19. Sadnecessary

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Finn era rimasto seduto per un po', attendendo che tornassero da un momento all'altro. Non pensava che sarebbe passato tanto tempo prima di sentire le ruote del pick up avvicinarsi ai cancelli.

Durante la loro assenza aveva fumato ben quattro sigarette sotto lo sguardo giudicante di Ophelia.

«Credi che se ne siano andati, Fifi?» le aveva domandato carezzandole il muso.

«Non ti abbandonerebbero mai qui, Finn

«Hai ragione...»

Lasciando la porta aperta, aveva provato a cucinare una torta di carote; Zeppelin, approfittando del via libera, si era fiondato dritto all'angolo cucina e, col muso, aveva spinto il gomito di Finn tutte le volte che la bocca smetteva di ruminare; affamato, aveva divorato anche le bucce cadute per terra sotto lo sguardo severo della compagna. Ophelia, infatti, non parve nemmeno essere interessata alle carote. I suoi occhietti erano fissi su Finn.

«Dici che torneranno presto, Fifi?» le domandò sottovoce, scostando il dito in tempo prima che questo finisse fra i denti di Zep.

«Prenderanno il tempo che devono prendersi.»

«Avrebbero potuto parlarne qui, però...»

La fissò di rimando, attendendosi un'altra sua risposta che non arrivò mai.

Dopotutto, lo sapeva anche lui che Isak e Lara parlavano molto. Solo, si chiedeva cosa, adesso, li stesse spingendo ad allontanarsi proprio da lui. Qualsiasi fossero i casini in cui l'avevano cacciato, avrebbe potuto parlarne davanti a lui; anzi, avrebbero potuto parlarne loro tre, insieme.

Ruminava quei pensieri con più foga di Zeppelin, tanto che, dopo un po', mollò l'impasto in un piano abbastanza alto e si diresse allo stereo per mettere su un po' di musica.

Finì prima di quanto si aspettasse. Tornato fuori, cercò di capire se vi fosse qualcuno nelle vicinanze. Non un solo rumore estraneo; non un solo rumore familiare riconducibile al pick up. Si disse che l'unica soluzione fosse trovare qualcosa con cui distrarsi e leggere un po'.

Eppure, nemmeno quella volta andò bene; fra le pagine de La bussola d'oro, vi leggeva nient'altro che quella folle promessa fatta ad Isak sotto sua imposizione. Se la rigirò fra le mani e immaginò che una buona soluzione fosse iniziare a impiegare quel tempo per pensare a una soluzione vera... con cui uscirsene.

Erano più di tre anni che conosceva Lara. Più di tre anni che sorrideva come uno stupido a ogni sua reazione. Più di tre anni che sentiva come tutto di lei, da uno sguardo a un sorriso a un ghigno, gli scatenava qualcosa nel petto a cui riusciva dare solo un nome.

Aveva pregato perché lei lo riconoscesse, perché gli parlasse, perché gli sorridesse, perché gli fosse amica; pregato perché lo vedesse, perché fosse curiosa di conoscerlo, poi, perché gli volesse bene e si affezionasse a lui; aveva pregato perché diventasse anche sua complice, perché si aprisse anche con lui, perché gli raccontasse dei suoi pensieri, e perché volesse tenerlo vicino anche quando non c'era alcun motivo per averlo vicino. Forse lei non l'amava, e magari non l'aveva amato mai, e sempre mai l'avrebbe amato, ma gli aveva dato, senza saperlo, la spinta giusta per crescere; era cresciuto abbastanza da sapere, come lo sapeva Isak, che certi sentimenti, anche i più buoni e genuini, marciscono se tenuti solo dentro per troppo tempo.

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