1. Witchwood Manor

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Di tutte le disgrazie che potevano capitarmi, passare l'estate in un paesino sperduto del New Jersey era sicuramente la peggiore.

Nel corso dei miei brevi diciassette anni di vita avevo sopportato tutte le stramberie di mio padre senza fiatare: lo avevo lasciato travestirmi da Jack lo Squartatore alla tenera età di sei anni, avevo fatto da cavia per ogni trucco scenografico che gli era venuto in mente, e a dodici anni avevo persino prestato la mia voce – o, per meglio dire, le mie grida – per il doppiaggio di un cartone animato dell'orrore per bambini. Questa era la croce dell'avere per padre un regista di film horror, ma ancora peggio era avere per padre un regista di film horror senza più ispirazione.

Era stata proprio quella perdita dell'ispirazione a spingerlo a costringere tutta la famiglia a passare l'estate in una villa in campagna nel disperato tentativo di ritrovare la creatività. Non importava quante volte avessi tentato di dissuaderlo, di convincerlo a restare a New York e cercare l'immaginazione perduta negli angoli del nostro appartamento nel Greenwich Village. Ormai era deciso: ci saremmo momentaneamente trasferiti a Witchwood Manor.

Prima di quell'ennesima improvvisata di mio padre non avevo mai sentito nominare Witchwood Manor. Secondo gli articoli di giornale che avevo sbirciato su internet nei giorni precedenti alla partenza, si trattava di una normalissima villetta di campagna costruita nel diciannovesimo secolo, ma con una reputazione da brividi a precederla: a quanto pare un'intera famiglia era stata vittima di una tragedia proprio dentro a quelle mura, e secondo alcuni i fantasmi infestavano ancora la casa alla ricerca di sangue e vendetta.

Stronzate. Ecco cos'erano per me, solo stronzate.

Non avevo mai creduto alle storie di fantasmi, né tantomeno agli zombie, ai lupi mannari e a tutte quelle cose da sciroccati. A dirla tutta nel corso degli anni avevo sviluppato una vera e propria avversione nei confronti dei film dell'orrore, al punto che, quando per il mio quattordicesimo compleanno mio padre aveva avuto la brillante idea di organizzarmi una festa a sorpresa a tema Venerdì 13, e tutti i miei compagni di classe si erano presentati ricoperti di sangue e budella finte, avevo avuto una vera e propria crisi di nervi. Di certo non aiutava il fatto che fossi nata proprio il giorno di Halloween – anche se in fondo sospettavo che la mia nascita nel giorno più spettrale dell'anno non fosse proprio una coincidenza.

Forse la mia era una ribellione verso l'autorità, come i figli dei repubblicani che si scoprono democratici durante l'adolescenza. Di qualsiasi cosa si trattasse, a me andava bene. Amavo mio padre, lo amavo davvero, ma perché non poteva dedicarsi ad altro? Perché non poteva girare drammi romantici e portarci a vivere tutti a Notting Hill?

Eravamo in viaggio da più di un'ora ormai, quindi non dovevamo essere troppo lontani. Osservavo il paesaggio snocciolarsi dietro al finestrino con un certo stupore, non essendo abituata a quelle distese di verde. Sentivo già la mancanza di New York e dei suoi grattacieli, il calore del cemento, il profumo dei bagel appena sfornati. Infilai le cuffiette un po' più a fondo nelle orecchie per cancellare il rumore stridulo della voce di mio padre mentre tentava, con risultati piuttosto scarsi, di imitare David Bowie. Seduto accanto a me, mio fratello Billy si muoveva eccitato come una cavalletta. Billy era ancora in quella fase della vita in cui avere un padre regista di film horror è la cosa più cool dell'universo, quando sentirsi chiamare Bogeyman dai propri compagni di classe non è una vergogna ma un vanto. Trovavo piuttosto tenera l'ammirazione sconfinata che il mio fratellino provava nei confronti di nostro padre, ma una parte di me attendeva con ansia il momento in cui si sarebbe reso conto della sua sfortuna e avrebbe finalmente fatto squadra con me per andare contro il re dell'orrore.

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