Marco
Attacco il telefono con la filiale di Bruxelles.
Che rottura di palle.
Non capisco perché, ogni cazzo di volta, le rotture di scatole le rifilano sempre a me.
...
Sbuffo.
Neanche il tempo di poggiare il telefono, che suona ancora.
...
È una congiura.
"Direttore buongiorno, mi dica"
"Hai contattato la sede di Bruxelles?"
"Sì, Direttore, ci ho appena parlato"
"Richiamali. Digli che le condizioni sono cambiate. I nostri.."
Ascolto distrattamente il Direttore cianciare qualcosa dall'altro capo del telefono, prendendo appunti distrattamente su un pezzo di carta.
Dirmelo sta mattina appena sono arrivato era difficile?
...
Sì.
Evidentemente sì.
Doveva farmi fare la figura del coglione per forza, costringendomi a richiamarli per la seconda volta nel giro di cinque minuti.
...
Santa pace.
Quanta pazienza.
E con il Direttore ci vado d'accordo.
Non oso immaginare se mi odiasse.
"Va bene Direttore, procedo"
"Grazie Marco"
Aggancio.
Lascio cadere il telefono malamente.
Mi stiracchio, sbadiglio rumorosamente.
Chi se ne frega.
In ufficio non c'è nessuno.
È il bello di lavorare in banca, e di avere abbastanza qualifiche per poter pretendere un ufficio privato.
Anche se a soli 23 anni.
Sorrido.
Sono davvero egocentrico, come dici tu.
Ma, alla fine, chi se ne frega anche di questo.
Dovrebbero essere tutti un po' più egocentrici, dovrebbero pretendere di più.
Se le persone pretendessero quello che sanno di meritarsi, ci sarebbero, forse, un po' meno raccomandati buoni a nulla in giro.
E le persone, forse, sarebbero un po' più felici.
A te, sicuramente, non farebbe male un po' di arroganza in più, patato come sei.
Allungo la mano verso il cordless.
Sospiro.
Mi tocca.
Devo richiamare la filiale di Bruxelles, e passare la prossima mezz'ora a mettere in discussione tutto ciò che abbiamo deciso appena cinque minuti fa.
Che gioia.
Li ho chiamati così tante volte nelle ultime settimane che ormai conosco il numero a memoria.
E non conosco a memoria neanche il numero di mia madre, o il tuo.
Giusto per dire.
...
0032
...
Come cazzo era?
...
Ah.
47
...
"Never cared for what they do
Never cared for what they know
but i know"
Sobbalzo.
"Oh, fanculo"
Cancello il numero che non ho ancora finito di comporre sul cordless e afferro il cellulare.
Non mi aspettavo nessuna chiamata a quest'ora, la suoneria mi ha fatto spaventare.
Certo, avere i Metallica come suoneria non aiuta di certo a prevenire l'infarto.
Ma...
Che palle.
Odio essere smieloso, anche se soltanto dentro la mia testa.
È la nostra canzone, quella del diciott'anni.
Ho provato a toglierla, un paio di volte, ma non ci riesco.
Non ce la faccio, davvero.
Più che smieloso, mi sento uno stupido ad essere legato in questo modo viscerale ad una canzone.
La suoneria si interrompe, abbasso lo sguardo.
Provo a sbloccare il telefono, ma non faccio in tempo.
Riprende a squillare.
Enrico.
Sorrido.
Hai dimenticato il cellulare, non è vero?
O non l'hai messo a caricare sta notte, o hai lasciato il caricatore a casa.
Una delle tre.
Apro la chiamata.
"Marco"
Inarco un sopracciglio.
Non sei tu.
È Enrico.
"Enrico, cosa.."
"Enea ha avuto un incidente in fabbrica, l'ambulanza lo sta portando in ospedale"***
"Dov'è?"
"Marco, calmati"
"Dove cazzo è?"
"Dentro, non possiamo entrare"
"Non me ne frega un cazzo di queste stronzate, io entro"
"Marco, non puoi entrare!"
Enrico mi spinge.
Sbatto la schiena contro il muro.
Il dolore mi stordisce, per qualche istante.
Mi manca il fiato.
...
Respiro.
...
Dove cazzo sei?
Che cazzo è successo?
...
Enrico, alcuni colleghi.
