2. The night We met

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Quando gli omoni andarono via portandosi dietro il compare, Finn capì quanto, in realtà, Sibery fosse popolata

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Quando gli omoni andarono via portandosi dietro il compare, Finn capì quanto, in realtà, Sibery fosse popolata. Avendo sentito lo sparo, nessuno si azzardava a uscire dalla propria abitazione, ma tutti volevano sapere se ci fosse qualche cadavere davanti casa propria; facce in penombra popolarono le finestre sbiadite, scostando solo di poco le tendine che le proteggevano dal rischio d'esser viste.

C'erano solo tre persone in strada: la ragazzina vestita da marshmallow, Finn ancora tremante ai suoi piedi e il fuscello disteso per terra con una pozza di sangue sotto la testa.

Niente e nessuno osava muoversi.
Le lenti spesse di Cobra non riflettevano più quegli omoni d'ombra. La luce del lampione perse d'intensità e i suoi occhi grandi sbucarono sopra i solchi marcati di antiche rughe. Erano occhi che avevano visto quanto più di terribile ci fosse nel mondo. Occhi che parlarono alla ragazza e le ordinarono di fare in fretta: dovevano portar dentro il ragazzo, dovevano assicurarsi che non sarebbe morto quella notte per strada.

In un battito di ciglia candide, Cobra posò la sua arma e contemporaneamente la ragazza mise in sicurezza la pistola, ficcandola tra il suo fianco e l'elastico delle mutande. Sperò che reggesse.

Finn la vide correre verso il ragazzo. Si sentì abbandonato e le sue braccia fragili quasi si allungarono per trattenerla.

(«Non lasciarmi, ti prego!»)

Lei doveva essere un'infermiera, pensò vedendola misurare i battiti del ragazzo in religiosa concentrazione. La sua bocca si muoveva, articolando parole che lui non riuscì a udire. Parlava con Cobra. L'assicurava che fosse vivo, ma i battiti erano lenti. Dovevano fare in fretta.

«Dimitri! Fidelia!»

Le gambe leste di due sconosciuti sorpassarono Finn.

Temette d'esser tornato invisibile. Forse era morto, forse era la sua anima che osservava quella scena. Forse quel corpo esanime era il suo e in realtà aveva assistito in piena dissociazione a ciò che gli era successo senza che ne avesse consapevolezza.

Finn si tastò il petto e le braccia, le gambe, il viso scioccato.
Non sentiva niente. Il suo corpo era gelido e insensibile.

(«Portatelo dentro, stendetelo sul tavolo!»)

Cercò di trovare un po' di forza -e coraggio- per alzarsi in piedi. A carponi, faticò a reggersi.

Era morto. Era morto senza nemmeno accorgersene, senza alcuna paturnia su cosa ne sarebbe stato di lui dopo.

Non c'erano lacrime a solcargli il viso, non c'erano pensieri deliranti su cosa ne sarebbe stato adesso di lui. Non c'era nemmeno quel Dio tanto rinomato da sua madre... forse era solo questione di tempo, forse sarebbe venuto a prenderlo poco dopo... o forse era solo diventato una di quelle anime intrappolate a Sibery. Sibery, che era piena di spiriti e leggende paranormali. Quella Sibery che sarebbe entrata in lui in eterno, gli sarebbe appartenuta, e lui sarebbe per sempre stato suo.

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