Parte V

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...sette mesi dopo...

Spalanco gli occhi.
Il cuore batte a ritmo forsennato nel petto, le lenzuola sono umide di sudore.
Che succede?
Respiro a pieni polmoni.
Mi guardo intorno spaesato.
Cosa, perché?
Resto fermo, sdraiato sul letto.
Lentamente, metto a fuoco la mia stanza.
Lascio scivolare le lenzuola dalla mia presa ferrea.
Un sogno.
È stato solo un sogno, un'altra volta.
Cazzo.
Respiro, cercando di riprendere fiato.
Chiudo gli occhi.
Le immagini del mio incubo mi si stampano contro le palpebre.
Non riesco a mandarle via.
Scosto le coperte, mi alzo.
Prima di uscire dalla stanza, in mutande, lancio un'occhiata all'orologio sulla parete.
8:04.
Magnifico.
Ho dormito quattro ore.
Davvero magnifico.
Entro in cucina, prendo una bottiglia d'acqua dal frigo.
Quasi mi strozzo quando una voce mi raggiunge da dietro le spalle.
"Potresti almeno vestirti"
Tossisco, voltandomi.
Mio fratello è seduto sul divano, intento a smanettare con il portatile.
"Scusa, pensavo non ci fosse nessuno"
Chiudo il frigo, sperando di riuscire a tornare in camera senza ulteriori intoppi.
Speranza vana, dovrei saperlo.
Almeno quando si tratta di qualcuno della mia famiglia.
Sopratutto di Angelo.
"Poteva esserci Giovanna"
"Sì, ma non c'è, quindi pericolo scampato"
"Enea.."
"Cosa vuoi, Angelo?"
Mi volto.
Non devo avere un'aria particolarmente impressionante, probabilmente.
In mutande, con due occhiaie violacee e una bottiglietta d'acqua in mano.
A fronteggiare quel coglione di mio fratello, seduto tranquillamente sul divano, vestito di tutto punto, che mi guarda con la sua solita aria di superiorità.
"Siediti, parliamo"
Quasi mi strozzo di nuovo.
Sorrido sarcastico, guardandolo con disprezzo.
"Da quando tu ed io parliamo? Ricordamelo, perché davvero non mi viene in mente"
Non risponde.
Con gesti veloci, spegne il computer, lo appoggia di lato.
Mi indica in silenzio lo spazio libero accanto a lui.
Maledizione.
Questa giornata è iniziata male, e sta continuando ancora peggio.
Ma so che non posso farci niente, devo assecondarlo almeno per un po'.
Mi trascino verso il divano, lasciandomici cadere sopra.
"Perché non sei a lavoro con papà?"
Già, perché non te ne sei andato in quella stupida agenzia viaggi a cui tutti voi tenete tanto?
Perché sei qui a rompere i coglioni a me, alle 8 del mattino?
"È andata mamma oggi"
Annuisco, senza rispondere.
Peccato.
Sfiga vuole che io mi sia svegliato presto oggi.
Non me ne sarei neanche accorto, in condizioni normali.
"Tra poco viene Giovanna, usciamo"
"Sono davvero contento per te"
"Dovresti vestirti"
Inarco un sopracciglio.
"Non dovrei fare proprio niente. Al massimo, dovrei chiudermi in camera finché non ve ne andate"
Mi guarda ancora, con lo sguardo da saputello rompicoglioni.
Lavorare nel negozio di famiglia e aver trovato un principessina piena di soldi che è nelle grazie dei nostri genitori lo fa sentire superiore a me.
Beh, contento lui.
Io sicuramente non voglio lavorare con loro, e non voglio nessuna principessina piena di soldi.
A meno che tu non voglia che io inizi a chiamarti così.
E ne dubito.
Scuoto il capo con forza, cercando di distrarmi dai miei pensieri.
"C'è altro? Perché io vorrei tornare a dormire"
Mi osserva per qualche secondo.
Sembra stia pensando a qualcosa.
Ah, adesso pensa anche?
Addirittura?
"Dovresti smetterla di comportarti così"
Ci risiamo.
Frasi già sentite, discorso già fatto, mille volte.
La metà delle quali abbiamo quasi fatto a pugni.
"Angelo, ascolta. Non ho dormito un cazzo, sono nervoso, ho sonno, e litigare con te di nuovo, sempre per le solite stronzate, è l'ultima cosa che mi va di fare"
"Se far soffrire mamma e papà in questo modo ti sembra una stronzata.."
Rido.
Non lo faccio apposta, è più forte di me.
Ma non è una risata divertita.
È fredda.
Senza ironia.
Cattiva.
"Io non voglio far soffrire proprio nessuno. Sono loro che soffrono senza motivo"
"Se tu.."