Li ho visti distrattamente quando sono entrato come una furia nel pronto soccorso, trenta secondi fa.
Solo adesso, però, li osservo bene.
Osservo bene Enrico.
...
Sento un lamento uscire dalle mie labbra.
Lo sento.
Quando l'ho emesso?
...
Enrico.
Il camice bianco, le mani, le braccia, i pantaloni della tuta.
Tutto, di lui, è sporco, macchiato.
Rosso.
Sangue.
...
Il tuo.
...
Sento il pavimento freddo e lurido dell'ospedale sotto le gambe.
Sono scivolato.
Quando?
Quando è successo?
"Marco, così non risolvi niente. Devi calmarti. Stanno arrivando Paolo e Tiziano, li ho chiamati"
Enrico mi parla, lo sento.
Cerca di essere rassicurante.
Non lo è.
Non me ne frega un cazzo di queste puttanate.
Non me ne frega un cazzo delle sue parole gentili, del suo modo di fare rassicurante, del suo tono di voce pacato.
Non me ne frega un cazzo di niente.
...
Serro le palpebre.
Il cuore fa male.
...
Pulsa in modo violento, doloroso.
Il fiato corto è una coltellata nel petto ad ogni respiro.
...
Dove sei?
Come stai?
Enea, cazzo.
Che cazzo combini?
...
Non so niente.
Un incidente.
Un incidente può essere qualsiasi cosa.
Per un incidente sul luogo di lavoro ti portano sempre in ospedale, sempre.
Poteva essere un taglio su una mano.
Una bruciatura.
Una cosa qualsiasi.
Apro gli occhi.
...
Rosso, ancora rosso.
...
Tutto quel sangue...
...
Enea, che cosa hai fatto?
"Cosa è successo?"
Enrico sobbalza, mi guarda spaventato.
Da me, da lui, non lo so.
È accovacciato davanti a me.
I suoi occhi chiari mi studiano per qualche secondo.
"Non guardarmi così, e non dirmi cazzate. Cosa è successo?"
"Il meccanico non c'era, la gru non funzionava e Enea è venuto a darci una mano. Pensava di averla sistemata, ma si è spenta di nuovo e il gancio si è aperto"
Inarco un sopracciglio.
"E cos'altro?"
"Il gancio reggeva il tettuccio di un'auto. Gli è caduto addosso"
Chiudo gli occhi.
Annuisco.
Il cuore mi si spezza.
Forse, letteralmente.
Se il dolore fosse capace di lasciare segni fisici, in questo momento il mio cuore sarebbe spaccato in due.
...
Che hai fatto?
"Poi cosa è successo?"
"Abbiamo tolto la lamiera, abbiamo chiamato l'ambulanza. Ho provato a fermare il sangue che gli usciva dalla testa, ma.."
Enrico non finisce la frase.
Ma la capisco da solo.
Era troppo.
Semplicemente, il sangue era troppo.
"So che si è rotto un braccio. Ho visto che lo ha alzato, mentre la lamiera gli cadeva addosso. Non lo so, magari ha attit.."
Mi alzo.
Non lo voglio più ascoltare.
Non mi interessa ascoltarlo.
Non voglio essere consolato.
Voglio stare da solo.
Passeggio, avanti e indietro, davanti alle porte chiuse del pronto soccorso.
...
Enea.
Porca troia.
Appena ti avrò portato fuori da questo maledetto ospedale, se proverai anche solo a pensare di allontanare il tuo cazzo di culo da me te la do io una botta in testa, giuro.
Cazzo.
...
Cammino.
Avanti e indietro.
Scandisco il tempo che scorre, un passo dopo l'altro.
I miei respiri si calmano, il cuore si tranquillizza.
I pensieri, invece, volano.
...
Non potevi dire di no?
Non potevi rifiutare?
Non era il tuo cazzo di lavoro, non è quello per cui hai studiato, non hai le competenze e le conoscenze per farlo.
Non sei un cazzo di meccanico, santo cielo.
Non sapevi dire di no?
...
Perché?
Perché?
Perché devi essere sempre così gentile, sempre così buono, sempre così accondiscendente?
Perché?
...
Incrocio le braccia al petto.
Stringo forte i muscoli fra le dita.
...
Dove sei?
Enea, dove sei?
...
Tutto quel sangue.
Era tanto, tantissimo.
Dalla testa.
