Cap. 7

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Le prove andavano avanti senza sosta, giorni interi sulle stesse musiche e gli stessi passi stavano logorando il sistema nervoso dell'intera classe.

Era il 21 dicembre e quindi mancava ancora un giorno allo spettacolo, ma la tensione era già altissima e stava condizionando in negativo le vite degli allievi già normalmente ricolme di stress:
Pattie aveva due occhiaie mostruose sul suo adorabile viso che nemmeno il correttore riusciva a coprire del tutto, Ringo aveva preso il vizio di mordersi le unghie e Paul era pronto a giurare di aver sentito George che mugugnava delle intere transizioni musicali nel sonno, ed era anche intonato!

Stuart non sentiva la fatica, probabilmente faceva in modo di nasconderla e a quanto pare lo faceva benissimo, meglio di Paul che entrava all'alba in classe con gli altri, gobbo, coi capelli arruffati e coi segni del cuscino sulle guance.

"Serve la coperta, Linus? Qui non c'è posto per dormire McCartney", gli ricordava ogni sacrosanta mattina Lennon mentre sorseggiava una tazza di tea dietro l'altra senza darsi un attimo di tregua: abitudine o stress non si capiva, ma la quantità di teina che l'uomo ingeriva quotidianamente poteva tener sveglio un branco di elefanti per almeno due mesi.

Quella glaciale mattinata di dicembre, coi fiocchi di neve che piano piano avevano iniziato a scendere fuori dalle ampie vetrate, faceva venir voglia di prendere una felpa gigantesca, una coperta, mettersi sul divano, accendersi il camino e stare ore a guardare fuori;
molti avrebbero aggiunto un partner in questo assetto invernale, ma Paul no.

Lui stava meglio da solo, gli altri lo mettevano a disagio perché aveva sempre paura, il terrore del giudizio altrui lo bloccava da sempre.

Alle scuole elementari aveva incominciato a ballare incoraggiato dalla madre Mary, che lo aiutò a difendersi molteplici volte dagli attacchi dei suoi compagni di classe;
il padre non ne volle sentire nemmeno parlare e puntò sul fratellino di Paul, Mike, pressandolo perché facesse uno sport diverso e più "mascolino".

Alla morte prematura della madre, Paul rimase solo con la danza, e gli bastò quello, se lo fece bastare per andare avanti; andava nella sua scuola di ballo ogni giorno e si allenava ore su ore per combattere quel vuoto, soffocava la sua disperazione negli esercizi e resisteva, contro tutta la sofferenza e tutte le cattiverie che gli venivano dette.

A metà mattinata Paul non aveva ancora provato la sua seconda coreografia e se ne stava accanto alla finestra tranquillo e beato, concedendosi anche di indossare un maglione sopra la maglia a maniche corte; teneva la gamba tesa a novanta gradi senza sforzo, giusto per non far vedere a che livello dormiva in piedi.

"Bene signorina Ono e signorino Starkey, grazie. Danza cinese... signorino McCartney, smetta di poltrire e si levi quel maglioncino da comare di paese, grazie. Solo perché ha già provato il passo a due non vuol dire che deve dormire, venga col signorino Sutcliffe entro venti secondi o le bastono le ginocchia a due a due finché i colpi non diventano dispari.
Bene, a ritmo ragazzi", concluse con tono più pacato il docente e fece partire la musica.

Già dai primi passi Paul sentiva che c'era qualcosa che non andava, Stuart era vicino, anche troppo e sembrava che non gli desse lo spazio giusto, si sentiva quasi oppresso dall'altro, in ombra.

"James Paul McCartney in ombra? Eh no, no e poi no!" pensò fulmineo e si allargò a sua volta contro il ragazzo, spingendolo più in là con una leggerissima ma efficace spinta con il fondoschiena.

Dal far tornare il suo rivale al suo poso a voler diventare il solo e unico ballerino in coreografia il passo però fu breve.

I due si spingevano via con delle abili mosse quasi impercettibili da occhio poco attento, dimenticarono l'espressività e diedero spazio sul loro volto solo a ghigni e a risatine velenose. Sembravano a un passo dal picchiarsi, l'atmosfera era elettrica e sembrava che da un momento all'altro, se qualcuno avesse respirato troppo forte, sarebbe saltata in aria l'accademia.

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