Parte XI

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Fisso il legno della porta davanti a me.
Aspetto.
Aspettiamo.
Sento il cuore pulsare violentemente nel petto, nelle tempie.
La mia mano sudata è stretta nella tua.
Sobbalzo, quando la porta si apre.
"Enea"
...
"Angelo"
Mio fratello fissa stupito te, Tiziano e Paolo.
"Non serviva che ti portassi dietro i cani da guardia"
La tua mano trema, e rafforza la presa.
Non ho bisogno di guardarti.
Percepisco la tua occhiata sprezzante diretta a mio fratello.
"Indovina un po'.."
Lascio la frase in sospeso, e sorrido sarcastico quando Angelo la completa.
"Sì, lo so. Non sono cazzi miei"
Continua a fissarci.
A stento, evito di alzare gli occhi al cielo.
Il solito sguardo ottuso.
Il cuore rallentare la sua corsa.
Per tutta la mattina, prima di venire qui, il dubbio che fosse una trappola, che i miei fossero in casa e mio fratello mi avesse mentito, mi ha attanagliato lo stomaco in una morsa che ha faticato ad andare via.
Ora mi sento più tranquillo.
Non sono in casa.
Per lo meno, è stato di parola.
"Ti sposti o dobbiamo passarti sopra per entrare?"
La voce dura di Paolo mi sorprende.
Mi volto verso di lui.
Fissa Angelo con uno sguardo strano.
Un incrocio tra indifferenza e disprezzo.
Inarco un sopracciglio, e vedo Tiziano fare lo stesso.
Mi sarei aspettato una frase del genere da lui, da te, o persino da me.
Ma non da Paolo.
Cosa mi sono perso?
Torno a guardare Angelo, che ricambia lo sguardo di Paolo, sbigottito.
Anche lui non si aspettava questa ostilità così aperta ed evidente da parte dei miei accompagnatori.
Stralunato, si sposta di lato, permettendoci di passare.
Entriamo.
...
Cazzo.
La casa è silenziosa, vuota, come avevo intuito.
Ma la vista del salotto mi destabilizza.
È l'ultima stanza che ho visto, prima di mandare definitivamente tutti a fanculo.
È stata una liberazione, certo.
E sono contento di averlo fatto.
Questo non significa che comunque, in qualche modo, per qualche strana ragione, non faccia male.
Mi stringi la mano, quando vedi i miei occhi vagare per la stanza senza una meta precisa.
Ricambio la stretta.
Sto bene.
Solo non mi aspettavo che ritornare qui mi facesse questo strano effetto.
Non so dove sia casa mia, ma sicuramente non è più qui.
È strano.
In sole due settimane, questo posto non è più la mia casa.
Io non la sento più come tale.
Ma l'ho mai veramente percepita così?
"Io ti conosco"
Sposto lo sguardo tra Angelo e Paolo.
Lo sguardo di mio fratello si è fatto pensieroso, come se stesse cercando di recuperare da qualche anfratto della sua mente dei ricordi sbiaditi.
Ammesso che abbia anfratti nella sua mente, e che non sia tutto un ciarpame di pensieri che faticano a comunicare tra loro.
...
Probabile.
Scuoto la testa, allontanando gli insulti che, inevitabilmente, la mia mente crea.
Trattengo una risata.
Davvero, non riesco a farne a meno.
Sposto l'attenzione su Paolo.
Fissa Angelo beffardo, con un sorriso sarcastico che gli spunta sul volto.
Si conoscono?
Mi guardi, interrogativo, e io scrollo le spalle in risposta.
Non ne ho idea.
Davvero.
"Purtroppo"
Tiziano alterna lo sguardo tra Angelo e Paolo, con un sospetto vago sul viso.
"Come vi conoscete?"
La mia domanda risuona nella stanza silenziosa come se l'avessi urlata.
Nessuno dei due sembra volermi rispondere.
Si guardano ancora, Angelo pensieroso e Paolo sprezzante.