Lo ha detto Enrico.
Dalla testa.
...
Mi fermo, davanti al muro.
Poso la fronte contro la parete fredda.
Deve sostenermi.
Le gambe tremano.
Non ce la faccio a stare in piedi.
...
Sento delle voci.
Tiziano, Paolo.
Non mi sposto.
Non voglio.
Non mi interessa.
...
Enea, cazzo, ti prego.
Che cosa hai fatto?
Dove sei?
"Marco"
La voce dolce di Tiziano mi raggiunge.
Mi posa una mano sulla spalla.
Scuoto la testa.
Non voglio parlare.
Non voglio ascoltare nessuno.
Mi allontano dal muro.
Mi lascio cadere su una sedia.
Seppellisco il viso fra le mani.
Lasciatemi in pace, tutti quanti.
Non voglio parlare con nessuno.
...
Voglio parlare con te.
Solo con te.
...
Dove sei?
Come stai?
...
Ti ha fatto male?
...
Sì.
Sicuramente sì.
Serro le palpebre.
...
Enea.
Non te ne andare.
Non lasciarmi.
Non puoi lasciarmi.
Se mi lasci io..
...
Serro i pugni.
Io non ce la faccio.
Non ce la farei.
Ti prego, Enea.
Resta con me.
...
Resta con me, non andartene.
Ti prego.
Non può finire tutto.
Io non voglio che finisca tutto.
Non posso permetterlo.
...
La sedia accanto alla mia cigola.
Anche quella dall'altro lato.
Non ho bisogno di guardarli.
Sono loro.
Si siedono in silenzio, senza dire una parola.
Tiziano e Paolo mi conoscono.
Non voglio parlare, lo sanno, non insistono.
...
L'ultima cosa di cui abbiamo parlato, sta mattina.
Le gemelle.
Se avessi saputo che sarebbe stata l'ultima volta, io...
...
No.
Vaffanculo.
Non sarà l'ultima volta.
Tiro su col naso.
"Dove sono le bambine?"
"Le abbiamo lasciate da Claudia. Voleva venire anche lei, ma nostra madre non sarebbe arrivata in tempo per tenere Francesco ed è rimasta a casa"
"Abbiamo promesso che la terremo informata"
Annuisco a Tiziano.
Allontano le mani dai capelli.
Me le guardo.
Li ho stretti così tanto che alcuni sono rimasti intrappolati fra le dita.
Le scuoto.
Scivolano a terra.
"Avete chiamato Marta?"
"L'ho chiamata io"
Annuisco ancora, questa volta a Paolo.
"Grazie"
La gamba di Tiziano si muove nervosa contro la mia.
...
Non devi restare solo per me.
Devi restare anche per lui.
Non puoi andartene.
Tiziano ne sarebbe devastato.
...
E io?
Io..
Io non sarei niente.
Io non sarei più.
...
Io non sono forte, Enea.
Non lo sono.
Mi hai trovato quando non sapevo dove andare.
Non era solo la tua vita ad essere un casino.
Anche la mia lo era.
Passavo da un ragazzo all'altro, senza meta ne pace.
Cercavo qualcosa, in chi mi circondava.
Cercavo te, nei volti delle altre persone.
Cercavo, senza saperlo, quello che mi hai dato tu.
Sei la mia casa.
La mia famiglia.
Il rifugio dove nascondermi.
Le braccia che da tre anni mi stringono ogni notte, mentre mi addormento.
La tranquillità che mi avvolge, la sicurezza che sento, da quando ci sei.
Se te ne vai, io non dormirò più.
...
Enea, non te ne andare.
Ti prego.
Se te ne vai, io...
La luce che dici di vedere dentro di me si spegnerà.
Io mi spegnerò.
Non resterà più niente.
Resterà il vuoto.
Ti prego, cazzo, Enea.
La luce che brilla dentro di me sei tu.
Io non ho mai brillato con nessun altro.
Non brillerò mai con nessuno, se non con te.
...
Non lasciarmi.
Ti prego.
"Marco!"
...
Marta.
Non riesco a fermarla.
Mi si butta addosso, crollando davanti a me.
Piange sulla mia spalla, trema fra le mie braccia che, nonostante tutto, la stringono.
Io non piango.
Perché?
...
Non voglio piangere.
Non voglio piangere perché non ce n'è motivo.
