Riprendendo il discorso che avevo accantonato nel capitolo precedente, rimasi in compagnia di Rajesh Ramayan Koothrappali per circa un paio d'ore, durante le quali parlammo del più e del meno. All'epoca adoravo stare in sua compagnia, non che tutt'ora le cose siano cambiate. Raj era ed è sempre stato un personaggio simpatico e a tratti anche buffo e impacciato. Se devo essere sincera, sono sempre state queste sue caratteristiche a rendere gradevole ogni singolo attimo in cui ho passato del tempo con lui.
In verità, però, al giorno d'oggi ci sarebbe soltanto un piccolo suo comportamento a darmi incredibilmente fastidio, ma questa è una nozione che vi manifesterò a tempo debito. E fidatevi, fino a quel momento, di acqua ne deve ancora passare sotto i ponti. Probabilmente i più svegli di voi se ne accorgeranno ancor prima che io arrivi al punto, ma se dobbiamo seguire per filo e per segno la linea temporale della storia, allora bisogna per forza di cose aspettare che passi qualche annetto. Questo perché avevo ancora bisogno di maturare prima di rendermi conto di quanto fosse effettivamente fastidiosa codesta caratteristica di Raj. Ma in fin dei conti, da bambini non ci si accorge mai di nulla.
Tralasciando per il momento questo particolare, è meglio riprendere in mano il filo del racconto: come vi stavo dicendo, rimanemmo lì in mensa durante tutto il tempo passato in attesa. Oltre che a conversare, verso più o meno le 10:30, mi venne offerta da Raj una gigantesca brioche alla crema, anche se non ho ricordo di aver accennato alcun segno di appetenza durante quel piccolo arco di tempo. Nonostante ciò, apprezzai lo stesso il gesto e la mangiai con gusto.
Come vi ho già spiegato più e più volte, rimanemmo lì seduti a parlare. Non vi sto a raccontare per filo e per segno i discorsi che facemmo durante l'arco di quella mattinata. Anche perché, sinceramente parlando, chi se li ricorda.
Sta di fatto che, verso più o meno l'ora di pranzo, si presentarono in mensa le due persone che stavamo aspettando.
La prima era una donna robusta e tracagnotta: aveva lunghi capelli castani che teneva legati in una coda di cavallo grazie all'ausilio di un elastico, occhi marroni e penetranti e, davanti ad essi, portava un paio di occhiali di forma ovale, i quali le davano l'aria di una persona intelligente e acculturata.
Dietro di lei vi era nascosta una bambina, decisamente più alta rispetto a me. A differenza della donna al suo fianco, aveva un aspetto fisico molto più magro e affusolato, ma i suoi occhi erano ugualmente marroni e i suoi capelli ugualmente lunghi e castani.
Capì fin da subito che si trattavano della coppia madre e figlia che stavamo attendendo da tutta la mattinata.
E sperai in cuor mio che andasse tutto bene.
Raj si avvicinò a loro due come se le conoscesse da anni e abbracciò entrambe calorosamente, tenendo stampato in viso uno dei suoi migliori sorrisi. Per me non era ancora arrivato il momento di avvicinarmi: avevo bisogno di ulteriore tempo per scrutare le loro reazioni da un'adeguata distanza di sicurezza. Fortunatamente, a primo impatto non mi parvero delle cattive persone. Anzi, le persone cattive che avevo incontrato in quel mio piccolo lasso di tempo passato sul pianeta Terra si comportavano in maniera totalmente diversa. La donna ricambiò i saluti, gli abbracci e i sorrisi, mentre la bambina saltò letteralmente in braccio a Raj, entusiasta di rivederlo dopo chissà quanto tempo.
Neanche all'epoca avrei mai osato pensare che quello sarebbe stato un comportamento adoperato da persone malvagie. Però, mi domandai comunque se era il caso di fidarmi a prima vista, oppure di attendere un altro pò. Sapete com'è: fidarsi è bene, ma non fidarsi è sempre meglio.
