14. The Cave (pt. 1)

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La sveglia di Finn trillò, segnando le sette del mattino

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La sveglia di Finn trillò, segnando le sette del mattino. Allungando una mano da sotto le coperte, la spense al volo. La luce tenue di dicembre filtrava dalla finestra, facendosi largo tra le nuvole cupe di Glisgolm. Quella città era grigia come lo era Solelka, ma se in una si poteva contare sul verde degli alberi e il color pastello delle case, Glisgolm, coi suoi palazzi imponenti e il poco verde chiazzato in piccoli angoli di mondo, pareva ancora più angusta e soffocante. A Solelka non c'erano rumori di clacson impazziti, passi frenetici che a tratti parevano far tremare l'intera casa -così gli piaceva pensare, pur se fosse consapevole che quel tremore era dovuto al rumore del tram che passava lì vicino.

Si alzò in tutta fretta e corse a chiudersi in bagno, felice di trovarlo libero. Julio e Jason ronfavano ancora nelle loro camere e Simon era rimasto a dormire dalla sua ragazza, quella notte.

Una doccia veloce, una controllatina alla barbetta leggera che iniziava a solcargli la mascella, poi uno sguardo d'approvazione per le sue nuove spalle larghe e il petto che pareva esser più ampio.

Si scrutò allo specchio saggiando un po' di vanità che, un tempo, aveva celato a tutti i costi.

Ci pensò su e si diede ragione: stava davvero cambiando a vista d'occhio, e anche se le altre persone attorno a lui non sembravano notarlo molto, si compiaceva di quei piccoli risultati quotidiani. Ora le sue gambe erano più forti, perché a furia di sentire storie sui mollicci di Solelka -di come lì facessero crescere con le gambe gracili per non scappare e le braccia esili per non poter reagire- aveva percorso così tanti chilometri fra i boschi di Sibery da finire le storie di Lara, ma non le lamentele di Isak su quanto occorresse irrobustirsi per sopravvivere ai predatori.

«I conigli corrono veloci!» gli diceva di continuo. Poi esclamava: «Run, rabbit! Run!» citando Breathe dei Pink Floyd, la canzone che Finn aveva messo come suoneria del telefono, e tutti e tre si lanciavano in una corsa in risalita verso la macchina di Isak.

Lara gli dava testa, ma le gambe di Isak, seppur veloci come le sue, riuscivano a scansare ogni ostacolo, quasi avesse passato l'intera vita a sfuggire dai predatori e ora lo stesse insegnando a loro.

Finn arrivava sempre per ultimo, ma come diceva sempre Isak: «L'importante era raggiungere la meta!»

In realtà, diceva: «L'importante è raggiungere la meta, Bunny-Bun!», ma quell'appellativo che tanto lo divertiva, per qualche strano motivo, faceva storcere la bocca di Lara. Tutte le volte che lui si rivolgeva a Finn con quel nomignolo, puntualmente seguiva uno sbuffo di lei, e lesto, il commento di Isak: «Suvvia, Filly! Non fare così!»

Ogni volta, Lara si voltava col suo sguardo più truce e, puntandogli il dito contro il naso, diceva: «Non sono una puledra! Finiscila!»

Isak rideva, seppur fosse il solo a farlo -Finn lasciava che i suoi occhi si piantassero sulle proprie scarpe- e le schioccava un bacio sulla guancia che lei pareva scansare in ogni modo, pur se alla fine lui vi riusciva sempre.

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