Parte III

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...cinque mesi dopo...
 
"Io esco. Prendo la macchina di mamma"
"Dove vai?"
"Compleanno"
...
"Con i tuoi amici strani?"
...
"I miei amici non sono strani, papà"
"Certo, come no"
Prendo le chiavi.
Esco.
...
Fanculo.
Iniziamo proprio bene.
Davvero.
Certo, sempre meglio di com'è andata per il matrimonio di Valerio.
Quella volta ho quasi dovuto rubare le chiavi della macchina per riuscire ad andarci.
E la macchina mi serviva.
Dovevo passare a prenderti.
Sei venuto con me.
Infilo le chiavi nel quadro, metto in moto.
Certo, avere un amico gay che si è dichiarato palesemente davanti a loro non mi ha aiutato.
Lui fa parte di quelli che mio padre chiama 'i miei amici strani'.
I miei amici strani sono i miei amici gay.
Bel modo per definirli.
Comunque, in realtà, oggi i miei amici 'strani' non ci sono davvero.
Oggi ci siamo io, tu e altre cento persone di cui non conosco quasi nessuna.
È vero, sto andando ad un compleanno.
Un 18 anni.
Il tuo.
...
Porca puttana.
Che ansia.
 
***
 
Parcheggio nel buio intorno alla sala.
Respiro.
Cazzo, che ansia.
Perché sono così ansioso?
...
Non lo so, e francamente, non sono sicuro di volerlo sapere.
Ma davvero, non ne capisco il motivo.
I tuoi li conosco già.
Siamo stati tante volte a casa tua, ho anche dormito lì, qualche volta.
Mi sono anche confidato con loro.
Conosco anche Marta.
E il suo fidanzato, Riccardo.
Conosco le tue amiche più strette, Rosa e Giorgia.
Le persone più importanti per te le conosco tutte.
Ma ce ne sono altre.
Decine di altre, che non so nemmeno che faccia abbiano.
I tuoi parenti, i tuoi nonni, i tuoi compagni di scuola.
Tutti sanno di me, di noi.
Ma questo non mi aiuta a calmarmi.
Il telefono vibra.
Sei tu.
"Che c'è?"
"Ti sei perso?"
"No, sono fuori. Arrivo"
Attacco.
Sento la gola stretta in una morsa.
...
Maledizione.
Scendo.
Sbatto lo sportello dietro di me.
È inizio luglio, fa un caldo assurdo.
Inizio a camminare.
La ghiaia scricchiola sotto le suole delle scarpe.
"Enea!"
Mi fermo, mi volto.
Chi è?
Cerco di vedere nel buio.
Qualcuno scende da una macchina blu.
Una cascata di capelli rossi.
"Ciao Marta"
"Ciao tesoro"
Mi saluta.
Sono sicuro di avere sulla guancia la stampa del suo rossetto.
La guardo, alzando un sopracciglio, e lei ride.
Avevi ragione.
È davvero bella.
Mentre prende un fazzolettino dalla borsa per pulirmi, ci raggiunge Riccardo.
"Enea"
"Riccardo"
Un cenno lieve, a mo' di saluto.
A volte noi maschi siamo così semplici.
Molto più semplici delle donne.
Davvero.
"Fermo"
"Marta, mi stai perforando la guancia"
"Scusa, ma non và via"
"Io glielo avevo detto di non metterselo"
"Senti, è il 18 anni del mio fratellino e.."
"..e lui neanche se ne accorgerà se tu hai messo il rossetto o no. E poi te l'ho detto. Io non mi faccio impiatricciare le labbra con quel coso"
"Oh, fai come vuoi"
Li ascolto discutere, divertito.
Fanno sempre così.
Mi sono abituato a sentirli battibeccare.
"Okay, finito"
"Grazie"
Il telefono vibra ancora.
...
"Marco, sto arrivando"
"Ti sei perso dal parcheggio alla sala? Ti ha aggredito un dinosauro?"
"No, ho incontrato Marta"
"Marta chi? Mia sorella?"
Sospiro.
"Secondo te Marta chi?"
...
"Okay, muoviti però"
Riagganci.
"Cosa vuole il mio caro e dolce fratellino?"
Marta comincia a camminare.
La seguo.
Riccardo mi si affianca.
"Si è chiesto se mi sono perso dalla macchina alla sala o se per caso mi ha aggredito un dinosauro lungo il tragitto"
"Lascialo stare, è abbastanza isterico sta sera"
Un borbottio indistinto arriva da Riccardo.
"Ti ho sentito. Io non sono isterica"
Sorrido.
Riccardo ha ragione.
Siete tutti e due abbastanza isterici sta sera.
Ci avviciniamo all'entrata della sala.
Riesco a vedere il mio riflesso in una finestra.
...
Maledizione.
Non riesco a credere di essermi fatto convincere a vestire così.
Il completo nero è troppo elegante.
Così come le scarpe lucide.
Così come la camicia.
È troppo bianca.
È il completo del matrimonio di Vale.
Sei riuscito a convincermi ad indossarlo ancora.
Almeno sono rimasto fermo sul non voler mettere la cravatta.
O il papion.
O qualsiasi altra cosa.
La camicia è leggermente sbottonata.
Noto con sollievo che Riccardo è vestito in modo quasi identico.
Almeno, non sarò l'unico pinguino in sala.
E non sarò l'unico a sciogliermi dal caldo.
Entriamo, e Marta corre da te.
Ti abbraccia, ma si trattiene dal baciarti.
Sorrido alla vista della foga con cui ti stringe.
"Sembra che non si vedono da una vita"
Mi volto.
Riccardo è rimasto accanto a me.
Osserva la scena divertito.
"Già. Stavo pensando alla stessa cosa"
Mi guarda.
Mi squadra da capo a piedi.
"Ti ha costretto vero?"
Sorrido in risposta, e annuisco.
"Hanno questo brutto vizio di malipolare le persone. Almeno sono riuscito a rifiutare la cravatta"
Sento una mano posarsi sulla mia spalla, mentre Riccardo mi spinge gentilmente verso Marta.
Verso te.
Non fosse per lui, probabilmente non mi muoverei.
"Anch'io"
Scuoto la testa.
Siete davvero uguali.
"Ciao Enea, tesoro"
"Salve signora"
Tua madre mi si avvicina.
Mi abbraccia con affetto.
Non posso far a meno di sorridere.
E di chiudere gli occhi a questo contatto.
Avevi ragione anche su questo.
Lei e Marta si assomigliano molto.
Entrambe mi hanno mostrato affetto, da subito.
Sin dal primo momento, per loro, sono diventato parte della famiglia.
E da quando mi hai detto che non avevi mai portato nessuno a casa tua, io mi sono sentito parte di qualcosa.