Dopo aver ricambiato i saluti, la donna pronunciò estasiata:
"Io e il dottor Hofstadter abbiamo ampiamente colloquiato sul conto della bambina adottata da lui qualche giorno fa. E ti dirò di più: sono molto fiera di quell'uomo. Ammetto che il suo è stato un gesto a dir poco eroico. Detto fra noi, dottor Koothrappali, non credo che quell'altro suo inquilino sia in grado di arrivare a compiere tale azione benevola. Come ben sa, il dottor Cooper non mi è mai piaciuto e comprendo ampiamente il motivo per il quale non risulti gradevole neanche agli occhi di Leslie. Ma ora, veniamo al sodo e non perdiamo ulteriore tempo in ciance inutili: dove si trova la dolce pargoletta di cui ho sentito tanto parlare?"
Al sentire quelle parole, mi venne automatico fare qualche passo indietro. Sperai con tutta me stessa che Raj non mi indicasse, speranze che purtroppo furono vanificate dalle sue stesse parole:
"Tranquilla signora Jones, le sue parole le costudirò per sempre nella mia mente, senza rivelarle a nessuna anima viva. Ad ogni modo, la piccola Valentina e lì. Non si è ancora avvicinata perchè è una bambina molto timida."
In quel momento, potei considerarmi come rovinata. Ma c'è un ma in tutta questa situazione: non ebbi neanche il tempo di metabolizzare ciò che stava succedendo che una furia composta per lo più da coccole, abbracci e affetto si stanagliò contro di me.
Quella, miei cari lettori, era la piccola Margaret, la quale mi corse incontro e mi prese in braccio non appena mi vide per la prima volta.
"Che bello vederti amichetta!" continuava ad urlare estasiata per qualche secondo.
Mentre rimasi sospesa in aria a causa di quell'abbraccio alquanto stritolante, non mi venne affatto da reagire. Ero come rimasta paralizzata da un turbinio di emozioni: in vita mia, non avevo mai ricevuto così tanto affetto da una mia coetanea. All'orfanotrofio, come ben sapete, venivo sempre ignorata dai miei coetanei. E quindi, in quei pochi secondi mi venne da pensare: quello era un gesto comune per simboleggiare l'amicizia tra due persone? Se si, avevo finalmente trovato un'amica sincera? Ma soprattutto: Margaret non stava correndo un pò troppo? Non che la situazione mi dispiacesse, anzi. L'obiettivo era quello di trovarmi un'amica e la paura che lei fosse di carattere uguale alle bambine che avevo conosciuto in orfanotrofio era oramai passata già in partenza. Ma prima di essere così affettuosa nei miei confronti, non poteva perlomeno aspettare di conoscermi un minimo? Se volevo trovare una risposta a tutte quelle domande, sapevo in cuor mio che l'unico modo per scovare suddette risposte era passare più tempo possibile in compagnia di quella bambina.
Ad ogni modo, i due adulti si avvicinarono a noi poco dopo.
Raj ci fissò intenerito, mentre la mamma di Margaret guardò quest'ultima con aria esasperata.
"Sembra che sua figlia si sia affezionata molto alla piccola Vale, non trova?" pronunciò il primo, sorridendo alla donna situata di fianco a lui.
"Dottor Koothrappali, si fidi delle mie parole: mia figlia tende a comportarsi così con tutti. Mi creda: se la porti a fare una passeggiata al parco, nel giro di cinque minuti tutti i bambini in zona sono stati abbracciati da lei almeno una volta. La signorina sa però di essere invadente ed è consapevole che deve darsi una regolata, vero?" rispose quest'ultima, lanciando a Margaret un'occhiata severa verso la fine della frase.
Venni subito dopo lasciata a terra, ancora sconvolta per via di tutte quelle troppe emozioni provate nell'arco di quei pochissimi attimi. Credetemi, ne ero talmente scossa che non mi ribellai nemmeno a ciò che successe di lì a breve: Margaret rispose velocemente a sua madre in maniera positiva e ancor più velocemente la avvisò che saremmo andate a giocare. Non ebbi nemmeno il tempo di pronunciare una parola che venni presa per un braccio e, successivamente, trascinata dalla mia oramai presunta amica verso una meta a me all'epoca sconosciuta.
Resami conto dopo qualche secondo dell'intera situazione, opposi una leggera resistenza e le chiesi:
"Dove mi stai portando?"
La bambina che mi stava trascinando, si fermò di colpo. Mi lasciò andare e, giratasi verso di me, mi disse con tono sorpreso:
"Ma allora tu sai parlare! Per un attimo ho pensato di aver fatto amicizia con una bambina muta! Sono molto contenta di aver sentito la tua voce!"
