Parte VII

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Tiziano suona il campanello di quella che, mi rendo conto, fino a poco tempo fa era casa sua.
Che strano deve essere per lui essere qui adesso.
Abbiamo fatto il viaggio in macchina in assoluto silenzio.
Non volava una mosca.
Era un silenzio tranquillo, però.
Non teso, non agitato, non pesante.
Era solo silenzio.
Sento la tua presenza rassicurante al mio fianco.
La tua mano sfiora la mia.
Le mani di Paolo, intrecciate dietro la schiena, si muovono nervose.
Anche per lui deve essere strano trovarsi qui, adesso.
Se non fossi a disagio, nervoso, stanco e preoccupato, questa situazione probabilmente mi farebbe ridere.
Con uno scatto, la porta si apre.
Non abbiamo mai conosciuto l'ex moglie di Tiziano, ne abbiamo solo sentito parlare.
Da quel poco che ne capisco io di donne, posso dire che è bella.
Molto bella.
I capelli chiari le incorniciano il volto sfiorandole le spalle, la pelle sembra brillare nella penombra del pianerottolo.
Gli occhi quasi trasparenti ci osservano uno ad uno, vagamente divertiti.
Scivolano su Paolo, scrutano noi due, si fermano su Tiziano.
"Non avevo capito che ci sarebbe stata una riunione in casa mia"
"Scusa Luana. Possiamo entrare?"
Fa un passo indietro, aprendo la porta, in un invito silenzioso.
Entriamo.
Evito di guardarla quando le passo accanto.
Rimandare il momento in cui mi vedrà bene in viso mi sembra l'unica opzione praticabile.
"Loro sono Marco e Enea"
Le stringi la mano, ti percepisco sorriderle.
Mi guarda, in attesa.
...
Merda.
Alzo il viso.
Osservo la sua reazione.
Il suo sorriso sereno si raffredda, fino a scomparire del tutto.
Lo sguardo cambia, diventa preoccupato, spaventato.
Allunga un braccio verso di me.
"Vieni, siediti"
Mi guida verso il salotto, mi indica il divano.
Seguendola, ti afferro per una mano, trascinandoti con me.
Il ginocchio fa male ad ogni passo.
Maledizione.
Ci sediamo.
La stanza è così chiara da essere quasi accecante.
Divani bianchi, pareti bianche, cuscini bianchi.
Un pensiero irrazionale mi attraversa la mente.
Lei e Tiziano non avevano proprio alcuna speranza.
Assolutamente.
Due mondi totalmente diversi.
Troppo diversi.
Stendo la gamba davanti a me, massaggiandomi piano il ginocchio.
Quando le fitte di dolore si fanno troppo forti, decido di lasciar perdere.
Alzo lo sguardo su di te.
Mi hai osservato per tutto il tempo.
Da quando siamo usciti di casa per venire qui non hai detto una parola, ma non hai mai smesso di guardarmi.
Di osservarmi.
Mi sorridi, dolcemente.
Afferri la mia mano, la stringi forte, senza dire niente.
"Puoi spiegarmi?"
Lascio scorrere lo sguardo sulla stanza.
Tiziano si è seduto tranquillamente su una poltrona, che ha tutta l'aria di essere sempre stata la sua.
Nella stanza bianca, quella poltrona scura spicca come un pugno in un occhio.
Luana lo osserva, in piedi, con le braccia incrociate.
Paolo è nascosto in un angolo del salotto, guarda la scena in silenzio, gli occhi che brillano.
Sembra quasi divertito, sembra godersi il momento.
"Non vuole andare in ospedale, e Roberto è un infermiere. Ho pensato di portarlo qui"
"E non hai pensato che sarebbe stato il caso di avvisarmi prima di venire qui con un tuo amico che è stato evidentemente picchiato?"
Tiziano scrolla le spalle.
"Ti ho avvisata che stavo arrivando"
"Ma non mi hai detto il motivo"
"Te lo sto dicendo adesso"
Luana alza gli occhi al cielo.
Non so perché, ma sento di dovermi giustificare.
Alla fine, la colpa di questo litigio è la mia.
"Mi dispiace, Luana. È colpa mia se siamo qui, Tiziano sta cercando solo di aiutarmi"
Lo sguardo della ragazza di sposta su di me.
Mi osserva per qualche secondo, poi i suoi occhi si addolciscono.
Fa qualche passo verso di noi, si siede sul divano, accanto a me.
I suoi occhi mi esaminano con attenzione.
Resto fermo, sostengo il suo sguardo preoccupato, apprensivo.
Mi sposto appena, impercettibilmente, quel tanto che basta per sentire il calore del tuo corpo contro il mio.
Il tuo profumo più vicino.
Mi ha sempre dato sicurezza, anche se non te lo dico mai.
"Con chi hai fatto a botte?"
Sorrido appena, in modo sarcastico.
"Non ho fatto a botte con nessuno"
È la verità, infondo.
Inarca un sopracciglio, guardandomi interrogativa.
"Cosa vuol dire? Come ti sei ridotto così?"
Cerco di parlare, di spiegarle, ma non mi esce una parola di bocca.
Dirlo ad alta voce è difficile.
"Roberto dov'è?"
Tiziano cerca di aiutarmi, di deviare l'attenzione di Luana.
Invano.
Non mi schioda gli occhi di dosso, risponde a Tiziano in modo distratto.
"Sotto la doccia, dovrebbe uscire a momenti"
Il silenzio cala sulla stanza, inizia a diventare pesante.
Abbasso lo sguardo, cercando una via di fuga.
Sperando che la sua domanda cada nel vuoto, che rimanga senza una risposta.
Le gambe iniziano a muoversi nervose.
"Quindi? Cosa ti è successo?"
Chiudo gli occhi, prendendo dei respiri profondi.
"Luana..."
