Capitolo 2: Leonard Hofstadter

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Dove eravamo rimasti? Ah, giusto: scappai dall'orfanotrofio poiché ero stufa di come venivo trattata, durante la mia fuga mi imbattei in questo ragazzo che sarà stato cinque o sei volte più grande rispetto a me e, tanto per cambiare, finì dolorante con la schiena a terra.
Sapevo benissimo che oramai tutta la mia fuga sarebbe stata totalmente inutile: quel ragazzo mi avrebbe immediatamente riportata in quell'inferno e sicuramente mi avrebbero poi rinchiusa in isolamento a vita.
O almeno, io avevo questa certezza: sul momento, non avevo pensato al fatto che quel ragazzo non sapesse minimamente da dove venissi e ne tanto meno che non fosse a conoscenza del fatto che provenissi proprio da quell'orfanotrofio.
Capitemi, avevo sei anni quando successe tutto questo.
Nonostante la mia paura, non provai ad alzarmi o a scappare nuovamente. A dirla tutta non avevo più forze in corpo per eseguire un'azione simile.
Strisciai contro il muro alla mia sinistra, portai le ginocchia contro il mio viso, mi rannicchiai il più possibile e iniziai a piangere copiosamente.
Potei sentire l'imprecazione urlata da parte di quel ragazzo, il quale probabilmente mi vide in quelle condizioni pietose.
"Porca puttana!" disse lui, per appunto.
Subito dopo aver gridato ciò, si avvicinò velocemente a me, si abbassò alla mia altezza, mi scosse leggermente la spalla e con tanta preoccupazione nella voce cominciò a riempirmi di domande:
"Bimba, cosa diavolo ti è successo? Dove sono i tuoi genitori? Come hai fatto a ridurti in questo stato?"
Invece di rispondere, a causa dell'ansia che si stava impossessando del mio corpo, piansi in modo ancora più disperato, cercando anche di scostare la sua mano dalla mia spalla minuta e riuscendo poi a spezzare quel piccolo contatto fisico che si era creato.
Sentì quel ragazzo alzarsi in piedi e camminare nervosamente avanti e indietro davanti a me. Ad un certo punto, lo sentì urlare.
"Porca puttana Sheldon rispondi!!!" Probabilmente stava provando a chiamare qualcuno al telefono (anzi, sicuramente stava facendo ciò).
E sicuramente nessuno rispose poiché si riavvicinò a me e con più calma rispetto a prima, ma con la stessa preoccupazione mi chiese:
"Seriamente, fammi sapere da dove vieni e cosa ti è successo. Non posso permettermi di lasciarti qui e ne tanto meno in queste condizioni. Se mi dai qualche informazione in più, posso aiutarti in un qualche modo."
Nonostante il suo tono apparentemente gentile, non risposi alle sue domande. Avevo troppa paura di finire nuovamente in orfanotrofio. Infatti, l'unica cosa che feci fu singhiozzare ulteriormente e l'unica frase che riuscì a pronunciare in mezzo ai singhiozzi fu:
"Ti...ti prego si...signore... non riportarmi là....i..io...no..n vo..voglio....finire i...in isolamento..."
Lo sentì sospirare leggermente e, subito dopo, mi fece una proposta che mi fu d'obbligo accettare se volevo avere qualche chance di cavarmela.
" Ascoltami bene. Non ho la minima idea su cosa ti sia successo, ma se la tua agitazione ti frena dal raccontarmi ciò, allora per il momento tralascerò il seguente argomento.
Sta di fatto che non posso assolutamente lasciarti qui. Hai bisogno di cure, di vestiti puliti e di qualcuno che si occupi di te. Facciamo così: per il momento ti porto a casa mia e domani decideremo sul da farsi. Va bene? Sempre meglio che stare in condizioni così pietose in mezzo alla strada, non trovi?".
(E sempre meglio che essere riportata in orfanotrofio). Alzai la testa dalle mie ginocchia, lo guardai con gli occhi velati dalle lacrime e annuì in segno di approvazione.
Il ragazzo mi fece segno di alzarmi ed io ovviamente ci provai, solo che non riuscì a camminare molto bene, dato che le mie gambe tremavano appena provai soltanto ad alzarmi in piedi. Vedendomi in quello stato, mi prese delicatamente in braccio senza stringermi troppo ed io mi avvinghiai come un koala, con le gambe che gli circondavano il busto, le braccia che gli circondavano il collo e la testa appoggiata sulla sua spalla.
Grazie a quel contatto, riuscì incredibilmente a calmarmi. Nessuno fino a quel momento si era comportato in modo così delicato nei miei confronti. Lui iniziò a camminare ed io, con i singhiozzi che si attenuavano sempre di più, gli chiesi "Come... si chiama... signore?"
E lui, con assoluta tranquillità, mi rispose:
"Leonard. Leonard Hofstadter."

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