Capitolo 11: Howard Wolowitz e Raj Koothrappali

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Come avevo già accennato nel capitolo precedente, fu Penny a interrompere quel meraviglioso sogno in cui ero stata catapultata durante quel pomeriggio.
Sentì quest'ultima scrollarmi lentamente la spalla destra e, mentre fui portata in uno stato di dormiveglia, sentì queste sue parole:
"Ehi... Forza, svegliati...Su cucciola, è ora di tornare a casa..."
Dopo aver mugugnato, aprì lentamente gli occhi e, sempre con estrema lentezza, mi misi seduta.
Nonostante fossi ancora rimbambita per via di tutto quel sonno, mi ci vollero pochi attimi per metabolizzare questo piccolo particolare: non ero affatto in groppa a un drago. Quella in cui mi trovavo non era per niente la terra vichinga che stavo esplorando fino a poco prima e in mia compagnia non c'erano dei ragazzi con al loro fianco dei draghi come compagni.
Ero semplicemente nell'appartamento di Penny in compagnia di quest'ultima.
Sapevo che ciò che avevo vissuto era solo ed esclusivamente un sogno, però fu talmente tanto realistico da avermi creato molta confusione al mio risveglio. Penso che tutti abbiano vissuto almeno una volta nella loro vita un'esperienza simile, no?
Comunque, Penny richiamò la mia attenzione, mentre fui ancora immersa nei miei pensieri:
"Sei crollata subito dopo aver mangiato e hai dormito come un ghiro. Hai il sonno molto pesante, sai? Avevo addosso la costante paura di svegliarti, dato che ne ho approfittato per fare dei lavoretti. Ma sembra che neanche le cannonate riescano a tenerti sveglia mentre dormi. Meglio così, dopotutto."
Mano a mano che mi svegliai, il sogno di quel pomeriggio si fece sempre più vivido nella mia mente. Talmente tanto da risvegliare il mio sfrenato entusiasmo da infante che possedevo all'epoca.
"Zia Penny, ero sopra a un drago fino a poco fa!!!"
"Ah, davvero?" chiese lei con tono evidentemente confuso.
"Si, è la verità!" Detto questo, mi alzai dal divano e iniziai a correre per tutto il salotto con le braccia protese, come se volessi dimostrare ciò che avevo vissuto durante quel sogno. Le mie braccia, ovviamente, imitavano le ali del mio drago.
"Volavo sopra l'oceano, in mezzo a terre sconosciute... Ed era bellissimo!!! Yoo-hoo!!!" urlai io, presa dall'euforia di raccontare quel momento.
"Vedo che ti è piaciuto incredibilmente tanto quel cartone animato sui draghi" disse Penny, mentre continuai a correre.
"E poi, mi seguivano anche quei ragazzi e..."
Le mie parole furono frenate da Penny stessa, la quale era stata costretta a prendermi letteralmente al volo per poter frenare la mia inarrestabile corsa.
"Va bene piccola draghetta. Ma adesso, riposa un attimo le alucce, prima di rompere qualcosa."
"Ma non ero io il drago. Era il drago a trasportare me" dissi io ridendo.
"Allora perdonami, piccola cavalcatrice di draghi. Va meglio ora?"
"Si"
"Bene. Valentina, il sogno che hai fatto è molto bello. Ma adesso ti devo riportare a casa".
Il mio sguardo si fece subito più serio.
"E perchè?"
"Perchè devo andare al lavoro. E purtroppo non posso lasciarti da sola".
mi disse Penny mentre mi accarezzò la guancia destra.
"Ma se te ne vai, io dovrò rimanere di nuovo da sola con zio Sheldon. Non posso stare con te fino a quando non torna lo zio Leonard?" chiesi io, mentre feci gli occhioni dolci come segno di supplica. Penny sospirò pesantemente e, molto dispiaciuta, mi disse che anche a lei dispiaceva tantissimo lasciarmi da sola con Sheldon, ma che purtroppo si trattava dell'unica persona a cui potevo essere affidata sul momento. E se Leonard aveva già deciso di affidarmi a lui durante la sera precedente, non si poteva fare altrimenti.