"Sei io cosa, Angelo? Se io, cosa?"
Il suo sguardo resta sempre lo stesso.
Altezzoso e profondamente ottuso.
Quasi trent'anni di nulla cosmico.
Nel suo cervello probabilmente ha la Pianura Padana.
"Se tu ti impegnassi un po' di più.."
Mi siedo comodamente sul divano.
Non so se questa situazione sia tragica o comica.
O entrambe.
"Se io mi impegnassi un po' di più a fare cosa, ad essere meno gay?"
Angelo rimane interdetto per qualche secondo.
Sorrido, divertito.
Con lui, almeno, non rischio di ricevere un ceffone a mano aperta.
E comunque, gli risponderei senza problemi.
La lotta sarebbe ad armi pari.
La mia schiettezza lo disturba sempre.
"Beh, se tu, sì, insomma, ti comportassi normalmente, loro.."
"Io mi comporto normalmente. Mi sono laureato. Lavoro, poco, ma lavoro. Non gli ho mai portato la polizia fuori casa, non mi sono mai ficcato nei guai"
"Se tu gli presentassi una ragazza, loro forse.."
"Angelo, io non posso presentargli una ragazza. Quale parte del 'sono gay' non ti è ancora chiara?"
"Ma se loro almeno non lo sapessero.."
Mi irrigidisco.
Serro la mascella, lo guardo con odio.
Forse percepisce la stronzata che ha appena pronunciato, perché questa volta non serva che lo interrompa io.
Si blocca da solo.
"Ti devo ricordare che se loro lo sanno è stato perché tu glielo hai detto?"
Scuote la testa.
Santo Dio.
Sembra una scimmia con il cervello in corto circuito.
"Loro lo sapevano già"
"No, ti sbagli. Loro lo sospettavano, e anche quando lo sospettavano soltanto, era una tortura. Da quando lo hanno saputo, è stato un inferno"
"Ma tu non ti sforzi neanche.."
"Non posso sforzarmi di non essere gay. Non posso sforzarmi di farmi piacere le ragazze"
"Ma potresti almeno cercare di andarci d'accordo"
Chiudo gli occhi.
Come se fosse facile.
Come se non ci avessi provato.
Come faccio ad andare d'accordo con qualcuno che mi odia per quello che sono?
Io sono fatto così.
Sono fatto male?
Forse.
Posso concederglielo.
Ma non posso cambiarmi.
Non posso farci niente.
Guardo mio fratello negli occhi.
Lui, il mio primo bullo.
Il primo carnefice della mia vita.
Lui, che mi ha venduto ai miei pur di essere il figlio preferito.
Pur di apparire ai loro occhi migliore di me.
"Mamma e papà hanno te come figlio perfetto, io non gli servo"
"Non dire stronzate. Loro ti vogliono bene, come ne vogliono a me"
Sbuffo.
"Sì, mi vogliono bene, vogliono il meglio per me, questa è solo una fase, prima o poi mi passerà. È una fase piuttosto lunga, visto che ho capito di essere gay dieci anni fa e ancora non mi è passata"
"Se i tuoi amici.."
"Ancora con questa fissa dei miei amici? A 13 anni non avevo amici gay. E comunque, Valerio si è trasferito"
Per la prima volta, Angelo sembra sorpreso in positivo.
"Si è trasferito?"
"Sì, si è sposato e si è trasferito fuori città"
"Si è sposato?!"
Sorrido davanti alla sua espressione stupefatta.
"Benvenuto nel ventunesimo secolo, fratellone"
Angelo scuote il capo, agitando una mano in modo scordinato.
Sospiro.
Mi stropiccio gli occhi.
Quando finirà questa farsa di conversazione?
"Vedi, è questo quello che dico! Ti circondi di amici strani, è normale che poi ti vengano certe idee in testa!"
Un ricordo mi invade la mente.
Tiziano, il giorno in cui l'abbiamo conosciuto.
Ha detto di aver pensato che quel tipo, al parco, fosse un troglodita.
Inizio a ridacchiare.
Mio fratello mi guarda scioccato.
"Perché ridi?"
Scuoto la testa, allontanando il pensiero dalla mia mente.
Dire a mio fratello che ho appena pensato che lui sia effettivamente un troglodita non è una buona idea.
Sopratutto considerando che il ricordo riguarda Tiziano, che fa sicuramente parte di quella fetta dei miei amici considerati 'strani'.
"Comunque, provaci almeno, okay? Non ce la faccio più a vedere mamma sempre triste per colpa tua, non è giusto"
Dal divertimento, passo alla rabbia.
È una giostra dannata.
"Mamma era triste quando papà me le ha suonate di santa ragione perché a scuola si vociferava che ero gay?"