Mi sono sentito accettato.
Da te, da loro.
Nell'abbraccio di tua madre, io mi sento amato.
È strano.
Ma è bello.
Si stacca da me, mi guarda.
Ha gli occhi verdi come i tuoi.
"Ti ho detto tante volte di non chiamarmi signora, e di non darmi del lei"
"Scusa Lucrezia"
"Ti richiamerà signora e ti darà di nuovo del lei fra cinque minuti mamma, non ci contare"
La tua voce arriva dalle mie spalle.
Mi volto.
Sorrido.
Anche tu hai il completo.
Blu.
Sono riuscito a convincerti che la cravatta davvero non era necessaria.
Non è cambiato niente, rispetto a cinque mesi fa.
Sei bello come quel giorno di gennaio, quando ti ho incontrato in stazione e avevo una strana ansia nello stomaco.
Lo penso, ma non te lo dico.
Forse me lo leggi negli occhi.
Lascio scorrere lo sguardo.
I tuoi capelli non sono più rosa Barbie.
Sono rossi.
E sono ricci.
Come in quella foto che mi hai mostrato al bar.
Avevo ragione, ti stanno bene.
Davvero.
Davvero bene.
Sento il cuore battere un po' più forte e l'ansia diminuire.
Almeno fino a quando in pochi passi non ricopri la distanza che ci separa e mi abbracci.
Davanti ai tuoi.
Davanti alla sala gremita di persone che neanche conosco.
Il cuore esplode e l'ansia mi chiude di nuovo la gola.
"Marco.."
"Non rompere i coglioni"
Sospiro.
Santa pazienza.
Sembra che tu lo faccia apposta, a mettermi in difficoltà.
Queste dimostrazioni plateali d'affetto non fanno per me.
Mi mettono a disagio.
Sono difficili da gestire.
...
Cazzo.
"Guarda che se non mi abbracci non mi stacco"
"Vaffanculo"
"Anche tu"
Rassegnato.
Ecco come mi sento.
Rassegnato.
Rassegnato a soccombere ad ogni tuo capriccio.
Perché?
Non lo so.
Perché proprio non riesco a dirti di no.
Proprio non riesco a non accontentarti, a non cercare di renderti felice.
Perché se mi piaci è anche per il tuo carattere allegro ed espansivo.
Per il tuo modo involontariamente plateale di vivere la vita.
Di dimostrare i sentimenti.
Di essere spontaneo, sempre, comunque e sopratutto ovunque.
"E sappi che così diamo ancora più nell'occhio"
Hai ragione.
Su questo hai senz'altro ragione.
...
Oh, fanculo.
Lascio scorrere le mani sulla tua schiena.
Ti stringo.
Ti sento sorridere felice contro la mia spalla.
L'ansia scivola di nuovo via, mentre cerco di non pensare agli occhi che sicuramente ci stanno fissando.
Respiro.
Non respiro aria, respiro il tuo odore.
Anche lui è sempre lo stesso, non è cambiato.
Odore di qualcosa di indecifrabile.
Non ho ancora capito che cos'è.
"Auguri, cretino"
Ridi divertito.
"Grazie"
Sorrido.
"Prego"
So che espressione hai, adesso.
Hai l'espressione da bambino felice.
Quella che ti smaschera, che mostra l'età che hai davvero.
Quella che ti fa sembrare così piccolo.
Mi lasci un sonoro, fin troppo sonoro, bacio sulla guancia e ti allontani.
Ostinatamente, evito di guardare le persone intorno a noi.
Incrocio per sbaglio solo lo sguardo di Riccardo, alle tue spalle.
Mi sorride comprensivo.
Guardo te.
Ti stai assaporando le labbra.
"Hai la guancia appiccicosa"
La sfioro sovrappensiero con le dita.
"È stata Marta"
"Martaaaaa!!!"
"La smetti di gridare?"
"Che c'è, fratellino?"
"Baci il mio fidanzato in mia assenza?"
"Marco.."
"Sì, abbiamo una relazione clandestina. Mi dispiace che tu l'abbia scoperto così, dovevamo stare più attenti"
Chiudo gli occhi e sospiro.
Sento un movimento vicino a me.
Resto fermo, ad occhi chiusi.
So che sei tu.
Sento il tuo odore.
"Fossi in te, uscirei a farmi un giro"
Apro gli occhi.
Ti guardo interrogativo.
"Si stanno avvicinando i nonni. Non credo tu abbia voglia di spiegargli perché stavi abbracciando il loro nipote preferito"
Non me lo faccio ripetere due volte.
Senza guardare nessuno, cammino a passo spedito verso il tavolo dove presumo ci siederemo.
"Vi prego, salvatemi"
Rosa e Giorgia ridono, alzandosi dal tavolo senza fare domande.
Usciamo, in silenzio.
Il caldo è insopportabile.
Ho la camicia appiccicata alla schiena.
Tutta colpa della giacca.
Sento l'odore acre di fumo arrivarmi alle narici.
Mi volto.
Rosa si è accesa una sigaretta.
"Avete seguito appassionatamente tutta la scena, vero?"
Ridono.
Scuoto il capo.
"Dovresti essere felice, Enea. Marco ti ha appena salvato dall'interrogatorio dei nonni. Lo sta subendo lui al posto tuo"
"Dopo avermi abbracciato davanti a loro, ci mancherebbe altro"
"Lo sta comunque subendo al posto tuo"
Sbircio all'interno.
Sorridi, parlando con i tuoi nonni.
Non faccio in tempo a rispondere che vedo tuo padre aprire le porte e avvicinarsi a noi.
Mi sorride, tranquillo.
Mi porge la mano.
"Ciao Enea"
Ricambio la stretta.
"Salve, signor Gennaro"
Fà per controbattere, ma poi si ferma.
Nonostante tutte le cose sbagliate, i miei mi hanno insegnato l'educazione e le buone maniere.
Su questo non c'è dubbio.
Scuote la testa, rassegnato.
Guarda le tue amiche.
"Rosa, Giorgia"
"Ciao"
"Sono scappato anche io, se la cosa può rincuorarti"
"Mi dispiace"
"Non è colpa tua. È mio figlio che è testardo e plateale"
Sorrido, rincuorato.
"Forse"
"No, sicuro. Purtroppo, questo lato del carattere lo ha preso dalla madre.."
Sposto lo sguardo al rumore della porta che si apre.
Riccardo si avvicina a noi.
"..e dalla sorella"
Rosa e Giorgia ridono divertite.
Il pensiero di unirmi a loro mi sfiora, ma riesco a trattenermi.
L'espressione scocciata di Riccardo è un'incentivo sufficente.
