Cap. 4

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"Li hai stecchiti Paulie!"

"Io lo sapevo che avresti spaccato"

"Amico, sei stato GRANDE"

"Posso stringerti la mano?"

"Posso portarti il borsone se vuoi..."

"Ehi ragazzi belli, aria", intervenne brusco George, strappando un estremamente imbarazzato Paul dalle grinfie degli allievi del primo anno.

"Mi guardano tutti..." ,disse il moro rosso in viso, "...non ho fatto nulla di speciale".

Ringo si accostò al duetto e presero posto in uno dei tavoli della mensa: "Sei il primo allievo che entra nel corso di Lennon e viene ammesso a pieni voti; te non sei solo bravo sei un miracolo. PAUL MCCARTNEY IL MIRACOLATO SIGNORINE E SIGNORINI, L'UOMO CHE HA PIEGATO...".

Paul prese Richie per la maglietta e lo trascinò seduto tappandogli la bocca con lo sguardo truce, mimando un "muto" con la bocca.

Il trio iniziò a divorare il pranzo con una rapidità attribuibile solo alle ruspe da cantiere finché, appena Paul stava addentano la sua mela, il salone si riempì di fischi, bisbigli e urletti femminili strozzati.

"Oh no...Paul non ti girare ti prego" bisbigliò Ringo, guardando un punto appena sopra la spalla del compare.

Una voce bassa e dura sopraggiunse vicina all'orecchio di Paul, che però rimase con lo sguardo fisso sul suo piatto e masticò con tutta calma la sua mela.

"Allora è vero quello che si dice in giro, un ragazzo ha passato l'audizione con Lennon, con i corsi già iniziati e con il massimo dei voti... un vero prodigio o un raccomandato?".

Tutta la mensa aveva il fiato sospeso, ma il ragazzo dietro a Paul aveva finito di parlare e la vittima delle accuse non aveva battuto ciglio dal suo pasto; appena il torsolo venne poggiato sul vassoio, Paul si alzò e si voltò per vedere chi aveva davanti.

Un ragazzo della sua età, forse poco più grande, con provocanti occhi castani come i capelli lisci; tutto di quell'individuo suggeriva un allenamento intenso di ore su ore ogni giorno, e questo ragionamento fece sentire Paul una piccola mozzarella in confronto.

Educatamente il moro sorrise e disse con naturalezza: "Piacere, io sono Paul McCartney, e no, non sono né un santo né un raccomandato, grazie per la domanda. Tu invece sei...?".

L'altro ragazzo squadrò un istante la figura esile che aveva davanti e sogghignò, non prometteva nulla di buono: "Stuart Sutcliffe, terzo anno. Sentimi bene fiorellino, qui dentro non c'è spazio per altri incapaci, non so come tu sia entrato qua e non mi interessa, ma non metterti tra i piedi".

Il tono intimidatorio con un vago accento tedesco non spaventava minimamente l'allievo più giovane, che sorreggeva stoicamente lo sguardo dell'altro, a malapena sbatteva le palpebre.

"Chissà magari avrai ammaliato i giudici battendo le ciglia, che ne dite? Dai, avanti ragazzino, deliziaci con questo spettacolo. Beh?!".
L'ultima parola era stata formulata con un tono di voce palesemente alto, incitando tutta la platea a un timido coro di approvazione.

"Lascialo stare", la voce fredda di George ruppe il coretto, i suoi passi verso Stuart rimbombavano pericolosamente, anziché da due piedi sembravano fatti da una mandria di buoi in corsa.

"Ehi, il vampiro si è destato dalla bara. Senti Harrison, non costringermi a ri-".

Risuonò il suono di un pugno, uno di quelli violenti, che si era infranto contro la guancia del veterano, che ora ribolliva di rabbia.

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