Detto questo, mi riabbracciò di nuovo, senza però prendermi in braccio.
"Certo che so parlare! E poi, potresti spiegarmi per quale motivo continui ad abbracciarmi con così tanto affetto? Mica ci conosciamo!" feci notare io con un filo di voce, mentre fui ancora bloccata in quella sua stretta che mi stava pressando l'intera cassa toracica.
Al sentire queste parole, Margaret sciolse il suo abbraccio e, come se ci fosse rimasta male, abbassò il capo e mi disse:
"Scusami... È che io sono sempre emozionata all'idea di trovare nuovi amici e purtroppo non riesco ancora a controllare questo mio lato affettivo. Anzi, a dirtela tutta, l'abbraccio è l'unico metodo che conosco per relazionare in generale. E poi, quando mamma mi ha avvisato che avrei conosciuto un'amica con la quale avrei giocato qui in università, non hai idea di quanto io sia esplosa dalla felicità! È bello stare qui, ma se si gioca da soli, dopo qualche mese diventa tutto così noioso.
Ad ogni modo, perdona il mio comportamento invadente di prima. Se la cosa ti da fastidio, non ti abbraccerò più, lo prometto. Sono Margaret, comunque" mi disse lei infine, ponendo la sua mano destra verso di me.
Mentre strinsi quest'ultima, risposi all'intero suo discorso descritto qui sopra:
"Io sono Valentina. Comunque, non mi da fastidio. Anzi, nessuno dei miei coetanei è stato così affettuoso con me e quindi..."
Prima che potessi finire la frase, Margaret si fiondò nuovamente su di me. Mi abbracciò per la terza volta consecutiva e, mentre mi tenne tra le sue braccia, saltellò e urlò ripetutamente la parola "SIIII!!!."
"Va bene, va bene. Adoro gli abbracci, ma basta adesso, per favore" le dissi io gentilmente, onde evitare di offenderla in una qualche maniera. Lei mi lasciò andare subito dopo e, sempre con tono estasiato, mi disse:
"Scusa, hai ragione. Adesso non dobbiamo perdere tempo! Prima che gli adulti finiscano di pranzare, devo farti vedere un posto, ma dobbiamo essere rapide!" e, successivamente, iniziò a correre, non prima di aver afferrato nuovamente il mio braccio.
"Ma dove stiamo andando?" chiesi io per la seconda volta.
"In un posto dove vado spesso, ma ci dobbiamo muovere! Altrimenti, gli adulti ci beccheranno, ci sbatteranno fuori e ci prenderemo entrambe una sonora lavata di capo!" mi rispose lei, continuando a correre.
Decisi di non farmi più domande e di lasciarmi trascinare con assoluta tranquillità e, soprattutto, con un briciolo di curiosità addosso.
Ci ritrovammo un paio di minuti dopo in un deserto corridoio, con porte situate a destra e a sinistra e muri colorati di un classico bianco. Ed è proprio quando arrivammo in codesto corridoio che Margaret rallentò improvvisamente il passo. Puntò con lo sguardo una porta semi aperta, situatasi sulla destra e, con passo felpato, si avvicinò ad essa, cercando di sbirciare il più possibile all'interno di quella stanza.
"Perché stai facendo così?" le domandai io ad alta voce. La reazione che ebbe in risposta alla mia domanda fu alquanto inaspettata: sobbalzò spaventata e si girò bruscamente verso la mia direzione. Inizialmente ne rimasi sorpresa, ma poi compresi il motivo di suddetta reazione. Infatti, mi disse sottovoce:
"Fai silenzio per piacere! Noi non dovremmo neanche essere qui e se dovessero scoprirci le persone sbagliate, novantanove su cento finiremmo in castigo! O perlomeno, io finirei in castigo e sinceramente non ho voglia di finire di nuovo in punizione!"
Detto ciò, si girò nuovamente verso la stanza e, non sentendo alcun adulto in arrivo, sbirciò con più sicurezza rispetto a pochi attimi prima. Tirò poi un sospiro di sollievo e, girando lo sguardo verso di me, disse con tono di voce più alto:
"Per nostra fortuna, qui non è ancora arrivato nessuno. Forza, entra" mi invitò poi lei con un semplice gesto della mano.