Poi, Paolo sposta gli occhi su di me.
"Tuo fratello frequentava dei ragazzi che passavano l'estate nel mio paese. Non ci conosciamo, non direttamente, ma non ha mai perso l'occasione di ridere di me quando mi vedeva per strada. Sembrava che non avesse altro da fare che chiamarmi frocio e insultarmi"
Inarco un sopracciglio.
Non sono sorpreso dall'atteggiamento idiota di Angelo.
Sono stupito che Paolo se lo ricordi così bene.
Sposto gli occhi su Tiziano.
Se Paolo sembra solo sprezzante, Tiziano adesso è apertamente ostile.
...
Merda.
Paolo continua a parlarmi, spostando però lo sguaardo su Angelo.
Lo guardo anche io.
È arrossito improvvisamente, sembra a disagio.
Per quanto stupido, sa perfettamente di trovarsi in una situazione di svantaggio.
Quattro contro uno non è il massimo.
"Enea, non so come abbia fatto tu ad uscire normale da questa famiglia"
"Va bene, andiamo"
Faccio un passo avanti, cercando di convincere Paolo e Tiziano a seguirci in camera.
In teoria, loro sarebbero dovuti rimanere con Angelo mentre io e tu prendavamo tutto ciò che mi serviva, ma adesso l'idea di lasciare i tre da soli non mi entusiasma neanche un po'.
"Paolo, se venite anche voi ci sbrighiamo prima"
Ci provi anche tu.
Ma è inutile.
Capisco immediatamente che non si schioderanno dal salotto.
"No, andate voi. Noi restiamo qui a far compagnia ad Angelo, non vorremmo mai si sentisse troppo solo"
Per poco non scoppio a ridere, tra la voce sarcastica di Paolo e lo sguardo letteralmente terrorizzato di Angelo.
Li fisso, pensando velocemente.
Poi, scrollando le spalle, decido di esporre apertamente i miei dubbi.
"Se vi lasciamo soli, promettete di non picchiarvi?"
"Se hanno intenzione di picchiarsi, pensi che lo dicono a te?"
Il tuo sussurro ironico non troppo basso mi fa sorridere.
"No, effettivamente no"
"Tranquillo, Enea"
Guardo Tiziano.
Fin'ora non ha detto una singola parola.
Nonostante la rabbia, la sua voce è pacata.
La smorfia che gli deforma il viso è piena di disgusto.
"Non ci abbassiamo a certi livelli"
Continuo a guardarli, indeciso.
...
Oh, fanculo.
Facessero quello che vogliono.
Non sono la loro balia.
Scrollo le spalle, camminando verso la mia stanza.
Ti prendo per mano, trascinandoti con me.
"Dove vai?"
Le parole di Angelo mi fermano.
Prima di voltarmi, sorrido divertito.
L'ansia nella sua voce è palpabile.
Lo guardo da sopra una spalla.
"Sono venuto qui per prendere delle cose, ricordi?"
Cerca di parlare, ma la voce gli rimane incastrata in gola.
I suoi occhi scattano in tutte le direzioni, cercando una via di fuga.
Il mio sorriso si allarga.
"Non ti preoccupare, fratellone, Paolo e Tiziano non ti faranno niente, non fosse altro per non crearmi più casini di quelli che ho già"
Il sorriso colpevole di Paolo e l'occhiolino di Tiziano confermano le mie parole.
Peccato che Angelo non possa vederli, intento com'è a guardare me.
I suoi occhi scivolano sulle nostre mani, ancora unite.
Inaspettatamente, non vedo disprezzo nel suo sguardo.
È ancora troppo terrorizzato.
...
Dio mio.
Cosa può fare la paura, dove l'intelligenza non arriva.
Deglutisce un paio di volte, poi riesce finalmente a parlare.
"Non ci hai nemmeno presentati"
Inarco un sopracciglio.
Fa sul serio?
Ti guardo.