"Io non so davvero come hai fatto a stare dietro a tutti e tre per tutti questi anni"
"Meno male che adesso almeno i miei figli sono un problema vostro"
Non parla con me.
Parla con tuo padre.
D'istinto, guardiamo nella sala.
Tu, tua madre e tua sorella siete impegnati ad intrattenere con le vostre chiacchiere almeno una ventina di persone, che si sono aggiunte nell'arco di trenta secondi ai tuoi nonni.
Nonostante la distanza, vedo il tuo sguardo divertito raggiungermi.
"Non sono sicuro di voler sapere di cosa stanno parlando"
"No, infatti. Non chiedere"
"Te lo dico io: stanno ridendo di noi tre che siamo scappati da loro"
Ridacchiamo tutti alle parole di tuo padre.
Probabilmente ha ragione.
Rimaniamo fuori in silenzio, fino a quando un tuo cugino, Luca, mi pare, viene a chiamarci.
Entrano tutti.
Li seguo.
"Papà, di alla mamma che arrivo subito"
Una tua mano mi afferra il braccio, trascinandomi di nuovo fuori.
"Che fai?"
"Ho bisogno di fumare"
"E io a che ti servo?"
"Ho bisogno di fumare e di stare con te senza che tutti ci guardino"
Inarco un sopracciglio, lasciandomi guidare verso un angolo appartato del giardino.
"Davvero?"
Non rispondi, ti accendi una sigaretta, lasciandomi andare il braccio.
Aspiri e mi guardi.
Ti poggi contro un muretto.
"Davvero cosa?"
"Davvero non vuoi che tutti ci guardino"
Una nuvola di fumo mi colpisce in pieno viso.
Tossisco, sventolando una mano davanti alla faccia.
Dio, che nervi.
"Vaffanculo"
"Vaffanculo tu"
"Tu ami stare al centro dell'attenzione"
Mi guardi.
Mi tendi la mano.
"È vero. IO voglio stare al centro dell'attenzione. Ma nessuno deve guardare te"
"E come pretendi che nessuno guardi me, se mi abbracci davanti a tutti?"
Sembri pensarci.
Poi scrolli le spalle, lasciando la mano sollevata verso di me.
"Effetto collaterale"
Anche sta sera c'è la luna.
Ti illumina.
Illumina la pelle chiara, le lentiggini.
Fa brillare gli occhi verdi.
Rende più chiari i capelli rossi.
Quasi ramati.
"Adesso mi puoi abbracciare senza che io ti costringa? Non ci sta guardando nessuno"
Sorrido.
Involontariamente.
"Non che quando ci stavano guardando tutti ti sei fatto chissà quanti problemi"
Nonostante questo mi avvicino.
Ti avvolgo fra le mie braccia.
Ti stringo, forte, come non mi sono azzardato a fare prima.
Lascio affondare il naso nei tuoi capelli.
Mi pizzicano un po'.
Ma non fa niente.
Hanno un buon profumo.
Sento il tuo corpo contro il mio.
E non è l'ansia a stringermi la gola in una morsa ferrea.
Questa volta è il cuore che mi impedisce di deglutire.
Il cuore ha deciso improvvisamente di strozzarmi.
Anche tu mi stringi forte.
Le tue mani scivolano sotto la giacca, mi stringono la camicia umida di sudore.
Nascondi il viso nel mio collo.
"Stai bene, vestito da pinguino"
Sorrido.
"Anche tu"
"Lo so"
"Modesto, come sempre"
"Non è colpa mia se sono favoloso"
Scuoto il capo.
Lascio scivolare una mano lungo la tua schiena.
La base del collo, i capelli.
Sono morbidi, come avevo immaginato quel pomeriggio di cinque mesi fa.
Intreccio le dita ai boccoli.
Senza che io ti dicessi più niente, hai smesso di tingerli.
Senza che io ti dicessi più niente, li hai lasciati crescere.
Li hai lasciati tornare a com'erano qualche anno fa.
"Ti ho già detto che mi piacciono di più così?"
Sposti appena il viso dal mio petto.
Alzi gli occhi al cielo.
Te l'avrò detto un centinaio di volte.
"Sì, me l'hai già detto"
"E ti ho già detto che sono contento che tu li porti di nuovo così?"
"Sì, mi hai già detto anche questo"
Li stringo appena fra le dita.
Involontariamente, chini la testa all'indietro.
Segui i miei movimenti, e il tuo respiro lievemente affannato si infrange sul mio.
Lascio andare le ciocche.
Gli zigomi, la mandibola, il mento, le labbra.
Seguo tutto con la punta delle dita.
Ti avvicini di scatto, cercando di baciarmi.
Mi tiro indietro, sorridendo divertito.
Prevedibile.
Il tuo gemito frustrato fa allargare il mio sorriso.
"Sei uno stronzo"
"Mh mh"
Senza darti il tempo di ribattere, mi avvicino di nuovo a te.
Ti bacio.
La tue labbra sono morbide.
Come la prima volta.
Come sempre.
Si schiudono a contatto con le mie.
Le tue mani si serrano su di me, mi avvicini.
Le gambe si incrociano.
Ti sento contro di me.
E quando la tua lingua entra in contatto con la mia, la mente si annebbia un po'.
È sempre così.
È sempre così, quando mi baci.
Per quanto cerchi di mantenere il controllo, proprio non ci riesco.
Tu riesci a farmelo perdere.
La mente si annebbia, e il corpo reagisce da solo.
Ti affero il viso con una mano.
Con prepotenza.
Con arroganza.
Abbastanza forte da tenerlo fermo, non abbastanza da farti male.
Non lo farei mai.
Ma so che ti piace.
Ti piace sentirti mio.
E lo sei.
E lo sai.
Ti afferro il viso e ti tengo fermo, baciandoti a fondo, assaporando ogni parte di te.
La mia mano, sulla tua schiena, ti avvicina ancora.
Ti sento contro la mia gamba.
Sento me stesso contro la tua.
Sorrido, fra le tue labbra, e rallento il bacio.
Mi stacco piano, delicatamente, poggiando la mia fronte contro la tua.
"Basta, Marco"
Ti lamenti come un bambino, facendomi sorridere.
"Hai presente dove siamo?"
"Sei un bugiardo manipolatore. A te piace provocarmi e poi svignartela"
...
"Forse"
"Sei un pervertito"
Rido, allontanandomi di un passo.
Hai i capelli scompigliati, la camicia fuori posto.
Sento il fuoco che ancora provo divampare dentro di me mentre ti guardo, ma il pensiero della marea di persone in sala che ti sta aspettando è un buon motivo per farlo spegnere.
Decisamente.
"Non credevo di star parlando con Santa Maria Goretti, chiedo scusa"
Scuti il capo, scostandoti dal muretto.
