Parte XVI - Epilogo

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Enea


"Dov'è Tiziano?"
"A casa, con le bambine. Sua madre non poteva tenerle, e abbiamo deciso di non portarle con noi. Avrebbero messo a soqquadro l'ospedale, e non mi sembrava il caso"
Annuisco.
Paolo, un passo avanti a me, apre le porte dell'ospedale.
Il sole che mi riscalda la pelle sembra lo stesso di qualche giorno fa.
Se non fosse per il braccio ingessato e la garza gigantesca sulla testa, potrei pensare addirittura che è lo stesso giorno.
Che non è passato neanche un attimo.
"Non serve che corri, e guarda dove metti i piedi"
"Dio, che palle, Marco! Fino a prova contraria, mi sono rotto un braccio, non una gamba"
Ti guardo innervosito.
Da quando mi sono alzato dal letto e ho iniziato a camminare verso l'uscita, sei diventato improvvisamente apprensivo.
Mi hai aperto le porte, hai cercato di vestirmi come se non fossi in grado, e hai addirittura quasi litigato con un infermiere.
Pretendevi che mi accompagnassero loro con la sedia a rotelle fino all'uscita.
Io capisco la tua preoccupazione, davvero, ma così rischi di soffocarmi.
Ti fermi di colpo davanti a me, e rischio di sbatterti addosso.
Inarco un sopracciglio, mentre mi osservi con le mani saldamente puntate sui fianchi e uno sguardo serio.
Mi trattengo dall'alzare gli occhi al cielo.
Per l'umore che hai, mi daresti un ceffone.
E non ho voglia di passare tutto il giorno con le tue cinque dita stampate sulla guancia.
"Vuoi romperti anche la gamba, visto che stai correndo e saltellando come un cretino? No, dillo subito, almeno Paolo si evita la fatica di mettere in moto la macchina e io torno dentro a chiamare un medico"
Sorrido divertito e scuoto il capo.
Ti supero, ti afferro la mano e ti trascino con me.
"Scusa, sai, se sono felice di essere uscito dall'ospedale, finalmente"
"Ci sei stato pure poco, secondo me. E sappi che stai per essere rinchiuso in casa per almeno un mese"
Intravedo l'Impala parcheggiata a qualche metro da noi, nera fiammante come sempre.
"Posso almeno andare al cesso senza chiederti il permesso, padrone?"
Le spalle di Paolo tremano dalla risata trattenuta.
Lo sa anche lui che, con l'umore che hai adesso, non è il caso di riderti in faccia.
"Non lo so, ci devo pensare. Forse tra una settimana o due"
Nonostante tutto, vedo un sorriso fare capolino sul tuo viso.
Che cretino.
Ti do un'ultima stretta, poi allungo un braccio per aprire lo sportello dal lato del passeggero, accanto a Paolo.
La tua mano sbatte aperta sul finestrino.
"Tu ti siedi dietro"
Sbuffo.
"Sei serio?"
Mi guardi imperturbabile, senza muoverti di un solo millimetro.
Sbuffo ancora una volta, poi apro lo sportello posteriore, salendo in macchina imbronciato.
"Smettila di trattarmi come un bambino, Marco, sto bene"
"Mh mh"
Paolo mette in moto, osservandomi divertito dallo specchietto retrovisore.
"Se non la pianti, chiedo asilo politico e mi trasferisco da Paolo e Tiziano"
"Non ti accoglieranno mai, non farebbero mai un affronto del genere a me"
Scrollo le spalle, stravaccandomi sul sedile posteriore.
"Allora andrò dai tuoi. Loro sì che ti farebbero un affronto simile senza per questo passare notti insonni"
Il silenzio cala nell'abitacolo, mentre usciamo dal parcheggio dell'ospedale.
Finalmente.
Apro un po' il finestrino.
L'aria è fresca, pulita.
Mi mancava, dopo giorni chiuso in una stanza d'ospedale.
L'aria lì dentro è insopportabile.
Un movimento davanti a me mi scuote, riportandomi alla realtà.
Ti volti.
Mi osservi dal sedile anteriore.
I tuoi occhi brillano.
Come sempre.
Sei nervoso, arrabbiato, stanco, ma anche divertito.
Sento il mio sorriso raffreddarsi un po' quando vedo le occhiaia violacee che ti circondano gli occhi.
Non hanno fatto altro che aumentare con lo scorrere dei giorni.
Non hai dormito molto, ultimamente.
Non c'è bisogno che tu me lo dica, lo vedo.
Intuisci la direzione del mio sguardo, e i tuoi occhi si addolciscono.
Scuoti il capo appena, fai per parlare, poi ti blocchi e ghigni divertito.
"Hai perfettamente ragione. Se ho le occhiaie è colpa tua, quindi tu adesso, da bravo, ti farai perdonare, ti comporterai bene e farai tutto quello che dirò io per il prossimo mese"
Ti volti, gongolando da solo come uno scemo.
Trattengo la risata.
Mi sporgo, allungando la mano verso il tuo collo completamente esposto.
Il rumore dello scappellotto riempie l'abitacolo silenzioso, seguito subito dal suono delle nostre risate.

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