Cap. 15

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Una folla di studenti si riversò fuori dal portone quel pomeriggio, alcuni di loro stringevano al petto i loro diplomi fiammanti, e tra questi c'erano anche George e Pattie; i due si appartarono sul retro dei giardini.

"Non resterò per il terzo anno, essendo supplementare vorrei approfondire per conto mio, per cambiare un po' aria", fece lei un po' preoccupata dalla reazione dell'altro che però sorrise e annuì.

"Nemmeno io, mi hanno offerto uno stage a Parigi dopo la performance finale", disse George mentre rigirava tra le mani il suo attestato; a Pattie brillarono gli occhi: "Anche io vado a Parigi in autunno. Potremmo, insomma, andare assieme. Sarebbe...carino".

George arrossì fino alla punta delle orecchie:
" Beh si, certo, potremmo andare a vedere la tour Versailles, CIOÈ la reggia di trionfo, MA CHE DICO, intendevo... MH, aspetta che ricomincio".

Un timido bacio sulla guancia del ragazzo fermò il suo balbettio nervoso, la bionda aveva afferrato, non c'era bisogno di spiegare un bel niente.

Harrison la guardava con lo sguardo che solitamente riservava solo ai biscotti, dolce e bramoso, poi prese coraggio e le diede anche lui un bacio, sulle labbra, catturandole il viso tra le mani smilze.

Richard, nel cortile principale, stava seduto su una panca a rimirare la sua licenza tanto sudata per tre lunghi anni lontani da casa. Sistemò il piede malconcio e ancora fasciato e si girò a dare un'ultima occhiata alla scuola: la struttura imponente splendeva nel sole di maggio, gli uccelli la sorvolavano cinguettando e il cielo era terso, tutto sapeva d'estate e di vacanze.

"Tu dove andrai?", chiese Yoko sedendosi accanto al ragazzo.

"Torno dalla mia famiglia in Russia, te presumo che andrai a studiare in Giappone, dopotutto hai già fatto tre anni qui", azzardò il giovane.

"Anche io torno a casa, sei perspicace Starkey", rise lei.

George e Pattie li raggiunsero, mano nella mano, stringendoli in un abbraccio che puzzava di addio, di chilometri di distanza, ma che faceva tornare alla mente i bei momenti assieme.

Ma dov'era Paul?

La corriera era in leggero ritardo, ma stavolta non era diretta a Liverpool, ma a Londra.

Paul stringeva a sé i suoi bagagli e il diploma, respirando l'aria fresca che gli solleticava il naso e guardando lo schermo del suo telefono.

Le foto sue e di John gli scorrevano davanti facendolo sorridere, dannazione quanto era pazzo di lui; le pose più assurde, teneri baci all'ombra degli alberi della scuola, la soffitta e il post spettacolo.

Gli venne in mente la loro ultima conversazione che lo travolse come un treno in corsa mentre saliva sul bus con le cuffie alle orecchie.

"Dove andrai" ,aveva chiesto lui, gli occhi lucidi e il fiato corto.

"Glasgow, lavorerò come coreografo", ribatté John mentre chiudeva la sua valigia nera.

"Vieni con me a Londra, il talent scout che mi ha contattato potrebbe avere un posto per te n compagnia", insistette il moro togliendo le mani del castano dalla cerniera che stava chiudendo, tenendogli per qualche istante i polpastrelli tra le labbra in un bacio.

"Paul, ascoltami. Non posso, te l'ho detto, la lontananza non mi farà dimenticare di te, lo sai. Sai, c'è questo magico strumento che si chiama telefono cellulare e sopra al tuo c'è il mio numero... dai Paulie, non piangere, ti prego".

"Ho promesso che non ti avrei mai lasciato ma non posso restare qui a scuola se mi hanno chiamato a Londra", disse il più piccolo tra i singhiozzi che gli bloccavano il respiro.

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