Cap. 3

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Una melodia al pianoforte riempì l'aria, vibrò dentro Paul, lo colmò completamente; quanto amava quello strumento.

"Signorino, ora esegua un riscaldamento basico, poi appena si sente pronto sposti la sbarra e torni al centro".

Quella voce odiosa aveva rovinato tutto, ancora. Il ballerino eseguì le cinque posizioni basiche tre volte, poi iniziò a sgranchirsi i piedi, le gambe e infine il busto con le braccia.

Controllò il più possibile la sua esecuzione, modulando i respiri e ripetendo mentalmente cosa doveva fare e come, figurando ogni mossa nella sua mente prima di farla.

La musica lo colmava, lo rilassava, gli fece dimenticare del sonno, della stanchezza, della fatica, di ogni negatività che gli infestava il cervello.

Terminò presto la prima fase, poi tolse la sbarra e tornò nella posizione precedente con il sorriso stampato sulle labbra; il riso era condiviso dalla donna e dall'uomo che annuivano, ma non da Lennon che restava freddo, impassibile.

"Improvvisi", disse semplicemente l'insegnante, ricevendo occhiate sorprese anche dai suoi colleghi.

"John, la prova era su...", accennò la donna. "So bene che era sulla tecnica basica, ma deve sapere improvvisare se qualcuno lo chiede, Cynthia. Preside Martin, prego".

Dallo stereo sotto la sedia del giudice più anziano, partì una nuova melodia, stavolta con gli archi a farla da padroni.

Con la gola secca dalla sorpresa, Paul prese fiato e cercò di mettere assieme una sequenza di passi nel suo cervello, ispirandosi ai balletti che da bambino vedeva con sua madre e che tanto lo rapivano.

Iniziò a muoversi sempre più con fiducia, sinuoso come un salice scosso dal vento, sicuro come il dardo di un tiratore scelto; si lasciò portare dalla musica, scordò la sala, quelli che lo guardavano e ogni suo piccolo dubbio svanì in quelle note, anche il progettare le mosse gli venne meno, una parte di lui sentiva che non ne aveva bisogno.

Si chiudeva su sé stesso e si riapriva, poteva essere un'onda o una goccia con la stessa facilità; serrò le palpebre e trattenne una risata sguaiata che minacciava di uscirgli da un secondo all'altro e decise cosa fare per il gran finale. Si spostò sulla diagonale destra della sala e, dopo una breve rincorsa, prese coraggio e saltò: spiccò un salto magistrale, aprendo le gambe in una spaccata a un pelo dalla perfezione; distese il busto e lo inclinò all'indietro, quasi a voler raggiungere con le braccia tese sopra la testa il piede che stava dietro.

Per quei brevi secondi di volo si scordò completamente del suolo, e si sentì benissimo, onnipotente e privilegiato da quella posizione così sopraelevata.

Atterrando fece un tonfo magistrale, perse l'equilibrio e riuscì per miracolo a riprenderlo per non crollare a terra come un salame davanti ai maestri.

La musica si interruppe, Paul tornò a capo chino al centro della sala, affaticato e sudato; l'avrebbero presa bene o sarebbe stata la ragione della sua espulsione?

Guardò tutti e tre i volti imperscrutabili, evitando quello di Lennon che ovviamente prese la parola per primo:
"Aspetto tecnico e teorico da migliorare, eleganza e portamento non fanno un ballerino ammirabile, ricordatelo. Improvvisazione interessante, più danza contemporanea che balletto classico, ci si deve lavorare molto. McCartney, non sei preciso come si dovrebbe, sei moscio su alcune cose e su altre ti tendi come un arco; manca il respiro, sei già stanco e ansimi come un cane. Sei davvero sicuro che questa scuola sia fatta per te?".

Il suo tono di voce era cresciuto di intensità man mano che andava avanti col suo commento, facendo ritrarre Paul nelle sue stesse spalle e facendogli desiderare il dono dell'invisibilità dopo che anche le sue orecchie ebbero preso fuoco.

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