Ti lisci la camicia, infilandola per bene nei pantaloni.
"Vieni qua. Non serve a niente che io entri vestito come una suora se tu entri tutto scompigliato"
Mi lascio sistemare i vestiti senza dire niente.
Mi lisci la camicia, lentamente.
Eccessivamente lentamente.
"La verità è che vuoi solo una scusa per mettermi le mani addosso"
Lasci scivolare una mano lungo il mio petto.
Mi afferri per la vita dei pantaloni.
Mi attiri a te.
Con forza.
Inevitabilmente, ci scontriamo.
Inevitabilmente, un lieve gemito mi sfugge dalle labbra.
"Non mi sembra che la cosa ti dia particolarmente fastidio"
"Cretino"
Ti allontano, ridendo.
Camminiamo verso la sala, in silenzio.
Stiamo per entrare, quando un pensiero mi attraversa la mente.
Ti affianco, mentre ci dirigiamo al nostro tavolo.
"Se la cosa può consolarti, ho intenzione di riaccompagnarti io a casa, dopo. Non credo che i tuoi faranno problemi"
"Non ne faranno infatti"
"Bene"
Mi guardi, interrogativo.
"Bene cosa?"
Ci sediamo.
Rosa e Giorgia stanno facendo così tanto casino da assicurarsi di mantenere l'attenzione lontana da noi.
Mi sporgo verso di te.
Il mio fiato caldo ti solletica il collo.
Vedo la pelle d'oca incresparti la pelle.
Sorrido.
"Si possono fare tante cose divertenti in macchina"
Mi guardi sorpreso.
Sorridi.
Mi fai l'occhiolino.
 
***
 
Allontano il piatto, poggio i gomiti sul tavolo.
Stai ballando con i tuoi amici da dieci minuti buoni.
Hai provato a convincermi, ma ballare proprio non fa per me.
Mi va benissimo guardare.
Hai abbandonato la giacca, tirato su le maniche della camicia.
Il sudore ti imperla la fronte.
I ricci sono sparati in tutte le direzioni.
La camicia è leggermente sbottonata.
I pantaloni ti fasciano.
Tanto.
Troppo.
Scuoto la testa, distolgo lo sguardo.
Farmi sorprendere da qualche tuo parente a guardarti il culo non è tra gli obiettivi della serata.
La musica si interrompe, il dj annuncia che stanno per servire i primi.
Bene, muoio di fame.
L'ansia mi ha impedito di mangiare, a pranzo.
Oltre al fatto che cerco sempre di evitare i contatti prolungati con i miei.
E pranzo e cena sono due momenti pericolosi.
La metà dei litigi che ho avuto con loro sono iniziati proprio lì.
"Sto morendo di caldo"
"Non stento a crederci"
Ti siedi, sventolandoti con una mano, cercando di riprendere fiato.
"Potresti venire a ballare anche tu"
"Non mi piace. Preferisco guardare"
Faccio scorrere lo sguardo sulla sala.
Marta e Riccardo discutono animatamente.
"Ho la strana impressione che tua sorella stia rimproverando Riccardo per lo stesso motivo"
Segui il mio sguardo.
Sorridi.
"È altamente probabile. Per non dire sicuro"
"Pover'uomo"
"Ehi!"
Rido, quando una manata mi colpisce sul braccio.
"Stai parlando di mia sorella"
"E chi ha detto niente!"
Mi guardi, fingendoti arrabbiato.
Hai le guance ancora arrossate dal ballo di prima.
"Comunque, Riccardo dopo non avrà scampo. Ho detto al dj di mettere un altro lento, e Marta ha già ballato con me e con papà"
"Ancora lenti? Hai ballato con tua sorella e con tua madre, con chi altro vuoi ballare?"
Appena ti faccio questa domanda, un dubbio atroce mi assale.
Mi volto, guardandoti.
La tua faccia colpevole è una risposta inequivocabile.
...
Cazzo.
"Marco, no"
"Non balleremo mica da soli! Mamma, Marta, Rosa e Giorgia trascineranno qualc.."
"Ti sei già messo d'accordo con loro?"
Non rispondi.
Mi guardi in silenzio.
Cazzo.
Sento la rabbia salire.
"Sei impazzito?"
"Che palle, Enea! Cosa pensi che cambi? Lo sanno tutti quanti"
Chiudo gli occhi.
Agito la gamba nervoso.
...
Perché non capisci?
Perché vuoi costringermi a fare una cosa che non voglio fare?
Non fa parte di me.
Non voglio stare al centro dell'attenzione, non voglio che tutti mi guardino.
Apro gli occhi.
Mi guardo attorno.
Nessuno ci sta prestando attenzione.
Almeno, così mi sembra.
Sposto lo sguardo su di te.
Sei ferito.
Lo vedo.
Mi dispiace.
Mi sento spezzare dai tuoi occhi accusatori, ma non ci posso fare niente.
Non ci riesco.
Io non sono come te.
Mi avvicino appena.
"Marco, io quasi neanche ti tocco davanti ai tuoi o davanti a Marta, faccio fatica anche con Rosa e Giorgia. Prima, quando mi hai abbracciato, per poco non mi veniva un infarto. Come puoi pretendere che mi metta a ballare con te davanti a cento persone che neanche conosco?"
I tuoi occhi sono feriti, ma vi leggo dentro comprensione.
Per me è difficile.
E tu lo sai.
Te l'ho detto, te l'ho spiegato.
Tante volte.
Ti prego, capiscimi.
"Ma loro lo sanno tutti"
Sospiro, affranto.
Certe volte è davvero difficile.
Pensi che la tua libertà nel vivere debba essere universale.
Beh, non lo è.
Non tutti sono capaci di vivere come te.
Io non lo sono.
"È diverso"
Distogli lo sguardo.
Sorridi appena al cameriere, quando ti posa il piatto davanti.
Non mi rispondi più.
Non mi guardi più.
Fisso il piatto fumante davanti a me.
Non ho più fame.
Lo allontano, stizzito.
Mi alzo.
Cammino a passo di marcia verso l'uscita, sento il tuo sguardo perforarmi la schiena.
Esco.
Respiro a pieni polmoni l'aria afosa.
L'umidità la sento nei polmoni.
Mi sembra di respirare sott'acqua.
Alzo lo sguardo sul cielo illuminato dalle stelle e dalla luna.
In campagna si vedono di più.
Infilo le mani in tasca.
...
Cazzo.
Non pretendo che tu viva come vivo io.
Ma non puoi pretendere che io viva come te.
Non puoi pretendere che da un momento all'altro dimentichi tutto, non sia più riservato e viva tranquillamente, alla luce del sole, la mia sessualità.