"No, Tiziano, va bene"
Alzo lo sguardo sulla donna seduta accanto a me.
Nella sua insistenza non ci sono cattive intenzioni, lo percepisco.
C'è solo curiosità.
E voglia di sapere cosa è successo allo sconosciuto che le è appena piombato in casa.
Ha il diritto di sapere.
È giusto.
La tua mano si stringe sul mio braccio.
La sento, eppure non mi volto a guardarla.
Non rispondo a questo gesto.
So che ci sei, e tu sai ciò di cui io ho bisogno adesso.
Ho bisogno di un sostegno, perché le parole faticano ad uscire.
Lo sguardo di Luana scivola sulla tua mano, per poi tornare nel mio.
Deglutisco a fatica.
Cerco di ingoiare il noto che mi stringe la gola in una morsa e che mi impedisce di parlare.
"È stato mio padre"
Sussulta, sospresa.
Non so cosa si aspettasse, ma sicuramente non era questo.
Guarda Tiziano, come in cerca di una conferma.
Probabilmente lui annuisce, perché lei torna a guardarmi, con gli occhi spalancati.
Spaventati.
Mi sento triste.
Sono stanco di rendere tristi le persone intorno a me a causa delle mie sventure.
È logorante.
È stancante.
Non ce la faccio più.
La tua mano rafforza la presa sul mio braccio.
Cerchi di infondermi forza.
Ci provi, ancora.
Probabilmente, sai perfettamente cosa sta succedendo nella mia mente in questo momento.
Lo sai, e cerchi di aiutarmi come puoi.
Respiro.
Il petto fa un po' meno male.
Respirare fa un po' meno male.
"Perché?"
Già, perché?
La osservo, riflettendo per appena qualche secondo.
Le parole mi escono dalle labbra senza che io abbia dato loro il permesso.
"È stato più facile per te accettare l'omossesualità di Tiziano che per lui accettare la mia"
Due risate soffocate mi raggiungono.
Una è la tua, senza dubbio.
L'altra, penso, sia quella di Paolo.
"Grazie mille, Enea"
Sorrido, vagamente divertito dal tono di voce seccato di Tiziano.
"Quando vuoi"
Luana osserva lo scambio, in silenzio.
I suoi occhi scrutano anche te e Paolo.
Sembra stia cercando di capire se per caso tutto questo è uno scherzo, se forse i segni sul mio viso siano solo trucco.
Quanto vorrei che fosse così.
Il rumore della porta del corridoio che si apre mi fa sobbalzare.
Avevo dimenticato Roberto.
"Ciao Roberto. Scusa il disturbo"
Tiziano si alza e si avvicina all'uomo di fronte a lui, perfettamente a suo agio.
Anche Paolo gli stringe la mano, sorridendo.
Come prima, con Luana, lo sguardo dell'uomo scivola sulla stanza, e si ferma su di me.
Al contrario di Luana, però, lui non si lascia bloccare dallo sbigottimento e prende subito il controllo della situazione.
Mi si avvicina.
Avrà forse una quarantina d'anni.
I capelli scuri sono striati da sporadiche ciocche grige.
Anche gli occhi sono scuri, la pelle olivastra.
Capisce immediatamente il reale motivo della nostra visita a sorpresa.
"Cosa è successo?"
Sospiro pesantemente.
Sono stanco anche di parlare.
Di ripetere sempre le stesse cose.
"Il padre lo ha picchiato più o meno tre ore fa, ha probabilmente un ginocchio contuso, un polso slogato e qualche costola incrinata, oltre a tutto ciò che vedi"
Mi volto verso di te, guardandoti divertito.
Sorridi colpevole.
"Cosa c'è?"
"Niente, dottore"
"Oh, Enea, non rompere il cazzo. È un infermiere, ha bisogno di informazioni concrete, non di stronzate"
"Ha ragione lui"
Alzo gli occhi al cielo, lasciando che Roberto mi osservi ogni centimentro del viso.
"Perché non sei andato in ospedale?"
"Perché non voglio"
Inarca un sopracciglio.
La mia risposta schietta sembra averlo seccato.
"Non posso fare molto in casa. Dovresti farti vedere da un medico, e io non lo sono"
Sospiro, affranto, sentendo lo sguardo accusatore di Tiziano su di me.
"Senza offesa, ma io non sarei venuto neanche da te, è stato Tiziano ad insistere. Puoi fare qualcosa per aiutarmi? Se non puoi, non preoccuparti"
Roberto mi osserva ancora per qualche secondo, poi si muove nella stanza, facendomi un cenno verso la zona notte della casa.
"Vieni. Farò quel che posso"
 
***
 
"Marco aveva ragione. Il polso è slogato, ma la fasciatura rigida è più che sufficiente e dovrebbe tornare a posto nel giro di qualche giorno. Potrebbe avere un paio di costole incrinate, ma per quelle anche in ospedale non potrebbero fare niente, l'unica cura è un po' di riposo. Per quanto riguarda il ginocchio, io non posso farci niente. Non posso sapere se c'è qualche frattura, ne ematomi. Avrebbe bisogno di fare una risonanza magnetica, ed è chiaro che qui io non posso farla"
Ascolto distrattamente Roberto snocciolare tutte queste informazioni a Tiziano, Paolo e Luana.
Loro sono rimasti in salotto, a parlare di Dio solo sa cosa, mentre tu e io siamo stati chiusi in camera da letto con Roberto per più di mezz'ora.
Mi ha fasciato il polso, mi ha dato un'occhiata veloce ai lividi, mi ha controllato il costato, ha cercato di capire cosa diavolo ha il mio ginocchio che non va.
Tutto questo mentre tu osservavi in religioso silenzio.
Mentre tutti e tre eravamo avvolti dal silenzio.
"Dovrebbe andare in ospedale?"
L'occhiataccia che lancio a Tiziano sembra non sortire alcun effetto.