Abbattuta, abbracciai Penny appena quest'ultima finì la frase.
"Ti voglio bene zia Penny" le dissi io poco dopo.
"Anche io ti voglio bene nipotina" rispose lei, ricambiando l'abbraccio. Rimanemmo abbracciate per qualche secondo, fino quando non fu lei a staccarsi per prima. Mi guardò negli occhi e mi disse:
"Beh, in fondo, poteva andare peggio. Hai rischiato di rimanere con lui per tutto il giorno e invece, sei stata la gran parte del tempo con me. È già qualcosa, no?"
"In effetti..." risposi io ancora dispiaciuta.
Dopo aver ricevuto ulteriori parole confortanti da parte di Penny, uscimmo dal suo appartamento e ci vollero pochi attimi prima che lei bussò al portone contrassegnato con il numero 4A, ovvero il portone di quella che per diversi anni sarebbe stata la mia casa.
E indovinate un pò quale essere ci venne ad accogliere?
La risposta è alquanto scontata, miei cari lettori.
Sheldon si stanagliò davanti a noi, dopo aver aperto quella porta su cui Penny vi aveva bussato pochi attimi prima.
Guardò prima lei, poi me, e successivamente, ci salutò (a modo suo, ovviamente).
"Ciao Penny. Ciao labradoodle"
Nonostante mi avesse chiamata utilizzando nuovamente quel nomignolo, prima che Penny potesse rispondere, ricambiai il saluto:
"Ciao zio Sheldon"
Inaspettatamente, quel saluto fece contorcere i lineamenti del suo viso.
"Illuminami: da quando sarei tuo zio?" chiese subito dopo guardandomi negli occhi, con le braccia conserte e con in volto un'espressione seria e allo stesso tempo molto stranita.
Quel suo modo di fissarmi e quella sua domanda mi misero tremendamente in soggezione e mi colsero alla sprovvista.  L'avevo chiamato in quel modo poichè sul momento pensavo che quell'appellativo l'avrebbe reso felice, così come qualche ora prima aveva reso contenta Penny. Ma purtroppo, come avete potuto notare, non fu così.
"Io...Beh....Ehm... È stata zia Penny a dirmelo..." gli dissi frettolosamente io. Beh, effettivamente, era la cruda verità. Dopotutto, era stata lei a dirmi che eravamo come una grande famiglia.
Lo sguardo di Sheldon puntò quello di Penny appena io finì la frase.
"E perché l'avresti fatto?"
"Sheldon, io le ho semplicemente ricordato più e più volte che tutti noi siamo la sua nuova famiglia. Per farla sentire a proprio agio e per farle dimenticare il suo passato. Qual'è il problema?"
"Qual'è il problema?!? Qual'è il problema?!?"
"Ci risiamo!" urlò un'ulteriore voce maschile proveniente dall'appartamento.
"Il problema è che lei non possiede alcun grado di parentela con nessuno di noi!
Dato che probabilmente non sarai informata, come al tuo solito, ti illuminerò io sull'argomento: per parentela si intende il vincolo che unisce le persone che discendono dalla stessa persona o, come il codice civile afferma, dallo stesso stipite.
Ai fini della determinazione del vincolo si distinguono..."
"Sheldon, so cosa vuol dire essere imparentati con qualcuno. E non c'è bisogno che me lo spieghi! È vero, non sarà una nostra vera e propria parente, però ammettilo: il fatto che abbia iniziato a chiamarci in questo modo è una cosa carina."
"Niente affatto Penny. Questo significa farla vivere in una costante menzogna e, per tua precisione, non si tratta per niente di una cosa carina. Se posso dire la mia, al massimo, potremmo considerarci come una sorta di sua "famiglia surrogata", ma..."
