Cap. 14

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Andava sempre più giù, seppellito dalle onde, il costume da cigno nero pesante e asfissiante tanto era pregno d'acqua, le bolle che salivano in superficie.

Il fitto retaggio dei raggi della luna lo investiva, lo teneva come una rete in bilico tra il fondale e la superficie;
chiuse gli occhi, serrandoli con violenza, sperando che qualcuno lo avrebbe salvato dall'annegare.

"Paul, Paul".

Qualcuno lo chiamava sommessamente, ma chi era non lo sapeva, l'acqua ovattava i suoni, percepiva solo il battito del suo cuore che impazziva.

Due braccia magroline lo tirarono su, gli fecero infrangere la superficie del mare in burrasca e lo tennero a galla, non doveva tornare giù.

George gli pose delicatamente una mano sulla spalla, destandolo dall'allucinazione, prendendolo per mano e portandolo ai camerini senza battere ciglio.

"Tocca a me?" chiese perso Paul, non sapeva da quanto tempo era stato immerso.

"No", fece secco George, "però devi finire di prepararti", e lo spinse nel camerino mentre picchiettava nervoso le nocche allo stipite della porta.

Il costume che Paul indossava non gli piaceva, troppi fronzoli inutili e troppe parti separate tra loro, così il ragazzo lentamente si sfilò i pezzi che vedeva futili e li lasciò a terra.

Rimase con le calze nere, le mezze punte del medesimo colore e un'elaborata casacca con i lacci lasciata non troppo aperta sul davanti; aveva tinto temporaneamente qualche capello d'argento, così da ottenere delle linee che gli solcavano il capo come dei filamenti.

George lo fece sedere, prese ance lui posto su una delle sedie alte davanti agli specchi e prese la mano dell'amico, guardandolo fisso negli occhi.

"Geo io devo dirti una cosa" fece Paul timidamente, distogliendo lo sguardo dagli occhi scurissimi dell'altro, "io sono omosessuale. Il punto però è che... insomma, c'è qualcuno a cui piaccio e che piace a me ma non so se sto facendo una gran cavolata o no".

George non rispose subito, prese tra il pollice e l'indice il volto dell'amico e si limitò ad aggiustargli un po' il trucco pesante che aveva sugli occhi, poi sorrise:" Sono sicuro che questo ragazzo, chiunque sia, non importa può essere anche un ottantenne per me, è fortunato a stare con te Paulie, davvero. NO...Non ti azzardare a piangere che ti sciogli tutto, ci ho messo mezz'ora, dai!".

Il moro sorrise, abbracciando l'amico nel suo costume da principe Albrecht, stando attento a non guastare il capolavoro pittorico di Geo:
gli aveva alzato gli zigomi, gli occhi erano contornati da spesse linee nere che andavano ad intrecciarsi leggermente sul finale, sull'attaccatura dei capelli tirati indietro col gel aveva dipinto delle piccole piume che sembravano uscirgli dalla carne per poi unirsi alla chioma.

"Andiamo su, o perdiamo il tempo di entrata", si riscosse il castano prima di scattare in piedi e iniziare a correre.

Pattie lo stava giusto aspettando, radiosa nel suo costume da contadinella; stava guardando Yoko, che sul palco stava seriamente superando i limiti della gravità.

La ragazza mora scattava sulle punte in un battito di ciglia e cambiava rapida le direzioni che prendeva, come un'ape con un vestito corto da flamenco che ronza da un fiore all'altro;
non perdeva una battuta, saltava in spaccata e il pubblico applaudiva entusiasta ogni volta.

Yoko rientrò dietro le quinte sconquassata e affaticata, madida di sudore e con le ginocchia tremolanti, e i suoi amici erano là per abbracciarla.

George e Pattie si fecero subito avanti sulla scena, entrambi molto tesi.

George guardava davanti a sé, sorridendo più che poteva e con il tipico fare spavaldo del suo personaggio e cercando di resistere dal sistemarsi i boxer che proprio in quel momento, sotto le calze turchesi, avevano deciso di farsi un giretto dove non dovevano.

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