Finge di non vederla neanche.
Roberto si passa stancamente una mano sugli occhi, strofinandosi poi una guancia.
"Ve l'ho detto prima. Secondo me sareste dovuti andare direttamente lì"
Mi muovo, nervoso.
Che palle.
Questo parlare di me fingendo che io non sia neanche qui mi innervosisce.
Mi sento inquieto.
"Se facesse una risonanza privatamente il prima possibile, tipo domani, andrebbe bene lo stesso"
Guardo Roberto riconoscente.
Ricambia il mio sguardo, annuendo appena.
"E mettiti questa ovunque tu abbia lividi o ti faccia male, tranne che sull'occhio"
Annuisco, prendendo il tubetto di pomata che mi sta porgendo.
"Grazie"
Mi fa un cenno, per poi voltarsi per salutare anche Tiziano e Paolo.
Sto per girarmi, per uscire senza più rivolgere parola a nessuno, quando una mano mi ferma per il braccio.
Senza neanche bisogno di guardare, so che non sei tu.
Che non è Paolo, e neanche Tiziano.
Che ovviamente non è Roberto.
Mi giro, guardando Luana sopreso.
La ragazza mi sorride appena, triste.
I suoi occhi chiari sono liquidi.
Resta ferma qualche secondo, forse indecisa sul da farsi.
Le sorrido, tranquillo.
Prende coraggio dal mio sorriso, e mi abbraccia.
Mi stringe appena, infondendomi il calore che in questo momento mi mancava.
Offrendomi un po' di conforto.
Ti guardo da sopra la sua spalla.
Sorridi intenerito.
Ricambio e chiudo gli occhi, respirando poi a pieni polmoni il suo profumo delicato.
Sa di dolcezza.
Di casa, di famiglia.
D'un tratto capisco Tiziano, e la difficoltà che ha avuto nel lasciarla.
Lo capisco, perché Luana emette così tanta fragilità che pensare di ferirla intenzionalmente, in qualsiasi modo, è impossibile.
Anche adesso, con me, sembra lei quella più fragile.
Sembra come se il mio dolore e le mie sventure la turbino profondamente.
Capisco improvvisamente quanto possa essere stato difficile per Tiziano fare ciò che ha fatto, causarle tutto quel dolore.
Immagino quanta forza di volontà ci sia voluta, e quanto grande deve essere il suo amore per Paolo per avergli fatto trovare il coraggio per fare quello che ha fatto.
"Mi dispiace tanto"
Me lo sussurra nell'orecchio, e io, inevitabilmente, sorrido.
C'è così tanta sincerità nelle sue parole che non riesco a non crederle.
È una persona buona.
Stringo il corpo piccolo e morbido a me, sentendomi, stranamente, parte di qualcosa.
Sentendomi accettato, ancora.
Accettato e compreso da una perfetta sconosciuta.
"Lo so"
Si scioglie dal mio abbraccio, osservandomi attentamente.
"Tiziano ha il mio numero. Se hai bisogno di qualcosa, puoi chiamarmi quando vuoi"
Annuisco.
"Va bene"
Le sto mentendo.
Lo so io e forse lo sa anche lei.
Non credo che la chiamerò, non fosse altro che per rispetto a Paolo.
Però lo apprezzo.
Apprezzo la sua preoccupazione e apprezzo la sincerità che sento in lei.
Non era tenuta a farlo.
Mi osserva ancora, per un ultima volta, poi fa un passo indietro, raggiungendo Roberto.
Li guardo.
Sono belli.
Spero siano felici.
Sospiro, sentendomi tutt'un tratto ancora più triste di prima.
La loro vita è semplice, tranquilla.
La mia è un casino.
E con i miei casini, sto incasinando anche te.
Ti faccio preoccupare.
Faccio preoccupare anche Tiziano e Paolo.
Faccio preoccupare tutti.
Faccio preoccupare anche Luana e Roberto, che non mi conoscono affatto.
Esco, senza guardare più nessuno.
Mi manca l'aria, mi sento soffocare.
Mi fermo davanti all'ascensore.
La tua mano si stringe nella mia.
"Cosa è successo?"
Lo sussurri, mentre le voci degli altri che si salutano ci raggiungono dalla porta rimasta aperta.
"Niente"
Stringo la tua mano, ho bisogno di averti vicino, ma non ho voglia di parlare.
Non ho voglia di spiegare.
"Non è vero"
Chiudo gli occhi, prendendo respiri profondi.
L'autocontrollo che ho cercato di mantenere da quando siamo usciti da casa di Tiziano e Paolo sta iniziando a incrinarsi.
Mi sfugge.
Sento di star perdendo lucidità.
"Marco, ti prego"
Le voci si fanno più vicine.
Poggi la testa sulla mia spalla.
I riccioli mi sfiorano il viso.
"Va bene"
Rilascio andare l'aria che non mi ero accorto di trattenere.
Poggio la mia testa contro la tua.
Non voglio parlare adesso.
Adesso non ci riesco.
La tua presenza, calma, tranquilla, gentile, rassicurante, per il momento mi basta.
Basta per riuscire ad ignorare la sensazione di incasinare la tua vita con la mia sola presenza.
Di incasinare la tua vita con la mia.
La tua presenza al mio fianco per tutto il tempo mi ha tenuto in piedi.
La presenza di tutti gli altri mi ha impedito di lasciarmi andare.
Ma sono stanco.
Sono maledettamente stanco di fingermi forte.
In questo momento mi sento spezzato.
Da me stesso, dalla mia vita di merda.
Dal peso che sono costretto mio malgrado a sopportare.
Dal peso che, inevitabilmente, costringo te a sopportare.
"Andiamo?"
Cosa?
Cosa mi ha spezzato?
Ci penso, entrando in ascensore.
La consapevolezza di incasinare le vite di tutti, intorno a me.
L'affetto immotivato, irrazionale ma sincero di Luana.