I tuoi occhi fissano Angelo come se fosse qualcosa di disgustoso appiccicato sotto le tue scarpe nuove.
Trattengo una risata.
Sai perfettamente, come me, che sta cercando solo di guadagnare tempo per non essere lasciato solo con Paolo e Tiziano.
Difficile fare il bullo omofobo, quando si è in minoranza numerica.
"Lui è Marco. Marco, lui è Angelo"
Parlo freddamente, senza lasciarti la mano.
Stringendola un po' di più, forse.
Un sorriso titubante e terribilmente falso si affaccia sul viso di mio fratello.
"Piacere"
Non rispondi, continuando a guardarlo con disprezzo.
Come biasimarti.
...
Sospiro.
Questa situazione inizia a stancarmi.
"Bene, adesso che abbiamo fatto le presentazioni, noi andiamo di la. Fate i bravi"
Senza aspettare una risposta, ti trascino attraverso il corridoio fino alla mia camera.
Entro, lasciando la porta aperta.
Dal salotto arriva un silenzio tombale, ma non si sa mai.
"Beh, è stato divertente"
Borbotto, avvicinandomi alla scrivania.
La mia stanza è rimasta identica a due settimane fa, quando sono andato via.
Non è entrato nessuno.
Il tempo non è mai passato, qui dentro.
Eppure sono cambiate tante cose.
È cambiato tutto.
"Non è stato divertente per niente"
Ti cerco nella stanza.
Fissi arrabbiato il corridoio, come se ti avesse fatto un torto terribile.
Gli occhi verdi mandano scintille, le guance sono rosse per la rabbia.
La tua espressione è tesa.
Lo leggo nella ruga che ti attraversa la fronte.
Mi avvicino, zoppicando appena.
"Ehi"
Ti prendo la mano, facendoti spostare di forza dalla porta.
Mi segui, ma continui ad evitare il mio sguardo.
Ti sollevo appena il mento con due dita.
I tuoi occhi si incastrano ai miei.
Sorrido.
"Mio fratello è un coglione, è vero. Ma è un coglione innocuo. Non è veramente cattivo, è solo ignorante"
Mi fissi.
Probabilmente capisci che io sono davvero tranquillo, e annuisci appena.
I ricci ondeggiano al movimento.
Il rosso spicca sul tuo viso pallido.
"Come fai a sopportarlo?"
Hai ancora la voce arrabbiata.
Ti guardo incuriosito.
"A sopportare cosa? La sua ignoranza?"
Fai una piccola smorfia, scrollando le spalle.
"Anche"
"Sinceramente, non me ne frega niente. Lui è così per colpa dei miei, non è davvero colpa sua"
Mi guardi, pensieroso.
Un sorriso divertito ti sfugge.
"Paolo ha ragione. È un miracolo che tu sia uscito relativamente normale da questa famiglia di matti"
Rido, divertito.
"Relativamente normale? Dovrebbe essere un complimento?"
Scrolli ancora le spalle, sorridendomi.
"Anche tu hai i tuoi problemi"
Scuoto la testa, allontanandomi di un passo.
"Beh, sì, per stare con te ho senz'altro dei problemi"
Mi spingi via, facendomi ridere.
"Idiota"
"Te la sei cercata"
Sorridi, divertito.
Poi ti avvicini, mi baci.
Sfiori appena le tue labbra con le mie.
Avverto solo per un istante il tuo sapore, prima che ti allontani.
"Muoviamoci. Siamo qui da troppo tempo, e io non volevo neanche venirci"
Annuisco, avvicinandomi all'armadio.
La tua mano mi afferra il braccio, facendomi fermare.
"Eh no, tesoro, ora tu ti siedi e mi dici di cosa hai bisogno, faccio io le valigie"
Sbuffo, irritato.
"Marco.."
"Non rompere i coglioni. Il dottore ti ha detto che puoi togliere il tutore, ma non che puoi fare le maratone o le corse campestri. Quindi siediti"
Inarco un sopracciglio.