Che la ostenti, come a volte penso faccia tu.
Non l'ho mai nascosta, ma non mi sono mai neanche esposto così tanto.
Tu lo sai.
Perché?
Perché non capisci?
Sento la porta aprirsi alle mie spalle.
...
Che palle.
Mi volto.
Sto per dirti di tornare dentro, ma non sei tu.
Tua madre mi si avvicina, con un sorriso sereno sul volto.
"Ti ha chiesto di ballare, vero?"
Diretta, sincera.
Proprio come te.
Dice quello che pensa senza tanti giri di parole, senza troppi problemi.
Senza peli sulla lingua.
Nonostante l'imbarazzo, l'ansia e la frustazione, in questo momento apprezzo la sua schiettezza.
Annuisco.
Mi sorride ancora.
"Gli avevo detto che non sarebbe stata una buona idea"
"Te ne aveva parlato?"
Sorride, divertita.
Senza essermene accorto, le ho dato del tu.
Lo ha notato, sicuramente, ma non commenta questo mio cambiamento improvviso.
"Sì, me ne aveva parlato. Mi aveva chiesto di alzarmi a ballare prima di voi, per non metterti in imbarazzo"
Sbuffo.
Come se cambiasse qualcosa.
Come se fra lei e tuo padre, Marta e Riccardo, Giorgia e Rosa con qualche compagno di classe, l'attenzione non sarebbe stata comunque rivolta esclusivamente su di noi.
Annuisce, come se avesse intuito il corso dei miei pensieri.
Rimaniamo in silenzio per alcuni istanti.
Se desiderassi iniziare a fumare, questo sarebbe davvero un ottimo momento per farlo.
Maledizione.
"Lui lo fa per te"
...
"Cosa?"
"So che hai pensato che voglia solo ostentare il vostro rapporto sotto gli occhi di tutti quanti, ma non è così. Se gli vuoi davvero bene, credo che tu lo sappia"
Lo so?
Mi metteresti mai in imbarazzo di proposito?
Mi costringeresti mai a fare qualcosa che non voglio?
...
No.
Non credo.
No.
"Per un momento l'ho pensato"
Lucrezia mi sorride.
"Lo so. E hai ragione, probabilmente. A volte Marco sembra un animale da palcoscenico"
Sorrido.
Abbasso lo sguardo.
"Ma non ti metterebbe mai in difficoltà di proposito"
...
"E allora perché?"
"Vuoi sapere cosa penso in tutta sincerità?"
Voglio saperlo?
La guardo.
I suoi occhi verdi sono buoni.
"Certo"
"Questo è il gesto più plateale che lui ha pensato per farti sentire accettato da tutti noi. Non vuole ostentare la vostra storia, non vuole metterti in difficoltà. Vuole solo farti capire che con noi puoi essere come vuoi essere. Potete essere una coppia normale, vivere come una coppia normale, senza rischiare di essere criticati o derisi, o addirittura odiati"
...
Merda.
È per questo?
È per questo che lo fai?
È solo questo il problema?
Il senso di colpa inizia a farsi strada dentro di me.
Ma l'imbarazzo, l'ansia e le mille paure restano ancora troppo forti.
"Io non ci riesco"
Il sorrido di Lucrezia è ancora lì.
Dolce, sereno.
Materno.
"Lo so che non è una cosa che fa parte del tuo carattere. Ma quello di Marco non è stato un pensiero egoista. È stato un pensiero altruista. Vuole solo dimostrarti che con noi va bene così"
Resto in silenzio.
Abbasso lo sguardo.
"Se voi foste una ragazza e un ragazzo, avresti problemi a ballare con lui?"
Non ho bisogno neanche di pensarci.
Il problema, infondo, è tutto lì.
"No"
Lucrezia non risponde.
Sembra rifletterci.
Sembra cercare le parole giuste da dire.
Il silenzio diventa opprimente.
Mi mette a disagio.
Alzo lo sguardo su di lei.
"Mi dispiace"
Non so perché l'ho detto.
Sento di dovermi giustificare per le mie paranoie.
Per le mie paure.
Per le mie ansie.
Per tutto quanto.
Perché non riesco proprio a vivere alla luce del sole.
Perché sono abituato a nascondermi dagli occhi degli altri.
A non espormi.
A non rischiare di essere ferito.
A non mettermi in una posizione pericolosa.
A restare al sicuro.
Sento di dovermi giustificare anche per il silenzio che si è creato.
"Non dire sciocchezze. Non hai niente di cui scusarti"
Sorrido, sarcastico.
"Sono un idiota"
Risponde al mio sorriso, divertita.
"Non penso sia vero"
Mi guarda ancora per qualche istante.
Poi si allontana.
Fa qualche passo verso la sala.
"Fai come vuoi, tesoro. Se deciderai di non ballare con lui, va bene. Marco capirà. Ma se dovesse venirti qualche dubbio, sappi che per nessuno, in quella sala, è un problema"
Mi guarda un'ultima volta, poi rientra.
...
Cazzo.
Mi sento svuotato, e non ho detto quasi neanche una parola.
È così difficile.
Vuoi solo cercare di farmi sentire accettato?
Di scacciare vie le mie paure, seppur con un gesto così lontano da me?
...
Non è quello che hai sempre cercato di fare, infondo?
...
Merda.
Sono un coglione.
Un coglione ottuso.
Cazzo.
E adesso?
Adesso sei arrabbiato con me.
Anche se sai che non è così, ti sarai sentito rifiutato.
Avrai pensato che mi vergogno di te.
...
Merda.
Faccio dietrofront e torno in sala.
Ironicamente, il mio atteggiamento da psicopatico starà dando nell'occhio più di qualsiasi altra cosa.
Bene.
Ottimo.
Faccio scorrere lo sguardo sulla sala.
Sei seduto al tavolo, parli con Giorgia.
Non mi hai visto entrare.
Mi fermo appena dietro il dj.
Gli chiedo di mettere una canzone.
Una canzone specifica.
...
Da quando sono diventato così romantico?
Mio Dio.
Non mi riconosco neanche più.
Sono diventato completamente scemo.
Tu mi hai fatto diventare completamente scemo.
È tutta colpa tua.
Scaricare la colpa su di te mi aiuta a sentirmi meglio.
Mi siedo.
Non sono più arrabbiato, ma l'ansia per quello che ho deciso di fare continua a divorarmi lo stomaco.
Mi sforzo di mangiare.
Tu mi ignori bellamente, ma smetti di parlare con Giorgia.
...
Cazzo.
Ho le palpitazioni.
Il cuore in gola.
Le ginocchia che tremano.
Penso di poter svenire, in questo momento.
Merda.
Alzo lo sguardo, cerco Marta.