Non andrai via.
Non andrai da nessuna parte.
...
Abbraccio Marta.
Il suo dolore mi circonda, e, in qualche modo, mi conforta.
Non so come.
Non so perché.
Marta fa questo effetto.
Lo hai provato anche tu.
Quando, tre anni fa, siamo andati a casa dei miei genitori e hai raccontato a loro tutto quello che ti era successo, Marta ti si è gettata al collo, ti ha stretto forte.
Ha pianto, anche.
Io la conosco, è mia sorella, me ne sono accorto, l'ho capito.
Ha pianto.
Ti ha fatto male sapere che soffriva così tanto per te, ma tu sei stato più forte di lei.
Ti sei fatto carico del suo dolore, te lo sei buttato sulle spalle, sei stato forte per entrambi.
Anche se lei non ci riusciva.
Lo faccio anche io, ora.
Per lei, per te.
Marta si allontana.
Vedo Riccardo in piedi dietro di lei.
È pallido.
...
Vedi?
Fai preoccupare anche Riccardo.
Non ho mai visto nessuna emozione sul suo viso, fatta eccezione per il divertimento e l'ironia.
"Cosa è successo?"
Scuoto la testa.
Enrico si avvicina.
Parla con Marta e Riccardo, con Paolo e Tiziano.
Parla con loro, li ascolto distrattamente.
...
Devo dirtelo, appena ti vedo.
Quella mattonella, lì, sul pavimento.
Il motivo sembra formare la faccia di un lupo.
Te la faccio vedere, appena ti porto fuori da qui.
"..non lo so, all'inizio era sveglio, poi penso abbia perso conoscenza.."
"Come?"
La mia voce risuona nella stanza.
Fanno silenzio, tutti quanti.
Questa commiserazione mi sta sulle palle, ma non voglio fare altre scenate.
Non adesso.
"Che cosa?"
Deglutisco.
Ascoltando distrattamente, la mia mente ha formato dei pensieri difficili da allontanare.
Un dubbio.
Un sospetto.
"Come sai che era sveglio, all'inizio?"
Enrico deglutisce.
...
Cosa c'è?
Il mio cuore accellera i battiti.
Il respiro si fa affannoso.
Cosa non mi ha detto prima?
...
"Ha detto qualcosa?"
Lo chiedo, ma lo so già.
Cosa hai detto?
La faccia preoccupata di Enrico conferma i miei sospetti.
Le mani tremano.
Le serro a pugno.
"Cosa ha detto?"
Deglutisce un paio di volte.
Si sfrega il viso con le mani.
...
Lo voglio sapere davvero?
...
No.
O forse sì.
Non lo so.
...
"Lui..lui ti ha chiamato, e.."
...
Vaffanculo.
Mi alzo, corro, esco.
Mi manca l'aria.
Non respiro.
Spalanco le porte d'ingresso.
Mi fermo vicino alla balconata del pronto soccorso.
Il sole è caldo, lo sento sulla pelle.
...
Come può?
Come può il sole non sparire, nascondersi, come può continuare a brillare, noncurante di tutto quanto?
Come può esserci il sole?
Come può avermi illuso, sta mattina?
Dopo giorni di pioggia, è tornato, ha ripreso a splendere.
Perché?
Perché in una giornata di sole, dopo giorni di pioggia?
Non ha senso.
Non ha nessun fottuto, cazzo di senso.
...
Mi hai chiamato.
...
Poi hai perso conoscenza.
...
Perché mi hai chiamato, cosa hai visto?
...
Cercavi me, e io non c'ero.
Avevi bisogno di me, e io non c'ero.
...
Scusami.
Non puoi andartene, non puoi farlo.
Io devo chiederti scusa.
Devo dirti che se solo avessi saputo, se solo avessi anche vagamente immaginato, sarei stato lì.
Non puoi andartene.
Devi sapere che io ci sono.
...
Enea, ti prego.
...
Cazzo.
Io ho bisogno che resti con me.
Ho bisogno...
Ho bisogno di te.
...
Il mio corpo trema.
Lo sento, lo percepisco.
Il sole non riesce a scaldarlo.
...
Non puoi andartene.
Non puoi lasciarmi solo.
...
E se te ne andassi?
...
E se te ne fossi già andato?
...
"..no.."
La sento.
La mia voce fa male.