La preoccupazione sui volti di Tiziano e di Paolo.
La comprensione da parte di Roberto.
Il tuo dolore.
Il dolore che ho visto sul tuo volto quando, in camera da letto, Roberto mi ha fatto spogliare.
Quando hai visto i lividi sul ginocchio e sull'addome.
Quando non sono riuscito a trattenere il sussulto di dolore, quando Roberto mi ha visitato.
Nonostante hai cercato di nasconderlo, in tuo dolore era lì.
E il tuo dolore mi ha fatto male, perché la causa sono io.
Entriamo in macchina, in silenzio.
Non ricordo neanche di essere uscito dal palazzo, perso come sono nei miei pensieri.
Osservo la strada scorrere sotto i miei occhi, la testa abbandonata contro il finestrino.
Penso a tutto e a niente.
Sento il cervello leggero e pesante al tempo stesso.
Sono stanco, ma non ho sonno.
Non è quel tipo di stanchezza.
Mi rendo conto troppo tardi che la strada che stiamo facendo non è quella per andare a casa di Paolo.
Alzo lo sguardo, e inarco un sopracciglio quando vedo che al volante c'è Tiziano.
Lui non guida quasi mai l'Impala.
"Dove stiamo andando?"
La mia voce ti fa sussultare.
Ti volti a guardarmi.
La tua mano stringe la mia, sembra volermi dire di stare calmo.
Ti guardo, attraverso lo specchietto retrovisore.
I tuoi occhi mi osservano apprensivi.
Non capisco.
Che succede?
Tiziano non risponde.
Mi osserva di sbieco, continuando a guidare, fingendo di non avermi sentito affatto.
Un dubbio mi sfiora.
Mi volto verso Paolo.
"Paolo, dove stiamo andando?"
"In ospedale"
Merda.
E che palle.
Che grandissima, immensa rottura di palle.
Che lingua parlo?
A quanto pare, non la stessa di Tiziano.
Maledizione.
Sento il nervoso crescere dentro di me.
Ancora.
Muovo le gambe, nervoso.
"Ho detto che non voglio andare in ospedale"
Questa volta, è Tiziano a rispondermi.
"Hai sentito Roberto. Devi farti controllare la gamba"
La sua voce è controllata, come se stesse trattenendo la rabbia.
Ha una nota condiscendente che non mi piace affatto.
"Farò una risonanza privatamente domani"
"È più semplice se andiamo in ospedale"
"Tiziano, ho detto di no"
Con uno scatto di rabbia, Tiziano sbatte le mani sul manubrio.
Tu ed io sussultiamo a quel gesto.
Tiziano non perde mai la pazienza, è sempre pacato, controllato.
Come me.
Lo guardo.
La sua postura è rigida, in netto contrasto con quella rilassata di Paolo, al suo fianco.
Probabilmente lui, che lo conosce meglio, si aspettava l'esplosione, da un momento all'altro.
"Porca puttana, Enea! Cosa cazzo hai contro gli ospedali? Devono farti una visita, niente di più"
La tua mano si posa sulla mia gamba, stringendola.
Stai calmo, mi dice.
Ma non sono calmo.
Per niente.
Respiro.
Profondamente.
Non voglio litigare con Tiziano.
Non ho le forze per litigare con nessuno, non oggi.
Non ancora.
Ma mi sento in trappola, costretto a fare qualcosa che non voglio.
Ma perché non voglio?
...
Non lo so.
"Ho detto che non voglio andare in ospedale. Non ce n'è bisogno"
"Enea, vaffanculo"
Sento la rabbia montare, il poco controllo che ancora conservo abbandonarmi.
La tua mano rafforza la presa sulla mia gamba, ma è un contatto troppo leggero per riuscire a calmarmi.
Sono stanco di cercare di controllarmi.
È tutto il giorno che la mia pazienza viene messa alla prova.
Ne ho le palle piene.
Guardo Tiziano, attraverso lo specchietto retrovisore.
I suoi occhi sono arrabbiati, preoccupati, stanchi.
I miei sono solo vuoti.
Il battito del cuore mi pulsa nelle orecchie.
Come tutti gli animali messi all'angolo, attacco.
"Vaffanculo tu"
Una sterzata mi fa perdere l'equilibrio, e ti finisco addosso.
Usciamo dalla strada principale, e Tiziano inchioda in un parcheggio semideserto qualche metro più avanti.
Senza dire più una parola, esce dall'auto.
Il rumore dello sportello che sbatte rimbomba nell'abitacolo silenzioso.
"Ma che cazzo.."
"Tranquillo, ha solo bisogno di sbollire la tensione. Ci parlo io"
Senza aggiungere altro, anche Paolo scende.
Rimaniamo da soli in macchina, in silenzio.
Sento il cuore battere furioso, il respiro uscirmi affannato.
Sono arrabbiato.
Con me, per aver perso il controllo, e con Tiziano, per avermelo fatto perdere.
Li osservo.
Parlano, probabilmente discutono, ma sono troppo distanti dalla macchina, non riesco a sentire le loro parole.
E comunque, in ogni caso, non ho voglia di sapere cosa si stanno dicendo.
È Paolo che parla, in realtà.
Tiziano sembra ascoltare e basta.
La sua espressione è tesa.
"È solo preoccupato per te"
Mi volto di scatto verso di te.
Anche tu li stai guardando, capendo forse più di me.
"Anche tu sei preoccupato per me, ma non mi rompi i coglioni"
Sorridi, vagamente divertito.
Sposti lo sguardo su di me.
I tuoi occhi verdi brillano nel buio.
"È vero, ma perché io ti conosco e so che otterrei l'effetto contrario"
Ci rifletto un attimo, mentre sento il cuore rallentare leggermente la sua cosa.
Inarco un sopracciglio.