"Non mi pare che io stia facendo una maratona"
Poggi le mani sui fianchi, guardandomi intensamente.
"Enea"
Il tuo tono non ammette repliche.
E io davvero non voglio litigare per una stupida valigia.
Sbuffo.
"Va bene, dittatore del cazzo"
Mi lascio cadere sul letto.
Noto vagamente che le lenzuola sono rimaste nella stessa, identica posizione di due settimane fa.
Nessuno le ha toccate.
"Bla, bla"
Mi fai il verso, spalancando le ante dell'armadio.
Osservi l'interno incuriosito.
Sono sicuro di sapere a cosa stai pensando.
Poggio la schiena contro il muro.
Mi trattengo dal ridere, limitandomi ad osserverti con divertimento.
Tre..
Due..
Uno..
"Senti, facciamo così. Tutta questa roba, che tu ti ostini a chiamare vestiti, la regaliamo in beneficienza, e noi domani andiamo a fare shopping. Ti va?"
Sorrido apertamente davanti al tuo tono speranzoso.
"Per ora mettili in qualche borsone, dovrebbero essercene un paio lì dentro. E poi, non avevi detto che non dovevo fare maratone nè corse campestri?"
Sembri pensarci per qualche istante, poi ti volti sorridendomi, scrollando le spalle.
"Andremo la settimana prossima"
"E io nel frattempo che mi metto?"
Un ghigno malizioso ti attraversa il viso.
Anche adesso, so perfettamente cosa mi stai per dire.
Te l'ho servita su un piatto d'argento.
"Puoi rimanere nudo, per me non c'è problema"
Inarco un sopracciglio, sorridendo.
"Per me sì"
"I miei vestiti non ti vanno, ma sono sicuro che Paolo non avrà problemi a prestarti qualcosa di suo"
"Perché Paolo e non Tiziano?"
"Perché Tiziano si veste male come te. Voi finti etero non avete un briciolo di stile"
"Ti ho sentito!"
La voce di Tiziano ci raggiunge dal salotto.
Osservi per un attimo il corridoio, pensando se sia il caso di scusarti o no, ma poi riprendi a fare le valigie, ficcando roba a caso nel borsone.
Il mio ghigno si allarga pensando ad Angelo, che avrà sentito perfettamente la parte del 'puoi girare nudo per casa'.
"Non ho detto niente di male, è la verità. Anche se devo ammettere che va molto meglio, ultimamente. Sono sicuro che Paolo gli fa sparire di nascosto dei vestiti. Potrei fare lo stesso"
Scuoto la testa, tra il divertimento e l'esasperazione.
Non ho speranze con te.
Davvero.
Ti guardo.
Fissi il fondo dell'armadio, escogitando probabilmente qualche piano malefico per farmi sparire tutti i vestiti.
Quando capisco che ti sei perso in ragionamenti tutti tuoi, decido di svegliarti.
"Hai intenzione di finire entro sera o vuoi rimanere a cena qui?"
Sobbalzi, scuotendo il capo e ricominciando a riempire il borsone.
"Apprezzo l'invito, ma no, grazie"
Sorrido.
Ti osservo riempire silenziosamente due borsoni.
Ti allontani dall'armadio ancora pieno per metà.
"Ho finito. Quella roba rimane qui, non ho alcuna intenzione di vedertela addosso"
Annuisco, sapendo perfettamente che non è il caso di insistere.
Vinceresti comunque.
E poi, non mi è mai importato granché dei vestiti.
Sicuramente non quanto a te.
Ti indico altre cose da prendermi, in giro per la stanza.
Stai svuotando un cassetto della scrivania, quando sento un rumore strano.
Un rumore di chiavi.
Tintinnano, fuori dalla porta d'ingresso.
Sollevi il viso verso di me, guardandomi interrogativo, mentre un presentimento sinistro mi invade.
...
Non è possibile.
Potrei strozzare Angelo, se fossero loro.