"Cosa centra adesso qu.."
"Ed era triste quando papà mi ha cacciato di casa perché tu gli avevi detto che avevo un fidanzato, dopo avermele suonate ancora?"
"Io non.."
"O tutte le volte che abbiamo litigato e mi hanno dato del malato pervertito, era triste?"
"Enea, ades.."
"Io sì. Ero triste tutte le volte, ma a nessuno di voi tre è mai fregato un cazzo. Ora, se non ti dispiace, mi andrei a vestire. Puoi rimanere qui con Giovanna, mi levo dai coglioni"
Faccio per alzarmi, innervosito.
La discussione è inevitabilmente degenerata.
Sono tornati a galla i soliti ricordi che cerco di dimenticare.
Le solite ferite che ancora sanguinano.
Non riescono a cicatrizzarsi.
"Dove vai?"
Mi blocco, guardando mio fratello con odio.
"Non devo rendere conto a te"
"Ti vedi di nuovo con qualcuno, vero?"
A stento, evito di alzare gli occhi al cielo.
Perspicace.
Dopo due anni e mezzo che stiamo insieme, si è accorto che 'mi vedo con qualcuno'.
È un progresso.
Considerando anche il fatto che dormo fuori casa almeno due volte a settimana, regolarmente.
Ma non posso diglielo.
Non posso prendermi beffa di lui.
Il bastardo potrebbe sputtanarmi ancora.
"Anche se fosse, e non è detto che sia così, non sono cazzi tuoi"
"Chiedevo solo per curiosità, non ti agitare"
Di nuovo, la risata fredda riempie la stanza.
Riecheggia nell'aria.
"Certo, come no"
Una battuta sarcastica mi sfiora la mente, e proprio non riesco a trattenermi.
"Se la tua preoccupazione è il sesso, posso assicurarti che lo faccio regolarmente"
Osservo la sua reazione.
Gli occhi scuri si allargano, le guance si imporporano dall'imbarazzo.
Sorrido, divertito.
"Io non volevo saperlo!"
"Peccato. Adesso lo sai comunque"
Mi punta un indice contro.
Lo guardo sarcastico, sorridendo ancora.
"Tu.."
"Sì, lo so. Sono la vergogna della famiglia, faccio soffrire te, mamma e papà, sono un malato pervertito, bla bla. Non mi interessa più quello che pensate"
Anzi.
Non mi interessa più se soffrono.
Se soffrono per il nulla, è un problema loro.
Io non ho colpe.
A conti fatti, mi hanno messo loro al mondo.
Se sono nato così, la colpa è loro.
Evito di dire anche questo.
È una consapevolezza che ho raggiunto dopo anni di sofferenza e di dolore.
Non me la farò schiacciare da Angelo.
Non posso permettermelo.
Tu non me lo perdoneresti mai.
È una sicurezza che mi hai dato tu.
Con la tua pazienza, la tua dedizione.
Il tuo amore.
Con l'affetto della tua famiglia.
Mi avete fatto capire che vado bene così.
Che non c'è niente di sbagliato in me.
Che non è colpa mia se sono nato così.
Che nascere così non è una colpa.
"Oh!"
Una mano mi scuote la spalla.
Sbatto le palpebre, confuso.
Mi sono bloccato sui miei pensieri sdolcinati, dimenticando per un momento dove mi trovo adesso.
Guardo Angelo, che mi fissa.
Sembra addirittura preoccupato.
"Ma che hai?"
"Niente, stavo pensando"
"A cosa?"
Sto per dirgli di farsi ancora una volta i cazzi suoi quando il campanello che suona mi salva.
Mi alzo per aprire, ignorando le proteste a mezza voce di Angelo.
Andasse a fanculo.
Non credo che Giovanna si scandalizzerà nel vedermi in mutande.
A me sicuramente non me ne può fregar di meno.
Apro la porta, con un sorriso plastico sul volto.
"...Enea"
"Ciao Giovanna"
La ragazza si accomoda, guardando lievemente imbarazzata Angelo.
...
Ops.
Pazienza.
Tanto sto andando via.
"Potete stare qui, non preoccupatevi, io sto uscendo"
Guardo un'ultima volta Giovanna.
Le guance appena rosse, gli occhi chiari dalle ciglia lunghe, i folti capelli scuri.
Una bambola.
Tutto in lei sembra così perfetto, così curato.
Così studiato per apparire come una bambola.
Mi chiedo ancora, dopo anni che stanno insieme, come possa essersi innamorata di mio fratello.
O come lui possa averla circuita per farla innamorare.
Avanzo verso il corridoio, facendo l'occhiolino ad Angelo mentre passo accanto al divano.
In risposta, ho soltanto un'occhiata di fuoco.

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