Sta parlando con tua madre.
Ovviamente.
Le fisso intensamente, sperando che una delle due si accorga di me.
Fortunatamente, dopo qualche secondo, Marta incrocia lo sguardo con il mio.
Mi guarda interrogativa.
Le annuisco, cerco di sorriderle e le faccio l'occhiolino.
Spero capisca.
Spero si alzi a ballare prima di noi, e spero davvero che Riccardo collabori.
Inclina la testa di lato, sussurrando qualcosa all'orecchio di tua madre.
Anche lei mi guarda.
Continuo a sorridere ad entrambe, e annuisco ancora.
Questa volta mi evito l'occhiolino.
Due sorrisi identici mi raggiungono.
Radiosi.
Splendidi.
Un po', mi riscaldano il cuore.
Ti alzi.
Qualcuno ti ha chiamato da un altro tavolo.
Che culo.
"Rosa, Giorgia"
Le due ragazze si voltano a guardarmi.
"Non chiederci di cosa abbiamo parl.."
"Se non vi alzate a ballare prima di me vi uccido, giuro"
Giorgia si blocca, stupita.
"Hai deciso di ballare?!"
"Sì. Trovatevi qualcuno da trascinarvi prima che io mi alzi da questa sedia"
Anche i loro sorrisi sono radiosi.
Hanno tutti degli ottimi dentisti in questa sala, non c'è che dire.
"Va bene"
"E fate finta di niente"
"Va bene"
Stai per tornare.
Ti vedo con la coda dell'occhio.
"E grazie"
Rosa mi fa l'occhiolino.
Giorgia mi sorride felice.
Entrambe mutano improvvisamente espressione quando ti risiedi fra di noi.
Mi guardo intorno.
Ti evito, come tu stai facendo con me.
Va bene così.
Durerà poco.
Tutti hanno finito di mangiare.
Vedo il dj avvicinarsi alla console.
Prendere il microfono.
...
Merda.
Devo essere impazzito.
"Signori, dopo questo ottimo primo, proseguiamo con i balli. Questa è una richiesta speciale da parte di uno di voi per il festeggiato"
Sono sicuramente impazzito.
Deglutisco a fatica.
Ansia, cuore, qualsiasi cosa in questo momento sta cercando di strozzarmi.
Cercherei di strozzarmi da solo.
Percepisco il tuo sguardo curioso.
Respiro.
Devo farlo.
Devo farti capire che hai sbagliato a pensare qualsiasi cosa tu abbia pensato.
La canzone parte.
E sin dalle prime note di 'Slide Away' degli Oasis, tu capisci.
Mi guardi, stupito.
Me l'hai fatta sentire tu.
Mi hai detto che era bella, che raccontava un po' di me, un po' di te e un po' di noi.
Me l'hai tradotta mentre la ascoltavamo insieme.
Mentre me l'hai fatta ascoltare, per la prima volta.
Il nodo che sento allo stomaco è uguale identico a quello che sentivo allora.
Tua mamma, Marta, Giorgia e Rosa si alzano quasi contemporaneamente.
Raggiungono la pista, iniziano a ballare.
Respiro.
Coraggio.
Ce la posso fare.
È solo un ballo, alla fine, no?
Solo un ballo.
...
Respiro ancora.
Mi volto, verso di te.
Mi guardi in attesa.
Con un sopracciglio inarcato.
L'espressione lievemente divertita.
"Balli con me, principessa?"
L'ironia non riesce a stemperare l'ansia che c'è nella mia voce.
Ma il tuo sorriso forse un po' sì.
È radioso.
Come quello di Marta e Lucrezia, quando hanno capito.
È felice.
Tu sei felice.
Ti tendo la mano.
La prendi, la stringi, senza esitare neanche per un secondo.
"Ma certo, cavaliere tenebroso dalla scintillante armatura"
Mi alzo.
Fai lo stesso.
Le mie gambe tremano.
...
È solo un ballo.
Ripetermelo forse mi aiuterà a convincermene.
Altre persone hanno raggiunto la pista prima di noi.
Meglio.
Intrecci le tue dita alle mie.
Camminiamo verso il centro della sala.
Ci mischiamo alle coppie che ballano.
Passiamo accanto a Marta.
Mi sorride.
Riccardo si volta, mi guarda.
Sorride anche lui.
"Mi devi un favore, amico"
Lo sussurra.
Sono certo che tu non lo hai sentito.
Non faccio in tempo a rispondergli che sì, probabilmente gli devo un favore.
Ti fermi, all'improvviso.
Ti volti.
Le tue braccia mi si stringono in vita.
Le tue mani si aprono sulla mia schiena.
Mi avvicini.
Strofini il viso contro il mio collo, felice.
Felice come un bambino.
E nonostante tutto, nonostante in questo momento io voglia soltanto sotterrarmi, nascondermi, rinchiudermi in una stanza buia e lontana dagli occhi di tutti, nonostante stia facendo qualcosa di totalmente estraneo a me, non riesco a farne a meno.
Non riesco a non sorridere anch'io.
Il tuo gesto, così spontaneo e così infantile, mi intenerisce.
Mi scioglie il cuore stretto nella morsa dell'ansia.
E forse non ce n'è bisogno.
Forse non c'è bisogno di avere così tanta paura.
Non qui.
Non adesso.
Non con te.
Lascio che questi pensieri mi invadano, mentre a mia volta ti stringo.
Mentre avvolgo le braccia intorno a te e iniziamo a dondolare insieme.
Mentre, lentamente, mi calmo.
"Perché lo fai?"
La tua voce arriva alle mie orecchie in un sussurro.
Sono certo che nessuno ci senta.
La musica copre le chiacchiere fra le coppie che ballano.
"Perché faccio cosa?"
"Perché stai ballando con me?"
Perché?
Ci penso.
"Perché ne ho bisogno"
"Fino a poco fà non sembrava così"
No, è vero.
Ma ho sbagliato.
Ho sbagliato tutto.
"Ti chiedo scusa"
Resti in silenzio, per qualche secondo.
Strofino lentamente una mano sulla tua schiena.
Mi lascio solleticare il viso dai tuoi capelli.
Respiro il tuo odore.
Chiudo gli occhi.
"Hai parlato con mia madre, vero?"
Sorrido.
"Se proprio dobbiamo essere precisi, è stata lei a parlare con me"
"E..?"
"E mi ha fatto capire che sono un coglione"
...
"Santa donna"
Rido appena.
Ti sento sorridere.
"Mi dispiace Marco"
"Ti dispiace per cosa? Ti dispiace sentirti a disagio in questo momento?"
Fai pressione con una mano sui muscoli della schiena.