Fa male a me stesso.
È un lamento.
Una preghiera.
Abbandono la testa contro le mani, serrate sul muretto in mattoni.
Il corpo trema, sussulta.
Ma non piango.
Piangere vorrebbe dire..
...
No.
Non piango.
Non ce n'è motivo.
Non andrai via.
"Marco"
Paolo.
Non mi volto, non lo guardo.
Cammina, in silenzio, si appoggia vicino a me.
Da le spalle al sole, guarda l'ingresso dell'ospedale.
...
Devo parlare.
Devo distrarmi.
"Tiziano?"
"Tiziano non ti sarebbe di nessun aiuto in questo momento. Non è bravo a gestire le sue emozioni"
Lo so.
La sua incapacità di gestirle lo ha portato a litigare con te, tre anni fa.
E voi due non litigate mai con nessuno.
...
Stava andando tutto bene.
Eravamo felici.
Finalmente, da più di tre anni, eravamo felici.
...
Non può finire tutto così.
Non oggi.
"Vai da Tiziano, io sto bene"
...
Non sto bene.
Non sto bene per niente.
Sragiono.
"Non dire cazzate, Marco. Ci sono Enrico, Marta e Riccardo con lui"
Un sorriso.
Stanco.
Un sorriso stanco mi sfugge.
"La verità è che non sopporti Enrico, e sei scappato via"
...
"Forse"
...
Enea, ti prego.
Voglio sapere che stai bene.
Come faccio, se nessuno qui dentro mi parla?
Come faccio, se non mi dicono niente?
...
Devo sapere che stai bene.
"Enrico si sente in colpa, sai?"
...
"Perché?"
"Ha chiamato lui Enea per aggiustare la gru"
...
Non è colpa sua.
Lo diresti anche tu.
Non è stata colpa sua.
È stato un incidente.
Lui non poteva saperlo.
Non poteva prevederlo.
"Non è colpa sua"
"Lo so"
Volto le spalle al sole.
Le porte del pronto soccorso sono chiuse.
Riccardo passeggia nervosamente.
Lo vedo, al di là del vetro.
"Marco"
Guardo Paolo.
Mi sorride.
Dolcemente.
Cosa vede, in me?
Come mi vede?
...
Uno spettro.
Così mi sento.
Uno spettro confuso.
Finché non saprò che stai bene, è così che mi sentirò.
Confuso.
Spaventato.
Disorientato.
...
Solo.
"Che c'è?"
"Io..ho parlato con Enrico. Le ferite alla testa perdono molto sangue, ma spesso sembrano più gravi di quanto sono in realtà"
...
"Spesso"
"Sì, molto spesso"
...
Forse.
Forse è vero.
Ma se questo non fosse il caso?
Se..se la tua ferita fosse grave esattamente quanto è sembrata ad Enrico?
...
Io..non ci posso pensare.
Non riesco a pensarci.
Ma sento, dentro di me, da qualche parte, il dubbio crescere.
Ho cercato, ho provato a tenerlo a bada.
Ma non ci riesco.
Sto perdendo il controllo.
C'era tutto quel sangue..
..tutto quel sangue..
"Marco.."
"Tu come lo sai?"
Sragiono.
Davvero.
Parlo.
Parlo per cercare di distrarmi, parlo per tenere la mente occupata.
Parlo.
Di cose inutili, senza senso.
"Come so che cosa?"
"Come sai che sembrano più gravi di quanto sono?"
Paolo fa una pausa.
Forse sorride.
"Prima di adottare Margot e Fleur abbiamo fatto un corso di primo soccorso"
Annuisco.
Dovevo immaginarlo.
Mamme chioccie come sono, era prevedibile.
Mamma e papà Pig non si smentiscono, infondo.
...
Tu saresti daccordo.
Li prenderesti in giro fino allo sfinimento.
"Entriamo?"
"Non mi va. Non riesco a respirare dentro. Entra tu"
Paolo non si muove.
Gli sono grato per essere venuto, ma ora voglio stare solo.
"Paolo, davvero, entra. Chiamami se arriva qualcuno"
Annuisce, va via.
Mi lascio scivolare lungo il muretto.
Mi siedo per terra.
...
Non ce la faccio più.
Perché ci mettono tanto?
Perché non esce nessuno, perché non vengono a dirmi che stai bene?
...