"Paolo mi conosce tanto quanto Tiziano, ma non mi assilla"
Annuisci, accomodandoti meglio sul sedile.
La tua mano afferra la mia, quasi distrattamente.
"È vero, ma Paolo è diverso da Tiziano. È meno istintivo, riesce a gestire la sua preoccupazione. Riconosce il fatto che tu sia un adulto e che possa prendere le tue decisioni da solo, per quanto lui non sia d'accordo. Tiziano non è così. È preoccupato per te, e questo lo rende irrazionale"
...
"E tu?"
Il tuo sorriso si allarga.
Non è divertito.
È intenerito, forse.
Hai letto nella mia voce la tristezza, la quasi disperazione, il bisogno di essere rassicurato.
Hai percepito l'improvviso macigno che mi è piombato sul cuore.
"Io ho capito tanto tempo fa che è inutile cercare di costringerti a fare qualcosa che non vuoi. E, al contrario di Tiziano, so perfettamente perché non vuoi andare in ospedale, anche se forse non lo hai capito neanche tu. Anche io, come lui e come Paolo, vorrei che tu ci andassi, ma so che esserti fatto visitare da Roberto e aver accettato di fare un controllo privato domani è già più di quanto potessi aspettarmi, e quindi lo accetto. Senza contare il fatto che io riesco quasi sempre a manipolati per riuscire a farti fare ciò che voglio io"
Sorrido, ma la tua battuta non riesce ad alleggerire del tutto il mio umore.
Chiudo gli occhi, respirando profondamente.
Hai ragione.
Hai perfettamente ragione, su tutta la linea.
Mi hai capito ancora, senza bisogno che io parlassi, senza bisogno che ti spiegassi nulla.
Forse, addirittura, hai capito ciò che anche per me non è del tutto chiaro.
Hai capito che, in qualche modo, andare in ospedale, avere un referto che certifichi quanto è successo, lo renderebbe troppo reale, e io non sono pronto ad accettarlo.
Hai capito che più di questo non riuscirei a fare, e hai scelto il compromesso, piuttosto che una guerra ad armi spianate.
Adesso, sono i sensi di colpa a divorarmi.
Mi sento in colpa per aver perso la pazienza, perchè l'insistenza di Tiziano, così come quella di Luana, non aveva cattive intenzioni.
Lui è solo preoccupato.
Tutti siete solo preoccupati.
Solo che lui non riesce a gestirlo.
Lui ha perso il controllo, proprio come me.
Avverto un movimento, e un secondo dopo sento il tuo corpo contro il mio.
Inevitabilmente, senza pensarci, mi ci aggrappo.
Ti stringo, e sento te fare lo stesso.
Ti sento vicino, per la prima volta da quando questa giornata di merda è iniziata.
Sembra passata una vita da quando ho litigato con Angelo, questa mattina.
Sembra essere successo mesi fa.
"Sono sicuro che la fuori Paolo sta rimproverando Tiziano perché si comporta come una mamma chioccia"
Sorrido nel tuo abbraccio, stringendoti più vicino.
Respiro il tuo odore, stringo le mani a pugno contro la tua schiena.
La stoffa del gilet rosso rimane intrappolata nella mia presa.
"Probabilmente"
Assorbire il tuo umorismo onnipresente sembra darmi un po' di forza.
Sembra darmi quel coraggio che stava scappando via.
Tu mi dai forza, coraggio.
Lucidità.
Sospiro, strofinando inconsciamente il viso contro il tuo collo, in un gesto che sei solito fare tu.
Ti sento sorridere, mentre mi accarezzi con gesti ritmici la schiena con una mano.
È un'altalena di emozioni.
È tutto il giorno che va avanti così, e sento che non è ancora finita qui.
Che i miei mostri, i miei demoni, sono lì ad aspettarmi, e che mi toccherà affrontarli prima o poi.
Ma non qui.
Non adesso.
Sospiro ancora, rimanendo quasi ranicchiato nel tuo abbraccio.
Sento il tuo cuore battere.
È calmo.
Mi rendo conto che, adesso, anche il mio lo è.
Chiudo gli occhi.
"Sono uno stupido"
Lo sussurro, e il tuo petto viene scosso da una risata silenziosa.
"È una tesi che io sostengo da anni"
Sorrido, ma scuoto il capo.
"Dico davvero. Sono stato capace di far girare i coglioni a Tiziano, deve essere una specie di record"
"E Tiziano è stato capace di far girare i coglioni a te, anche questo è un record"
Ci penso.
È vero.
Anche io, come lui, non mi arrabbio mai.
Ma non è colpa sua.
È stata questa giornata a rendermi particolarmente suscettibile.
"Non vi siete capiti, non è successo nulla di grave. Tiziano non ha capito che non era il caso di insistere, almeno oggi, e tu non hai capito che il suo comportamento era dettato dal bisogno di aiutarti e nient'altro"
Annuisco contro il tuo collo.
Mi scosto da te e, sensa pensarci troppo, ti bacio.
Le tue labbra sono morbide.
Mi rispondi senza tirarti indietro, come tutte le volte.
Non scappi mai da me.
Non ti allontani mai.
Allungo una mano dietro la tua schiena e ti avvicino, con forza.
I nostri petti quasi si scontrano, mentre le tue mani mi circondano il viso, delicatamente.
Il tuo sapore sulle labbra è la cosa che più di tutte mi è mancata, per tutto il tempo.
È la cosa di cui più avevo bisogno, e me ne rendo conto soltanto adesso.
Non approfondisco il bacio.
Mi stacco appena da te, cercando di recuperare il respiro che già mi manca.
Poggio la fronte contro la tua.
Le tue braccia mi avvolgono, e io mi lascio andare contro il tuo corpo.
"Stai bene?"
Non rispondo.
A cosa ti riferisci?
Al corpo o alla mente?
Non sto bene, in entrambi i casi.
"Sto bene"
Resti in silenzio.