"Sei rigido"
"No, non mi dispiace per questo. Mi dispiace per prima. Per averti fatto sentire rifiutato da me. Per averti fatto pensare che mi vergogno di te"
Non rispondi.
Capisco di averci visto giusto.
È esattamente quello che hai pensato.
Ti stringo ancora.
"Scusami. Mi dispiace"
Lo ripeto.
Ho bisogno di essere perdonato.
"Lo so. Non ti preoccupare"
"Mi perdoni?"
"Stai ballando con me davanti a cento estranei e mi hai chiesto scusa. Non ho niente da perdonarti"
Sospiro.
Il tuo corpo è rilassato.
La tua voce è tranquilla.
Sei sereno.
Di conseguenza, lo sono anche io.
Forse.
Più o meno.
Credo.
Almeno un po'.
La mia mente non smette di rimuginare.
Di riflettere.
Non riesco proprio a spegnerla.
"A cosa pensi?"
A cosa penso?
"A tante cose?"
"Tipo?"
Ancora una volta, non riesco a fermarmi.
La tua sincerità è contagiosa, l'ho sempre pensato.
"Tu riesci a farmi fare sempre tutto ciò che vuoi"
Ti sento ridacchiare.
"Sì, sono un piccolo stronzo subdolo e manipolatore"
"Parlavo sul serio"
"Anch'io"
Scuoto appena la testa.
Ma sorrido.
"È una cosa brutta?"
La tua voce è un po' incerta.
Ci penso.
È una cosa brutta?
...
"No, non credo"
Non rispondi, e così continuo.
"Non lo fai con cattiveria. Penso che tu non lo faccia neanche di proposito, in realtà. Sono solo io. Pur di vederti felice, farei qualsiasi cosa. Ti darei qualsiasi cosa"
Ti scosti da me.
Mi guardi stupito.
I tuoi occhi verdi sono spalancati, l'espressione è sorpresa.
Non mi sono neanche reso conto dell'importanza delle mie parole.
"Davvero?"
Ti sorrido.
Anche quando sei sorpreso sembri un bambino.
"Sì, davvero. Sto ballando con te davanti a cento estranei, hai presente? E nonostante quello che pensa tua madre, non lo sto facendo per me. Lo sto facendo per te"
"Anch'io lo sto facendo per te"
Lo so.
Ora lo so.
Annuisco.
Ora capisco più cose.
"Lo so. È per questo che sono qui, e non sono seduto a tavola a tenerti il muso"
Mi sorridi.
Ti stringi di nuovo a me.
Dondoliamo insieme, in silenzio, mentre le parole della canzone ci invadono le orecchie.
6:32 minuti di canzone.
Non so se sia un bene o un male.
Improvvisamente, inspiegabilmente, sento il bisogno di parlare.
Alla fine, se chiudo gli occhi, è come se fossimo soli.
E ho bisogno che tu capisca.
Che tu mi comprenda, almeno un po'.
"Ti ricordi quando ti ho raccontato dei miei, la prima volta?"
Ti irrigidisci appena.
Non posso biasimarti.
Dai miei racconti, non puoi che essere prevenuto, verso di loro.
E hai ragione.
"Certo"
"Quanto era passato? Una, due settimane?"
"Sì, più o meno sì. Perché?"
"Stavo pensando anche ad un altra cosa. Sai quanto ci ho messo per dirlo a Valerio? Per raccontargli più o meno tutto, la prima volta?"
...
"Quanto?"
"Quasi un anno"
Ti muovi nel mio abbraccio.
A disagio, forse.
Le mie braccia ti stringono più forte.
Le tue anche.
È buio.
Non ci vede nessuno.
"Perché?"
"Avevo paura. Non mi fidavo, non volevo fidarmi, e non volevo sembrare debole. Non volevo espormi"
...
"Perché a me l'hai detto subito?"
Sorrido.
La verità mi colpisce.
L'ho sempre saputo.
Forse, però, lo sto realizzando soltanto adesso.
"Stavo pensando a questo. Tu, oltre ad essere uno stronzo subdolo e manipolatore, mi fai sentire.."
Non riesco a dirlo.
Qualche lieve traccia di pudore mi impedisce di parlare.
"Ti faccio sentire come, Enea?"
Respiro.
"Mi fai sentire protetto"
Sussulti appena.
Per quello che sono, per come sono, questo per me è tanto.
Io non voglio sentirmi protetto.
Io voglio sempre e comunque proteggermi da solo.
"Non ho paura di essere debole, fragile, vulnerabile, con te. È la prima volta che mi succede. Per questo sono sempre sincero. Non ho paura"
...
"Perché?"
Già.
Perché?
...
Non ci penso neanche troppo.
La verità è sempre stata davanti a me.
"Perché mi fido di te. Mi fido di te, l'ho sempre fatto, da subito, istintivamente. So che non mi pugnalerai alle spalle, che non userai i miei punti deboli per ferirmi"
"Non lo farei mai"
La tua voce è ferma, sicura.
Forse anche un po' arrabbiata.
Sorrido.
Annuisco, con il viso poggiato accanto al tuo.
"Lo so. È per questo che io mi fido di te. Hai conosciuto tutti i miei spigoli e non ti sei fatto abbattere. Hai conosciuto il mio carattere di merda e sei rimasto comunque. Ti ho vomitato addosso la mia vita e sei rimasto accanto a me, mi hai dato una ripulita e mi hai tirato su. Abbiamo litigato tante volte, ma mai, neanche una volta, hai usato un mio punto debole per ferirmi. Mai, non l'hai mai fatto. Io mi sono sempre fidato di te, dal primo momento, semplicemente per istinto. Non l'ho mai fatto prima. Ma ho fatto bene. E lo farei ancora. E continuerò a farlo, continuerò a fidarmi di te"
Mi brucia la gola.
Ma le gambe non tremano più.
Mi sento sereno.
Tranquillo.
Forse un po' libero.
Tu tremi, invece.
Tremi appena contro di me.
Le tue mani sono strette a pugno contro la mia schiena.
"Ehi"
Strofino impercettibilmente il mio viso contro il tuo.
Lascio scorrere le mie mani sulla tua schiena.
Ti sento fragile, adesso.
Il peso delle mie parole ti fa tremare.
"Cosa c'è?"
"Enea, io..non so cosa dire"
Sorrido.
"Non devi dire niente. Non ti ho detto queste cose per sentirmi dire qualcosa in cambio. Ti ho detto tutto questo perché ne avevo bisogno. Ho bisogno che tu capisca"
"Ho capito"
...
"Lo so"
Restiamo in silenzio.
Senza che io me ne sia accorto, il dj ha cambiato canzone.
Quella di prima sarà finita.
Effettivamente, 6:32 minuti non sono così tanto lunghi.