Appena entrate, ci ritrovammo in quello che a prima vista parve come uno studio di un qualunque ospedale veterinario. C'era un enorme tavolo in acciaio situato al centro della sala e, sopra i vari mobili che circondavano quest'ultima, c'erano diversi utensili che ricodavano molto alcuni strumenti utilizzati in ambito medico: confezioni di alcool, forbici e bisturi sterilizzati e ancora impacchettati dentro le loro confezioni, siringhe munite di ago, provette di varie dimensioni e altri utensili di cui non conosco tutt'ora il nome.
A prima vista non parve nulla di speciale, fino a quando non sentì un suono strano e a me all'epoca sconosciuto che mi incuriosiva assai. Anzi, rettifico: si trattava di un vero e proprio verso che si ripeteva ad intermittenza. Era come ascoltare lo squittito di un topo, ma allo stesso tempo, suddetto verso pareva il richiamo delle marmotte in montagna.
Mentre domandai a me stessa cosa stesse succedendo, Margaret mi fece segno di avvicinarmi nell'angolo destro della stanza. Appena fui vicino a lei, compresi finalmente da dove proveniva quel verso: davanti a noi, c'era un'enorme teca e, dietro di essa, vi erano rinchiusi almeno una decina di strani animali che io non avevo ancora visto in vita mia. Parevano dei criceti, ma erano troppo grossi e tozzi per essere considerati tali. Ognuno di essi aveva il pelo variopinto in modo diverso, ma i colori che si contraddistinguevano in tutti quei graziosi animaletti furono tre. Per la precisione, suddetti colori erano: marrone, bianco e nero. Anche la lunghezza del pelo variava da esemplare a esemplare: alcuni avevano il pelo corto e altri il pelo lungo.
Capì fin da subito che furono questi animaletti a fare quello strano squittio. Presa dalla curiosità, chiesi a Margaret di quali animali si trattassero e lei, mi rispose dicendo che si trattavano di porcellini d'india. Domandai anche il perché si trovavano rinchiusi in quella sorta di gabbia molto piccola e stretta. La sua risposta, mi sconvolse in senso negativo:
"Adesso ci troviamo nel laboratorio di biologia. Queste, vengono considerate come cavie da laboratorio. Ciò che succede a loro è orribile: vengono utilizzate per fare degli esperimenti in ambito medico e scientifico e questo le porta ad un'atroce sofferenza e, successivamente, alla morte certa..."
Prima di continuare il discorso, si girò verso di me e, con quasi le lacrime agli occhi, mi disse:
"Sai per quale motivo vengo sempre qui ultimamente, nonostante non possa neanche entrare in quest'ala dell'università? Ecco, la vedi quella porcellina d'india laggiù?"
Poggiò un dito sulla teca e indicò uno di quei strani roditori: quest'ultimo era più piccolo rispetto agli altri. Aveva il pelo lungo, con parte della schiena e della testa colorati di nero e con la pancia e parte del muso colorati di bianco. Annuì ancora sconvolta, senza dire nulla. Margaret, dopo il mio cenno, continuò il suo discorso:
"Lei è Daisy. Le ho dato un nome poiché mi ci sono affezionata fin dalla prima volta in cui l'ho vista. Tutti i giorni, ragiono su un modo per tirarla fuori e liberarla da questo atroce destino che l'attende... Ho provato più e più volte a parlarne con mia madre, sperando di convincerla e di trovare un modo per adottarla, ma lei non ne vuole sapere di avere porcellini d'india in casa... Quindi, io vengo qui tutti i giorni, accertandomi che non le venga fatto del male..."
Percepì le lacrime che stavano per uscire a fiotti dagli occhi della povera Margaret. E non appena provai a consolarla, sentì una fastidiosissima voce maschile a me ancora sconosciuta proveniente dalle nostre spalle.
E dopo aver sobbalzato impaurita, la voce continuò a parlare in tono canzonatorio:
"Bene, bene, bene. Ma guarda chi abbiamo qui? La solita ficcanaso rompiscatole e una sua amichetta, uhm? Ditemi un pò lattanti: ora che vi ho trovato a ficcanasare in un luogo non adatto a voi bambine, cosa dovrei farne di voi due?"
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My Strange Life
FanfictionCosa succederebbe se la vita di una semplice bambina orfana dovesse imbattersi con quella dei nostri nerd preferiti? E quale impatto avrà la sua presenza all'interno di questo strambo gruppo di amici? Chi fosse fan della serie come la sottoscritta...