Strozzarlo letteralmente.
Il rumore delle chiavi che girano nella serratura mi fa sussultare.
...
Cazzo.
Merda.
Spalanco gli occhi, avvicinandomi al bordo del letto.
"Mamma, papà, cosa ci fate qui?"
La voce di Angelo è leggermente spaventata.
Non se lo aspettava neanche lui.
Guardo l'orologio sulla parete.
11.18.
Cazzo.
E che palle.
È una cospirazione.
Un complotto cosmico su scala globale creato col solo intento di farmi girare i coglioni.
Ripetutamente.
"Abbiamo finito prima dal commercialista, era inutile aprire l'agenzia a quest'ora"
Sbuffo silenziosamente.
Sembra lo facciano apposta.
Ogni stramaledetta volta che non devono esserci, compaiono magicamente.
Maledizione.
...
Ti guardo.
Siedi sul pavimento, le spalle rigide, gli occhi arrabbiati, le mani strette a pugno.
Probabilmente, il mio aspetto è simile al tuo.
...
Calma.
Respiro.
Prendo profondi respiri, cercando di recuperare il controllo.
Cercando di regolarizzare il fiato, di mettere a tacere il cuore che mi martella il petto.
"Loro sono tuoi amici?"
Quasi mi strozzo con la mia saliva.
Amici, sì.
Sicuramente.
"No, signora, fortunatamente non siamo suoi amici"
Un sorriso divertito mi sfugge alle parole di Tiziano, e vedo te fare lo stesso.
Mi guardi.
I tuoi occhi, ancora arrabbiati, mi fissano interrogativi.
Cosa facciamo?
...
Respiro.
Mi alzo, scrollando le spalle improvvisamente rigide.
Ti faccio un cenno verso il corridoio.
In un secondo, sei al mio fianco.
È strano.
È strano sentire il tuo odore, in questa casa.
È strano che tu sia qui, con me.
Con Angelo, prima, è stato diverso.
Essere qui con lui era diverso.
Ma ora, con mia madre e mio padre nell'altra stanza, è tutta un'altra cosa.
"E allora chi siete?"
Irrigidisco la mascella al suono della voce di mio padre, ma continuo a camminare attraverso il corridoio.
Intravedo il salotto.
Tiziano e Paolo sono in piedi, con lo sguardo rivolto alla cucina.
Probabilmente ci sentono, vedono che ci stiamo avvicinando, ma ci ignorano.
Respiro, ancora.
Stringo le mani a pugno.
Tremano.
Con un ultimo passo, affianco Tiziano, mentre tu ti metti fra me e Paolo.
"Sono amici miei"
Mia madre sussulta, la borsa le sfugge dalle mani.
Solleva lo sguardo, fissandomi quasi spaventata.
Mio padre non ha alcuna reazione.
Potrei quasi pensare che non mi ha neanche sentito, se non avessi visto le sue spalle irrigidirsi.
Era inutile nascondersi.
L'ho capito subito, e l'ha capito anche Tiziano.
Ha risposto a tono a mia madre proprio per questo.
Non c'era speranza che riuscissimo a svignarcela senza farci vedere, a meno che non ci fossimo chiusi in camera in religioso silenzio fino a quando non fossero usciti per andare a lavoro, oggi pomeriggio.
E sinceramente, ne ho le palle piene di nascondermi.
Non sto facendo nulla di male.
E non ho più paura.
Sorrido sarcastico davanti agli sguardi spaventati di Angelo e di mia madre.
Davanti agli occhi furenti di mio padre.
"Cosa ci fai qui?"
La sua voce fredda mi attraversa, ma non lascia niente dietro di se.
Ne rabbia, ne dolore, ne paura.
Niente.
Indifferenza totale.
Il mio sorriso si allarga.
"Mi servivano delle cose che ho lasciato qui"
"Chi ti ha dato il permesso di entrare?"
Inarco il sopracciglio, guardando Angelo in modo equivoco.