So che non mi credi.
Riprendi ad accarezzarmi la schiena, mentre cerco di recuperare il respiro.
Non ho voglia di muovermi.
Non voglio allontanarmi di nuovo da te.
Se mi allontanassi adesso, tutte le paure e i pensieri che mi avevano assalito mentre uscivamo da casa di Luana tornerebbero prepotenti.
E non voglio.
Sono stanco di fingermi forte, e con te so di potermi concedere il lusso di essere fragile.
Anche se fa ancora un po' paura.
So che non mi farai male.
Non me ne hai mai fatto.
Non mi scosto dal tuo corpo neanche quando Paolo rientra in auto.
Non mi muovo, e non dico una parola.
Parli tu per me.
Mi stringi ancora.
"Perché Tiziano non entra?"
"Sta fumando"
"Non può fumare in macchina?"
"Assolutamente no. Nell'Impala non si fuma"
Ridacchi appena, divertito.
"Chiedo scusa, papà Pig"
"A proposito, chi ha deciso che io sono il papà maiale e Tiziano la mamma?"
Ridiamo entrambi.
Alzo il viso dal tuo petto, senza allontanarmi troppo.
"Io. Tiziano si comporta come una mamma apprensiva"
Paolo si volta, sorridendomi.
"Sono d'accordo, ma non dirglielo. Non ora, almeno"
Sento il buon umore incrinarsi.
Guardo fuori dalla macchina.
Tiziano è poggiato contro il cofano, ci da le spalle.
Sembra perso nei suoi pensieri, il volto alzato verso il cielo.
Il senso di colpa, che non è mai andato via, torna prepotente.
"Come sta?"
Guardo Paolo, e il suo sorriso è ancora lì.
Un po' triste, forse un po' dolce, ma c'è ancora.
Mi scruta appena un secondo, studiandomi.
La tua mano continua ad accarezzarmi la schiena, le spalle.
"Sta bene"
Inarco un sopracciglio.
"Non sembra"
"Sta bene, Enea. Non era davvero arrabbiato, era solo.."
"Preoccupato, si lo so"
Gli occhi di Paolo scivolano su di te.
Ti guarda divertito.
"Sì, era solo preoccupato. Ed ha un modo un po' opprimente per manifestare la sua preoccupazione"
"L'ho notato"
"Gli passerà"
Il silenzio cala nell'auto.
Paolo si gira verso Tiziano, osservandolo, pensando a chissà cosa.
Leggendo nella postura del suo corpo qualcosa che ne io ne tu potremmo mai capire.
"Vado a chiamarlo"
Allunga il braccio per aprire lo sportello, quando con uno scatto lo blocco.
Non ho neanche riflettuto, il mio corpo ha agito per me.
Paolo si volta, guardandomi sorpreso.
"Vado io"
"Enea.."
"Non voglio litigarci Paolo, te lo garantisco"
Mi osserva per qualche secondo, come a voler cercare qualcosa, dentro di me.
Probabilmente la trova, perché annuisce, sorridendo.
Allunga la mano verso la mia, stringendola leggermente, per poi lasciarmi andare.
Ti guardo.
Mi sorridi.
Probablmente hai capito.
Ho bisogno di parlare con Tiziano.
Ho bisogno di chiedergli scusa, di dirgli che ho capito.
E ho bisogno di farlo da solo con lui, perché farlo con altre persone che ascoltano, anche se siete solo tu e Paolo, sarebbe troppo complicato.
È già complicato così.
Mi annuisci, cercando di incoraggiarmi.
Ti faccio un cenno di rimando, per poi voltarmi.
Apro lo sportello, scendo dall'auto.
L'umidità opprimente sembra entrarmi nei polmoni.
"Sto arrivando Paolo, torna in auto"
La voce di Tiziano mi colpisce.
Sembra incredibilmente stanca.
Chiudo lo sportello, cammino zoppicando appena.
"Non sono Paolo"
Si volta di scatto, mi guarda.
Non mi risponde, ho il tempo di raggiungerlo.
Mi poggio anche io contro il cofano, cercando di sgravare la gamba ferita dal mio peso.
"Non dovresti camminare"
Lo sguardo di Tiziano è fisso sulla mia gamba.
Il mio esamina il cielo buio corparso di stelle che lui stesso stava scrutando prima.
Non rispondo.
Riesco ad evitare a stento di alzare gli occhi al cielo.
So perfettamente che non dovrei camminare.
Lascio che il silenzio ci avvolga e, con la coda dell'occhio, vedo Tiziano voltare il viso ancora una volta verso l'oscurità che ci circonda.
Guardare il cielo, le stelle.
"Mi dispiace"
Non ho neanche il tempo di pronunciare queste parole, che una profonda tristezza mi invade.
Chino il capo, chiudo gli occhi.
Tenerli aperti costa troppa fatica.
Una mano preme gentilmente contro la mia spalla.
La stringe.
È una specie di risposta silenziosa.
Quasi non servirebbero parole.
"Dispiace anche a me"
Annuisco, ma sento che non è abbastanza.
Sento di dovermi discolpare, di dover parlare, dire qualcosa.
Ho bisogno di parlare.
...
Cazzo.
Io?
Bisogno di parlare?
Cosa mi sta succedendo?
"Scusa per prima"
La mano sulla mia spalla stringe la presa.
"Non hai nulla di cui scusarti. La colpa è mia"
Sbuffo.
"È colpa tua se sei preoccupato?"
"No, è colpa mia se a trent'anni non riesco a gestire la mia preoccupazione"
"Ma sono io ad averti fatto preoccupare"
"Sì, è vero. Ma non posso obbligarti a fare qualcosa che non vuoi"
"Non dovevo comunque arrabbiarmi con te. Tu non mi hai fatto niente. Ho riversato su di te il nervoso di tutta la giornata, scusami"
Tiziano sospira.