Sheldon non ebbe neanche il tempo di finire la frase che Penny esplose letteralmente davanti a lui. Sembrava che quest'ultimo, con solo l'ausilio delle sue parole, avesse fatto scoppiare la scintilla che pian piano di stava accendendo dentro di lei.
"Va bene Sheldon, pensala un pò come vuoi! Lei non è tua nipote, ok, hai ragione! Ora devo andare al lavoro e, davvero, grazie mille per avermi fatto innervosire di prima serata!"
Prima che Penny potesse avere il tempo di scendere i primi scalini, Sheldon chiamò la sua attenzione.
"Penny"
"Cosa vuoi ancora, Sheldon?" girò la testa lei, fissandolo con sguardo omicida.
"Non comprendo come io possa essere stato la causa di questo tuo improvviso scatto di forte nervosismo. In fondo, ho solo espresso la verità. Ma, nonostante questo, mi rincuora sapere che tu abbia capito."
"C'è qualcos'altro che vorresti dirmi?" chiese Penny utilizzando un tono di voce fortemente scazzato.
"No. Questo era tutto".
Scommetto che siete curiosi di sapere il mio pensiero su questa loro conversazione, vero?
Beh, non ho molto da dire. Penny mi aveva insegnato che non dovevo assolutamente dare ascolto a Sheldon. E quindi, era proprio quello che stavo facendo in quel momento, ovvero non ascoltare le sue parole.
Però, rimasi comunque amareggiata per una piccola cosa: a causa del nervoso che Sheldon aveva scaturito dentro di lei, non si era minimamente degnata di salutarmi prima di andare.
"Non mi saluti, zia Penny?" chiesi infatti io prima che se ne andasse.
"Oh, scusami piccolina, hai ragione" disse lei dispiaciuta, per poi tornare indietro e abbracciarmi.
"Ad ogni modo, non sei rimasta da sola con Sheldon. Ho notato che in casa sono arrivati un altro paio di nostri amici. Mi raccomando, comportati bene" mi informò Penny, prima di staccarsi dall'abbraccio.
Questa sua imminente notizia mi tranquillizzò alquanto. Certo, avevo già sentito nuove voci conversare dentro casa (e ne avete avuto la dimostrazione pure voi), però volevo ugualmente averne la certezza al 100%, prima di poter stare totalmente tranquilla.
Io e Penny ci salutammo poco dopo. Lei si avviò giù per le scale, diretta verso il suo posto di lavoro, mentre io entrai in casa, seguita a ruota da Sheldon, il quale chiuse la porta dietro di se.
Seduti sul divano vi erano due ragazzi che fino ad allora non avevo ancora avuto l'onore di conoscere: colui che sedeva al centro era un ragazzo dall'aspetto molto mingherlino. Pareva di gran lunga più basso rispetto a Sheldon e leggermente meno alto rispetto a Leonard.
Aveva capelli castani tagliati a caschetto e indossava un paio leggings neri molto attillati. Forse anche fin troppo attillati per uno come lui.
Quello che mi fece sorridere del suo aspetto fu però la faccia: pareva letteralmente quella di un topo umanizzato.
Seduto alla sua destra, invece, vi era un ragazzo di colore. Anche se non era ancora a conoscenza della sua etnia, avevo immaginato fin da subito che fosse straniero.
Lui fu una delle pochissime persone che fino ad allora mi fu simpatica a primo impatto. E come si faceva a non provare tenerezza nei suoi confronti: aveva un viso molto paffuto, accompagnato da un sorriso smagliante e da uno sguardo dolcissimo.
Appena entrata in casa, non ebbi neanche il tempo di provare timidezza che Sheldon proferì parola:
"Piccola labradoodle, loro sono Howard Wolowitz e Rajesh Ramayan Koothrappali.
Ti terranno d'occhio fino al ritorno di Leonard. Nel frattempo, io potrò comodamente sedermi sopra questa sedia e farmi beatamente gli affari miei."
Detto questo, Sheldon si mise nuovamente davanti al portatile e iniziò per l'ennesima volta a smanettare sulla tastiera.