Lui fa scattare lo sguardo tra me e mio padre.
Mia madre, sottomessa come sempre, ha smesso di parlare.
"Non volevo che vi incontraste, per questo gli avevo detto di venire oggi"
"Non doveva venire affatto"
"Papà.."
"Non preoccuparti, ho quasi finito. Togliamo subito il disturbo"
Percepisco il sorriso aleggiarmi ancora sul volto.
È tutto così strano.
Mi sento così tranquillo.
Avevo paura che sarei stato terrorizzato ad incontrarli, che sarei stato arrabbiato.
In questo momento, semplicemente, non provo niente.
Forse, sono soltanto vagamente divertito.
O vagamente triste.
Non riescono a creare delle reazioni forti, in me.
Tanta ansia per niente.
"Vieni qui di nascosto, come un ladro, pretendi di prendere le tue cose e andare via, senza dire niente?"
Anche la voce di mio padre è calma.
Ma è una calma diversa dalla mia.
La sua, è una tranquillità apparente.
Una tranquillità furiosa.
Inarco un sopracciglio.
Ti muovi appena, al mio fianco.
Un movimento impercettibile.
Forse me ne accorgo solo io.
Mia madre e Angelo fissano per terra, mio padre guarda me.
Nessuno fa caso a voi.
"Io non vengo qui come un ladro, tanto per cominciare. Ma sì, vorrei davvero prendere le mie cose e andare via senza dire niente. Non che l'ultima volta tu sia stato molto aperto al dialogo, comunque"
Mio padre sembra rimanere senza parole per qualche istante.
Sorrido divertito.
Sorriso che si spegne non appena mia madre alza lo sguardo, guardandomi.
"Non ci hai neanche chiamati. Sono passate due settimane e.."
Il mio sguardo, ora incredulo, la fa interrompere.
"Avrei dovuto chiamarvi? E perché? Per farvi sapere come stavo?"
Abbassa gli occhi, ferita dal mio tono ironico.
Mi strofino le mani sul viso.
È un disco rotto.
Un serpente che si morde la coda.
È sempre il solito gioco.
Ma a me non piace più giocare.
Voglio andare via.
"Sentite, non volevo turbarvi con la mia presenza e rovinare il perfetto quadretto familiare. Cinque minuti e me ne vado"
Faccio per voltarmi, per tornare in camera, ma la voce di mia madre mi ferma.
"Noi non vogliamo che tu te ne vada"
...
Non ci credo.
Non ci sto credendo, davvero.
Ti fisso, stupefatto.
I tuoi occhi spalancati sono lo specchio dei miei.
Alterno lo sguardo tra Paolo e Tiziano.
Vorrei davvero che, in questo momento, uno di loro mi dicesse che è uno scherzo, che sicuramente non ho sentito bene.
Paolo sorride, sconsolato.
Tiziano sembra stia per vomitare.
Non li biasimo, nessuno dei due.
Paolo si sporge appena verso di me.
"Lo ha detto davvero"
Sospiro.
Alterno lo sguardo fra mia madre e Angelo.
Mio padre non mi guarda più.
Ci da le spalle, lo sguardo perso al di là della finestra.
"Davvero, mamma?"
"Sì, noi non.."
"Voi accettate di avere un figlio gay? Avete capito che non è una malattia, che io sono nato così e che io vado bene, così?"
Mia madre sussulta alle mie parole.
Angelo scuote la testa, abbassando lo sguardo.
Mio padre si volta verso di me, fissandomi furente.
Io sorrido.
Sorrido, perché le loro reazioni alle mie parole sono esattamente quelle che mi aspettavo.
Se due settimane fa i loro occhi delusi mi avrebbero fatto male, ora non mi scalfiscono neanche.
La mia delusione è più forte della loro.
Non sono più triste per me.
Sono triste per loro.
Per le loro menti terribilmente ottuse.
"Immaginavo"
"Tu entri in casa mia e pretendi che.."
