dal suo fato, dal suo futuro da star indiscussa. Saltava le pozzanghere slanciando le gambe sottili come se dovesse oltrepassare fiumi interi, con una precisione invidiabile nell'atterraggio e un sorriso stampato in viso che aveva cancellato il suo malumore; era libero come un'aquila, si alzava in aria e ridacchiava come se fare una spaccata in volo fosse la cosa più naturale del mondo.
I passanti lo guardavano come un gran fenomeno da baraccone venuto là a zampettare per farli ridere un po'; a Paul non importò nemmeno un istante di quegli occhi critici e cupi, a contrasto coi suoi, gioiosi e accesi.
Raggiunse un cancello altissimo, di ferro battuto, austero e semplice, che teneva distante la strada dal parco che custodiva con le sue alte braccia metalliche. L'area verde però, nonostante fosse a dir poco incantevole con le sue macchie d'alberi e le panchine, non era nulla in confronto all'edificio nel mezzo di essa.
Una struttura immensa, quasi intimidatoria, che comprendeva oltre a un grande esagono che doveva essere l'edificio centrale, due ali laterali che terminavano con due torri piene di finestre e fregi attorno ad esse. Era costruito con una pietra particolare, dalle sfumature color crema che facevano contrasto con le tegole del tetto che erano di una tenue sfumatura di blu che tendeva al grigio.
Le due torrette che segnavano la fine delle due ali, con le loro piccole finestrelle, non erano molto alte ma davano comunque un'aria ancora più austera e antica alla costruzione, già invecchiata nell'aspetto dai comignoli in vecchio stile che probabilmente erano posti sopra i locali delle caldaie; in un posto del genere una parola così moderna come "termosifone" sembrava quasi una bestemmia per quelle vetrate gotiche.
La pioggia aveva smesso di battere sul marciapiede cementato, e Paul abbassò il cappuccio rivelando la sua chioma corvina un po' spettinata dal lungo viaggio sulla corriera e dalla sua "esibizione urbana" di poco prima.
Non attese molto davanti all'ingresso, un anziano magrolino e con una prorompente gobba sulla spalla destra che lo sbilanciava tutto si recò zoppicando da lui, con un mazzo di chiavi in mano.
La voce aspra del vecchietto distolse il ragazzo dall'osservare la tenuta per qualche istante. "Giovanotto, se è qui per l'iscrizione mi dia nome, cognome e domanda di ammissione accettata. Giovine?? ALLORA! VUOI ENTRARE O NO??".
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Black Swan
Fanfiction"Liverpool eh?". Ci fu una breve pausa, poi una chiave lunga e dorata scattò nella serratura della cancellata. "Benvenuto...