"Avrei dovuto capire che insistere non avrebbe portato a niente. So che non ce l'hai con me. Anche io non ce l'ho con te, quindi basta così"
Socchiudo gli occhi, guardo l'asfalto.
Nella testa vorticano così tanti pensieri che non riesco a distinguerne nessuno.
O forse, al contrario, nella mia testa non ci sono affatto pensieri, e il silenzio che sento dentro è così assordante da disorientarmi.
"Ho sempre pensato che le stelle ci potessero dare le risposte che a volte non riusciamo a trovare"
La voce di Tiziano è calma.
La sua mano è ancora sulla mia spalla.
La profondità che ha, a volte, mi stupisce.
È un uomo semplice, ma anche, al tempo stesso, incredibilmente profondo.
È stata una delle prime cose che ho pensato di lui.
Continuo ad esaminare l'asfalto lercio del parcheggio.
"Oggi ti hanno dato qualche risposta?"
"No. Oggi le risposte sono arrivate attraverso uno spilungone che mi ha rimproverato per essere opprimente e rompicoglioni"
Sorrido, alzando lo sguardo.
Non mi volto, ma so che anche Tiziano sorride.
"Io poco fa ti ho definito una mamma chioccia e apprensiva, ma Paolo mi ha chiesto di non dirtelo"
Lo scappellotto che mi raggiunge fa allargare il mio sorriso.
Avevo paura, ero in preda all'ansia.
Adesso ho il cuore leggero.
"Attento, ragazzino"
"Scusa, scusa"
Guardo il cielo anche io.
Lascio che i pensieri mi scivolino nella mente.
Non abbiamo più bisogno di parole.
Non abbiamo bisogno di chiederci ancora scusa.
Siamo persone semplici, io e Tiziano.
Tutto il contrario di te e di Paolo.
Sorrido, pensando a quanto sia strano che due persone tranquille e pacate come noi abbiano incontrato due matti squilibrati come voi due.
Un pensiero mi torna in mente.
E decido in un secondo di condividerlo con Tiziano.
"Ho capito una cosa sta sera"
Mi guarda.
I suoi occhi scuri riflettono le stelle che ci sovrastano.
Sorridono, sarcastici.
"Cosa, che sono una mamma apprensiva?"
Mi allontano appena in previsione di un ulteriore scappellotto, sorridendo divertito.
"Su quello avevo già qualche sospetto. No, ho capito un'altra cosa"
Mi guarda incuriosito.
"Che cosa?"
Rifletto per qualche istante.
Cerco le parole migliori da usare.
"Ho capito perché è stato difficile per te lasciare Luana"
Quasi sussulta per la sorpresa.
Il suo sguardo si indurisce un po'.
"Che vuoi dire?"
"Quando siamo entrati a casa sua, a casa vostra, ho capito subito che non avevate alcuna speranza di stare insieme. Siete troppo diversi. Casa di Paolo sembra essere fatta su misura anche per te. Casa di Luana no. Tu eri un estraneo nella vostra casa"
"Questo cosa c'entra con.."
"Aspetta, lasciami finire. Non so cosa vi siete detti tu, lei e Paolo mentre noi eravamo in camera. Ma posso immaginarlo"
Il tono della mia voce lascia intendere molto.
So perfettamente ciò di cui hanno parlato.
Gli occhi colpevoli di Tiziano confermano il mio sospetto.
Per tutto il tempo, per tutta quell'interminabile mezz'ora, hanno parlato di me.
Di quello che mi era successo.
"Enea, io non..."
"Non ti preoccupare, va bene. Lo immaginavo"
Gli sorrido, cercando di fargli capire che davvero va bene.
Non gliene faccio una colpa.
Muovo le spalle, cercando di far sciogliere i muscoli irrigiditi.
Sento sulla pelle i tuoi occhi e quelli di Paolo.
Sto per voltarmi, per confermare i miei sospetti, per incrociare i tuoi occhi, quando Tiziano, parlando, mi fa bloccare.
"È inutile che ti giri. Ci stanno guardando, li percepisco anche io"
...
"Hanno paura che iniziamo a fare a pugni da un momento all'altro?"
"Probabilmente"
Scuoto il capo, sorridendo divertito.
"Comunque, immaginavo che aveste parlato di me. Era giusto dare qualche spiegazione a Luana, visto che siamo piombati in casa sua"
Tiziano annuisce.
"Voleva sapere cosa fosse successo esattamente, e cosa centrassimo io e Paolo"
Mi prendo un attimo per elaborare i pensieri.
Il mio ragionamento mi sembrava perfettamente logico, mentre abbracciavo Luana.
Spiegarlo a Tiziano, ad alta voce, è completamente diverso.
"Mentre stavamo uscendo di casa, Luana mi ha abbracciato. Forse per tutto quello che le avete raccontato voi, o forse solo per empatia, ma l'ho sentita sincera. Quando mi ha detto che le dispiaceva per me e che se avessi avuto bisogno potevo contare su di lei, l'ho sentita sincera"
"Lo so. Se non lo avesse pensato davvero non avrebbe detto niente piuttosto che dirti una stronzata"
Alzo lo sguardo sulle stelle.
Lo avevo capito.
"Mentre mi abbracciava, ho capito quanto per te lasciarla sia stato difficile. Ero io quello da consolare e rassicurare, ma mi è sembrato come se, anche in quel momento, fosse lei quella più fragile. Mi è sembrato come se avesse bisogno lei di essere rassicurata. Mi sono sentito in colpa per il dispiacere che le stavo dando, anche se, a conti fatti, neanche la conosco"
Il silenzio si propaga fra noi.
Tiziano non dice una parola, forse sorpreso da quanto, con un solo abbraccio, io sia riuscito a capire la sua quasi ex moglie.
Volto il viso verso l'uomo accanto a me.
Fissa l'asfalto.