Non riconosco il nuovo brano.
Ma le persone, in pista, sono sempre tante.
Sono sempre le stesse.
E con mia grande felicità nessuno ci sta guardando.
Nessuno bada a noi.
Spero anche che nessuno mi abbia sentito parlare.
"Enea?"
"Dimmi"
...
"Cosa c'è?"
"Me lo dai un bacio?"
Sospiro.
Chiudo gli occhi.
Per quanto la tua voce sia lamentosa, so che non è un capriccio.
Lo avverto dall'insicurezza che provi.
Il problema non è questo.
So che le tue intenzioni sono buone.
Ma io ce la faccio?
"In cambio, ti prometto una cosa"
Sorrido, divertito.
"Cosa?"
"Non tradirò mai la tua fiducia. Anche se tu dovessi lasciarmi, non ti farò mai male"
Un ricordo vago mi colpisce.
Il mio sorriso si allarga.
"È un trabocchetto"
"Non è vero, stronzo!"
"Stronzo lo sarai tu. È un trabocchetto. Non eri tu quello che non veniva lasciato, ma solo 'elegantemente allontanato'?"
Ti allontani da me.
La canzone sta per finire.
Lo sento.
Numerose coppie stanno tornando verso i rispettivi tavoli.
Mi guardi stupito.
Ti sorrido.
Sono sereno.
Finalmente.
Mi sono servite due canzoni, il supporto psicologico di tua madre e un monologo come non ne avevo mai fatti.
Mi sei servito tu.
Ma ora sono sereno.
Ridi.
Sento il cuore leggero.
Mi getti le braccia al collo.
Non c'è quasi più nessuno in pista.
Solo Lucrezia e Gennaro, Marta e Riccardo, Rosa e Giorgia con due compagni di classe.
Ma sinceramente, adesso, proprio non mi importa.
Ha smesso di importarmene quando ho capito di averti ferito per colpa delle mie paure.
Per colpa dei pregiudizi con i quali io stesso mi condanno.
Non me ne frega un accidente se adesso probabilmente tutti ci stanno guardando per davvero.
Mi stringi, felice.
E ti stringo anche io.
Le mie braccia ti circondano.
Le mie mani sono aperte sulla tua schiena.
Sento il tuo cuore battere forte contro il mio.
Quasi ti sollevo, sotto l'irruenza del tuo abbraccio.
Sono le ultime note.
E io devo ancora dirti una cosa.
Devo farlo adesso, prima che questa canzone sconosciuta finisca.
Devo farlo ora, perché so che non ci sarà un momento più perfetto di questo qui.
"Stavo pensando ad un'altra cosa"
"Cosa?"
Ti scosti da me.
Le tue braccia restano strette al mio collo.
I tuoi occhi verdi sono fissi nei miei.
Brillano.
Nonostante la luce fioca della sala.
Sorridi.
Sorrido anch'io.
E senza pensarci più, imponendo alla mia mente di spegnersi, ti bacio.
Mi avvicino, ricopro i pochi centimetri d'aria che ci dividono in un millesimo di secondo.
Unisco le mie labbra alle tue.
Sussulti, sorpreso.
Le mie mani sono strette sulla tua schiena.
Ti sento sorridere.
Contro di me.
Sorrido anche io.
È come se fosse il saluto di quella sera di gennaio di cinque mesi fà.
È solo uno sfiorarsi.
Gentile, dolce, educato.
È il bacio che tu mi hai insegnato.
Quello che non ho mai dato a nessuno che non sia tu.
Ci accarezziamo le labbra.
Semplicemente questo.
Ti stacchi da me.
Lo fai tu.
Mi guardi.
Sei radioso.
Sento il cuore battere forte nel mio petto, il tuo battere contro la mia mano, aperta sulla tua schiena.
Hai le guance un po' arrossate.
Forse anche io.
Non lo so.
Nascondi di nuovo il viso nell'incavo della mia spalla.
Lo strofini contro il mio collo.
Sorrido.
Non riesco a farne a meno.
E così te lo sussurro, chinando il viso verso di te.
"Io ti amo, Marco"
Tremi, forse un pochino.
Sento qualcosa di bagnato contro il collo.
Non ho bisogno di guardarti, so cosa sta succedendo.
È una lacrima.
Solo una.
Di gioia o di emozione, non lo so.
Tu me l'hai già detto.
Mi hai già detto di amarmi.
Non molto tempo fà, forse qualche giorno.
Me l'hai detto, e io non ce l'ho fatta a risponderti.
La mia paura dei miei stessi sentimenti mi ha fermato.
Non ci sei rimasto male.
Hai detto che lo sapevi, che non avevi bisogno di sentirtelo dire.
Lo so.
Lo so che era la verità.
Tu davvero non ne hai bisogno.
Lo sai, semplicemente guardandomi.
Sono io ad averne bisogno, adesso.
Sono io ad aver bisogno che tu lo sappia davvero.
Ho bisogno che tu lo senta da me.
Sono io che dovevo dirtelo.
E ora mi sento libero.
Ora mi sento pieno, anche se, a conti fatti, sono stato io a dare qualcosa a te.
"Anche io ti amo"
Lo sussurri sull'ultima nota della canzone.
Sorrido.
Lo so.
Lo so benissimo.
Senza farti vedere, ti asciughi la guancia bagnata dando le spalle a tutti gli altri.
Gli occhi arrossati sicuramente ti tradiranno, ma non te ne frega niente.
Non te n'è mai importato niente di queste cose.
Mentre ci sediamo al tavolo, un altro pensiero mi folgora.
Sei più bello, così.
Stropicciato, con le guance rosse, i capelli spettinati, l'aspetto stravolto.
Ma felice.
Gli occhi brillano.
E brillano per me.
Lo so che è così.
Anche i miei brillano come i tuoi, per te?
Non lo so.
Credo di si.
Se potessi scegliere, li farei brillare.
"Dopo le meravigliose parole di 'Nothing Else Matters' dei Metallica, vi annuncio che i secondi piatti stanno per essere serviti. Continueremo la festa dopo con i balli di gruppo"
'Nothing Else Matters'.
Qualche ricordo leggero delle superiori mi sfiora la mente.
Mi avvicino a te.
Chiacchieri tranquillo con Rosa.
"Cosa significa 'matters'?"
Mi guardi come se fossi impazzito.
"Importa, importare. Perché?"
"Niente"
Mi guardi curioso ancora un attimo, poi ti volti verso Rosa.
La tua mano, però, raggiunge la mia sotto il tavolo.
La stringe.
Guardo le nostre dita intrecciate.
'Nothing Else Matters'
Nient'altro importa.
Alla fine, è davvero così.
Non importa nient'altro che questo.

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