Stai bene?
...
Ci sei ancora?
...
Sono stanco.
Mi fa male il petto, il cuore, la testa.
I polmoni bruciano.
Mi fanno male anche i muscoli, per i tremori continui.
...
Non ce la faccio più.
...
Mi manchi.
Mi manchi terribilmente.
Non ti vedo da quanto, qualche ora?
Eppure mai, mai come adesso, mi manchi.
Non mi sei mancato così.
...
Non ti accorgi di quello che hai fino a quando non lo perdi.
Non so da dove viene questa frase.
La mia mente l'ha tirata fuori.
Un libro, forse, o un film.
...
Ma io lo so.
L'ho sempre saputo, me ne sono sempre accorto.
Non ho bisogno di perderti per sapere quanto ti amo.
...
E se ti avessi già perso?
Se tu non fossi più qui?
...
Sono stanco.
Anche di respirare.
Sono incazzato nero, e stanco.
...
Dove sei?
Mi senti, mi percepisci?
Mi stai pensando?
Ti ricordi di me?
...
Come potrei fare a vivere tutta la vita senza vederti mai più?
...
Non posso.
Semplicemente, non posso.
...
Mi fa male la testa, non riesco più a pensare.
Sto impazzendo.
...
Ho paura.
Ho paura di sapere cosa è successo, cosa sta succedendo, a pochi metri da me.
...
Voglio vederti.
Ho bisogno di vederti.
Ho bisogno di te.
Ho bisogno di vedere i tuoi occhi aperti, splendidi.
Vivi.
Ho bisogno di vedere i tuoi occhi vivi.
...
E se così non fosse?
Se non li vedrò mai più?
...
No.
Non può succedere.
Non te lo meriti, non me lo merito, non ce lo meritiamo.
...
Ho chiuso gli occhi.
Non me ne sono accorto.
Li apro.
Riccardo non passeggia più su e giù al di là del vetro.
Non lo vedo.
Dov'è finito?
Mi alzo, cammino lentamente.
Vedo, al di là del vetro, un gruppo di persone vicino ad un infermiere.
...
Mi trema il cuore.
Spalanco le porte, corro all'interno.
Sono tutti insieme.
Tutti radunati vicino alla porta d'accesso al pronto soccorso.
Tutti intorno a..
"Roberto!"
Il nuovo marito di Luana mi guarda.
Nei suoi occhi, non leggo niente.
Non guardo gli occhi degli altri.
Non mi interessano.
Vedo solo lui.
Il cuore aumenta i battiti, ancora una volta.
Il respiro accellera.
Fa male.
Deve portarmi da te.
Voglio venire da te.
Per favore.
Roberto mi osserva, per qualche secondo.
Poi mi fa un cenno, senza dire niente.
Lo seguo.
...
Come in un sogno.
C'è silenzio, nel corridoio.
Un silenzio che fa male ai timpani.
È..troppo.
Troppo silenzioso.
Non dovrebbe esistere, al mondo, tutto questo silenzio.
Sento i passi di tutti gli altri dietro di me.
Anche loro sono in silenzio.
...
Dove sei?
Sto venendo da te?
...
Incimpo nei miei passi.
Una mano, forse Riccardo, mi afferra, mi tiene in piedi.
...
Tremo.
Adesso ho paura.
Ho paura di non trovarti.
Ho paura di non vedere i tuoi occhi brillare.
...
Roberto si ferma davanti ad una porta chiusa.
La apre.
Mi fa un cenno con la testa.
Mi invita ad entrare.
...
Non voglio entrare.
Non voglio.
Ho paura.
Non so..non so cosa vedrò.
E ho paura.
Io..
...
E se tu fossi..
"La ringrazio"
Chiudo gli occhi.
L'ho immaginata?
Ho immaginato la tua voce?
...
Era reale o l'ho soltanto immaginata?
Tremo, e non cerco neanche di nasconderlo.
...
Sei tu?
...
Apro gli occhi.
Un infermiera varca la porta.
Sorride a Roberto, e poi va via.
Roberto mi guarda.
Vorrei chiedere, sapere, ma non ho il coraggio.
Non ce la faccio.
Ho paura.
Sono un vigliacco.
"Mi ha detto di portarti direttamente da lui perché non avresti creduto a niente di quello che avrei potuto dirti"
...
Gli hai detto?