Io, invece, rimasi paralizzata al centro del salotto, non sapendo cosa dire ai due ospiti.
"Howard Wolowitz, al tuo servizio, mia cara"
mi disse il ragazzo seduto al centro del divano, abbassando il capo come se volesse simulare un inchino.
"Lasciando perdere il "mister mi faccio beatamente gli affari miei ignorando tutto ciò che mi circonda", che ne diresti di salire sopra le ginocchia del vecchio zio Howard? Così perlomeno possiamo conoscerci meglio" mi chiese sempre lo stesso ragazzo, battendo la sua mano sinistra sul suo ginocchio sinistro, come se mi stesse invitando a sedermi sopra di esso.
Anche se un pò titubante, non rifiutai quella gentile offerta: mi avvicinai lentamente a lui e con addosso un forte batticuore che mi accompagnò per tutto quel breve tragitto, mi sedetti sopra le sue ginocchia.
La timidezza e l'imbarazzo furono tali da costringermi a chiudermi a riccio, rannicchiandomi il più possibile e senza guardare in faccia nessuno dei due.
"Che tenera! Prova timidezza nei nostri confronti. Magari tutte le donne fossero così introverse. Sarebbe molto più facile guadagnare la loro fiducia prima di portarle a letto.... Ad ogni modo, tralasciando questa parentesi, quale sarebbe il tuo nome?"
mi chiese Howard con tono allegro, mentre con una mano scrollò gentilmente la mia schiena.
"Valentina" risposi io con un filo di voce, senza neanche girarmi.
"Bel nome, davvero! Io adoro i nomi italiani. Specialmente quelli femminili, sai? Comunque, non c'è bisogno di avere paura. Nel nostro gruppo, puoi essere totalmente te stessa senza avere il timore di essere giudicata. Davvero, guarda noi: siamo un gruppo composto da quattro nerd che si guadagnano da vivere lavorando all'università.
I nostri passatempi consistono in collezionare action figures, giocare ai videogiochi, andare in fumetteria e tante altre attività che la gente comune considera da sfigati. Non abbiamo successo con le donne e la società definitasi come "normale" ci ripudia. Là fuori potrebbero giudicarti, e anche pesantemente, ma ricordati che in mezzo a noi questo non succederà mai.
Tanto il fondo del barile l'abbiamo già raschiato da un pezzo. Specialmente io: sono solo un povero ventisettenne che vive ancora con la madre".
Mentre Howard parlava, ritrovai pian piano la forza di rialzare il capo e di farmi vedere meglio. Alla fin fine, non parevano per niente dei cattivi soggetti. Non che avessi dei dubbi in precedenza, sia chiaro. Un pò di timidezza ci sta sempre all'inizio di una qualsiasi conoscenza, no?
Comunque, girai la testa verso di lui e lo ringraziai per il caloroso benvenuto. Ricambiò successivamente le mie parole con un sorriso.
"È proprio adorabile. Davvero. "
disse il ragazzo straniero seduto di fianco a noi, facendomi ascoltare per la prima volta la sua voce. Non solo l'aspetto, ma perfino il suo accento di voce dava l'idea che fosse straniero.
L'espressione sul volto di Howard si fece incredibilmente sorpresa e, girando il capo verso di lui, gli chiese:
"Raj, ma da quando in qua riesci a conversare con le donne senza essere ubriaco?"
"Ma qui non vedo nessuna donna. Io vedo soltanto una mezza ragazzina".
Howard rimase effettivamente spiazzato dalla risposta di Raj e, oltre a questo, sembrava anche confuso.
"Ad ogni modo, se vuoi, d'ora in avanti puoi chiamarmi zio Raj" mi disse mostrandomi un bellissimo sorriso a trentadue denti.
Stetti per ringraziare e per chiedere curiosità sulla citata difficoltà di Raj a parlare con le donne, ma Sheldon prontamente si mise di nuovo a discutere.

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