Interrompo mio padre.
La sua voce si alza, la mia resta tranquilla.
Il suo volto è sempre più arrabbiato.
Il mio, sempre più sereno.
"Io non pretendo proprio niente, papà. Io vorrei solo andare via, e sperare vivamente di non vedervi mai più"
"E non sapevi venire da solo?"
"Sa com'è, signore, dopo l'ultima volta volevamo evitare situazioni spiacevoli"
Tiziano mi anticipa, parlando per primo.
Lo sguardo di mio padre scivola su di lui.
Sembra esaminarlo.
Sposta gli occhi su Paolo.
Poi guarda te.
"E dovevi portare per forza anche lui?"
Il suo viso è disgustato.
Ti guardo.
E sorrido.
Stai fissando mio padre, divertito.
"Il problema è che sono gay, signore?"
La tua voce ironica mi fa ridacchiare.
È una provocazione.
Hai deciso di provare a far scoppiare la giugulare di mio padre.
Ottimo.
Con un verso di disappunto, mio padre scuote una mano, indicandomi.
"Il problema è che sei malato, esattamente come mio figlio"
"Beh, mi dispiace, papà, ma la nostra malattia non si può curare. Sicuramente non con un paio di ceffoni. E comunque scusami: quattro gay in casa tua, la fine del mondo deve essere vicina"
I suoi occhi si allargano, scattando in direzione di Paolo e Tiziano.
"Quattro..?"
"Tre e mezzo, ma questo non è importante"
Ti sento ridere, accanto a me.
Con la coda dell'occhio, vedo Paolo e Tiziano sorridere divertiti.
Non ho intenzione di mettermi a discutere del preciso orientamento sessuale di Tiziano davanti ai miei, ma disorientarli, in questo momento, mi diverte.
Non l'avrei mai creduto possibile.
Prima che uno di loro possa reagire, mi volto, camminando a passo spedito verso la stanza.
Mi segui, senza dire una parola.
"Dove vai?"
Non rispondo, continuo a camminare.
Entriamo in stanza, e chiudo la porta dietro di noi.
"Questa volta è stato davvero divertente"
Mi sorridi, nervoso.
Sicuramente più nervoso di me.
"Stai bene?"
Annuisci, strofinandoti gli occhi con una mano.
"Ti devo chiedere scusa"
Inarco un sopracciglio, facendo un passo verso di te.
"Perché?"
Deglutisci.
Sembri cercare le parole.
"Hanno turbato me in soli cinque minuti. Era facile dirti di lasciarli perdere, ma forse non mi ero mai reso veramente conto di quanto potessero essere.."
Lasci la frase in sospeso, non riuscendo a trovare una definizione adatta.
Continuo io per te.
"Cattivi?"
Annuisci, sospirando.
Scuoto la testa, avvicinandomi a te.
Senza pensare troppo al posto in cui ci troviamo, a quanto sia terribilmente pericoloso farlo in questo momento, ti abbraccio.
Mi stringi a te, come se non stessi aspettando altro.
Sorrido, respirando il profumo dei boccoli che mi sfiorano il viso.
Intreccio una mano nei tuoi capelli, accarezzandoti piano, tenendoti fermo contro di me.
"Non è colpa tua. So che può sembrare scioccante, la prima volta, ma dopo ventitrè anni inizi a farci l'abitudine"
Annuisci contro la mia spalla.
"Sembro più turbato io di te"
"Probabilmente è vero"
Sospiri, poi ti allontani.
Mi squadri appena, cercando qualcosa, dentro di me.
"Tu stai bene?"
Sorrido, annuendo.
"Sto bene"
"Mh"
Forse non ci credi.
Non sembri del tutto convinto.
Ti allontani, avvicinandoti poi al cassetto che avevi lasciato aperto.
"Muoviamoci. Voglio andare via"
Non potrei essere più d'accordo.
Ci sarà tempo per i sentimentalismi.

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