Cap. 9

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"Dovete proprio andare?".

Paul guardava mogio le valigie aperte sul letto di George e di Richard e ogni tanto lanciava occhiatine da cagnolino bastonate per far un minimo impietosire i suoi compagni, non voleva che partissero.

"Sono solo le feste di Natale Paulie, torneremo presto. Vorrei restare ma la mia famiglia mi aspetta a casa", rispose Ringo abbozzando un sorriso per tirar su di morale l'amico.

"Ah vero, MADRE RUSSIA!", scherzò George marcando l'accento russo appositamente per far storcere il naso dell'altro che borbottò un insulto nella sua lingua natia e continuò a fare i bagagli.

"Tu dove andrai Geo?" chiese Paul ormai rassegnato mentre vedeva proiettarsi davanti a sé un lungo tunnel di solitudine in accademia per quelle settimane.

"Francia Paul, Parigi! La città dell'amore, delle baguette, dei croissant, dei macaron, delle crepes... cibo amici miei, CIBO! Chissà forse una bella pulzella si innamorerà dei miei muscoli... o del mio appetito, dipende da cosa vede prima".

Risero, ma il riso non cancellò il sapore amaro di quell'addio; sembrava che dovessero salutarsi per anni, invece era solo fino a febbraio, se la sarebbero cavata.

"Resterò solo, di nuovo. I messaggi non annullano le distanze" pensò Paul scoraggiato mentre guardava dalla finestra gli altri studenti che si avviavano saltellando oltre il cancello aperto dal nonnino che il primo giorno lo aveva accolto; dalle voci pareva si chiamasse Peter.

La neve cadeva lentamente e presto il parco deserto fu bianco come quella sera... se non fosse stato per John.

Il ragazzo prese una felpa pulita, il giaccone pesante, mise le scarpe da ginnastica e una sciarpa, poi scese in cortile; uno sguardo nocciola lo seguì mentre usciva dal portone principale della scuola.

Paul corse e i fiocchi di neve lo avvolsero rapidamente, in un turbine festoso, come a dargli il benvenuto tra loro.

Il freddo gli morse il naso, lo abbracciò con una piccola brezza gelata che mandò una scossa elettrica sulla colonna vertebrale del ballerino che rabbrividì appena.

Un rametto scricchiolò e lo fece irrigidire, mettendolo in allerta e tendendogli i muscoli come archi pronti a scoccare una freccia.

"Se sei venuto qui per lasciarmi ancora mezzo svenuto o per darmi delle pillole da mettere nella borsa Sutcliffe, io ti avverto, non mi tratterrò stavolta. Non hai altri interessi, sei quasi ossessionato da me, ti piaccio per caso? Non devi tornare a casa per Natale? Tu, sudicio maiale...", minacciò Paul voltandosi di scatto con una manciata di neve in pugno;
la sostanza cadde a terra nuovamente e il moro ammutolì, il rumore non l'aveva generato Sutcliffe, ma il Claudicante.

Lo guardava calmissimo, come se quelle parole non l'avessero colpito minimamente, anzi, quasi sorrideva, avvolto nella sua sciarpa di lana verde che sventolava avvolta dal placido vento.

"Temo di non avere steroidi per te ragazzo, non ti garantisco nemmeno una bella zuffa; posso offrirti un tea se ti va".

Paul seguì l'uomo come il topo attratto dal flauto magico del pifferaio e salì chissà quante scale prima di arrivare nella soffitta/ camera del suo maestro.

Alla luce del giorno si scorgevano pile su pile di libri, fogli, matite e penne, tele ammucchiate in un angolo, pouf, sgabelli e sedute di ogni tipo, un mini-frigo, una toilette di fortuna ma all'apparenza funzionante, un rubinetto e una vasca da bagno, un letto e un caminetto di fortuna con tanto di cappa.

"Non avevo dove andare da ragazzino, madame Powell mi ha insegnato in questo istituto e mi ha dato questo posto tutto per me e non ho saputo abbandonarlo a distanza di anni", mormorò John sedendosi sulla stessa poltrona che Paul aveva visto la sera prima dello spettacolo;
il castano spinse un pouf davanti alla sua sedia e l'allievo vi si accoccolò, levandosi il cappotto e la sciarpa.

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