Sconsolato.
Triste.
Ironicamente, io sorrido.
Quello che ho capito su Tiziano, abbracciando Luana, dubito lo abbia capito tu.
Dubito lo abbia capito persino Paolo.
Continuo a parlare.
Ho bisogno che Tiziano capisca.
Ho bisogno di chiedergli scusa.
"Quando ti abbiamo conosciuto, nè io nè Marco capivamo esattamente perché ci avessi messo così tanto tempo per lasciare Luana. Abbiamo anche pensato che forse Paolo non era abbastanza importante, per te"
Tiziano solleva lo sguardo su di me, arrabbiato.
Lo interrompo prima che possa dire alcunché, sollevando una mano.
"Lo so. L'ho capito oggi"
Sorrido, voltandomi verso di voi.
Tu mi osservi incuriosito, forse intuendo la piega inaspettata che ha preso la conversazione.
Ho visto il tuo sguardo, mentre abbracciavo Luana, e so perfettamente che avevi capito i sensi di colpa che provavo nei suoi confronti, e nei confronti di tutti quanti.
Guardo Paolo.
Il mio sorriso si allarga quando noto che lui non mi sta guardando affatto.
Lui guarda Tiziano.
"Oggi ho capito che in realtà era esattamente il contrario. Non fosse stato per Paolo, non avresti mai lasciato Luana, anche se con lei non eri felice"
Guardo Tiziano.
"Io ti chiedo scusa. Ti chiedo scusa per non aver capito quanto fosse difficile lasciarla. Per averti incolpato per questo. Paolo non può farlo, perché ha sofferto anche lui in tutta quella situazione, e Marco non ha capito Luana quanto me. Quindi ti chiedo scusa io, a nome di tutti quanti. Anche a nome di Gianni, che è un coglione"
Sorride, vagamente divertito all'accenno al barista del Rouge Bar.
I suoi occhi, però, sembrano persi in ricordi che io non posso vedere.
"Io mi sono sentito una merda solo perché la stavo facendo preoccupare. Tu hai dovuto lasciarla perché ti eri innamorato di un uomo. È un po' svampita, ma è una donna buona, e fragile. Troppo fragile, forse. Ma non posso fartene una colpa se avevi paura di ferirla, e ti mancava il coraggio per farlo"
Gli occhi umidi di Tiziano confermano l'esattezza delle mie parole.
Mi osserva per qualche secondo.
Poi abbassa lo sguardo.
"Paolo non lo ha mai capito. Forse all'inizio lo capiva, ma poi era solo arrabbiato"
Annuisco.
"Paolo era giustamente arrabbiato. Ma è normale che non lo abbia capito. È per questo che te lo sto dicendo. Perché mi dispiace che nessuno, in quel momento, abbia capito, nè te nè lei. A distanza di mesi, è giusto che ti venga riconosciuto il merito della forza di volontà che hai avuto, e che venga riconosciuto a lei di non essere solo la moglie rompicoglioni"
Tiziano annuisce, continuando a guardare in basso.
"Me lo stai dicendo per questo?"
"Te lo sto dicendo perché su questa cosa non avrai giustizia da nessun altro se non da me"
...
"La verità è che sei una mamma comprensiva anche tu, proprio come me"
Alzo la mano, tirando uno scappellotto a Tiziano.
Ride divertito, allontanandosi dal cofano e guardandomi.
Ora è sereno.
Non triste, non preoccupato, non sconsolato.
Gli ho dato la comprensione di cui aveva bisogno, da tanto tempo.
L'assoluzione per i sensi di colpa che lo attanagliavano.
"Sei tu il vecchio, non io"
Scuote il capo, continuando a sorridere.
Poi, senza che io possa prevederlo in nessun modo, ricopre la distanza che ci separa e mi abbraccia.
Resto sbigottito per qualche secondo.
Non me lo aspettavo.
Questo è un gesto che faresti tu, una dimostrazione plateale di affetto tipica del tuo carattere.
Non Tiziano.
Scuoto mentalmente il capo.
"Oggi per me è la giornata degli abbracci"
Lo borbotto, fingendomi irritato.
Ma ricambio il gesto.
Un po' impacciato, un po' in imbarazzo, ma felice anche io.
"Grazie, ragazzino"
Sorrido, mentre l'abbraccio si scioglie.
"Grazie a te, mamma pig"
Tiziano ride.
Senza dire più una parola, senza aver bisogno neanche di guardarci, rientriamo in auto.
"Avete finito di fare i piccioncini?"
Rido alle parole di Paolo.
Non sembra realmente infastidito.
Forse solo sorpreso.
Ti guardo.
I tuoi occhi mi osservano felici.
Mi siedo accanto a te, lasciando che il calore del tuo corpo mi avvolga.
Che il tuo odore prenda possesso delle mie narici.
Mi sento in pace con me stesso, e con tutti, in questa macchina.
Con te, perché so che probabilmente, anche questa volta, hai capito.
Hai capito che avevo bisogno di parlare con Tiziano, di fargli capire che lo capisco, che la mia perdita di pazienza era dettata solo dallo stress di questa giornata, non da reale rabbia contro di lui.
Con Tiziano, perché lui ed io siamo più simili di quanto ammettiamo.
Simili come lo siete tu e Paolo, che, al contrario, sbandierate il vostro amore ai quattro venti.
Con Paolo, perché l'assoluzione che lui non darà mai a Tiziano gliel'ho data io.
Lui non potrebbe mai, e non è colpa sua.
È giusto così.
Ma sa, nel profondo, che se Tiziano non lo avesse amato davvero, non avrebbe mai lasciato Luana.
Che è stato solo il sentimento che prova per lui a dargli la forza necessaria.
Mi sento in pace, e finalmente, realmente tranquillo.
I mostri torneranno, sicuramente.
Ma non ora.
Non adesso.
Non qui.

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