...
Dove sei?
...
Il cervello si sblocca.
Riprende a funzionare.
...
Cazzo.
Faccio un passo avanti.
Non cado.
Ne faccio un altro.
Un altro ancora.
Entro nella piccola stanza del pronto soccorso.
Non devo avere paura.
La porta si chiude dietro di me.
Sono solo.
"Marco?"
...
Non sono solo.
Alzo lo sguardo.
...
"Enea"
Non l'ho immaginato.
Non ti ho immaginato.
Sei qui.
Mi guardi, mezzo straiato sul letto.
La testa fasciata, il braccio sinistro ingessato.
Una flebo che corre su, fino alla sua sacca.
Ma gli occhi brillano.
Mi guardano, e brillano.
Brillano vivi.
...
Sei qui.
Non sei andato via.
Non riesco a muovermi, sono paralizzato.
Sento l'adrenalina scorrermi nelle vene.
...
È la paura.
È la paura che scivola via.
...
E se fosse solo un sogno?
Se ti stessi immaginando, se tu non fossi davvero qui?
...
Mi guardi, mi sorridi.
I tuoi occhi scuri sono..preoccupati.
Perché sei preoccupato?
...
Non mi dici niente.
Muovi appena la mano sul letto, alzi il palmo.
Mi chiami.
Le mie gambe, per fortuna, agiscono per me.
Cammino.
Mi avvicino.
...
Ho paura.
E se la mia mano dovesse attraversare la tua, senza riuscire a toccarti?
"Marco.."
Mi chiami, ancora.
...
Sono sotto shock.
Allungo piano le dita.
Le vedo.
Tremano.
Sfiorano le tue.
...
Sento la pelle calda a contatto con la mia.
La tua pelle.
Il tuo calore.
...
Sei qui.
Sei davvero qui.
Le ginocchia tremano.
Mi siedo sul letto.
...
Respiro.
Respiro.
Finalmente, adesso, respiro.
...
Non so come.
So che in un attimo, il mio corpo è stretto al tuo.
E ti sento, contro la pelle.
Sei qui.
Non sei andato via.
Sei rimasto, qui, con me.
...
Respiro ancora.
Il tuo odore mi raggiunge.
Le mie labbra tremano contro il tuo collo.
Stringo il tuo corpo al mio.
...
Tremo.
Non riesco a pensare.
Non riesco a ragionare lucidamente.
La tua mano mi accarezza piano.
Mi sfiori la schiena, le spalle, la testa, i capelli.
Non dici niente.
Mi sfiori e basta.
...
Non me ne rendo conto.
Inizio a piangere prima di poter pensare di trattenermi.
Tremo contro di te, e piango.
Tu mi stringi.
Con un solo braccio, riesci ad avvolgermi completamente.
Mi stendo, accanto a te.
Non riesco a stare seduto.
Potrei cadere.
E non voglio allontanarmi.
Non voglio lasciarti.
Mai più.
Mi stendo.
Ti guardo.
I tuoi occhi scuri, quasi neri, sembrano tranquilli.
Sembrano.
Vedo qualcosa agitarsi dietro il tuo sguardo.
La garza ti fascia la fronte, per metà anche la testa.
Ma sei qui.
Sei rimasto con me.
...
Mi accarezzi il viso.
Chiudo gli occhi.
Sento la tua mano sfiorarmi le guance, seguire i segni lasciati dalle lacrime che ancora continuano a cadere.
Ne raccogli una con un dito.
Continuo a piangere, continuo a tremare.
"Sei qui"
Sento la mia voce.
Non la riconosco.
"Sono qui"
Ti muovi, sul letto.
Ti avvicini.
Apro gli occhi.
Mi stai sorridendo.
Un po' dolce, un po' triste.
Sollevo le mani.
Ti sfioro il viso.
...
Ci hai mai pensato?
Ci hai mai pensato che le mie mani si incastrano perfettamente al tuo viso, e le tue al mio?
Ti accarezzo piano.
...
Mi sei mancato.
Mi sei mancato da morire.
Muovi il viso fra le mie mani.
Le cerchi.
Tra le lacrime, sorrido.
Mi avvicino.
Le tue labbra sfiorano le mie.
Bacio gentile.
Così lo chiami.
È un bacio gentile.
Sento il calore delle tue labbra.
Il tuo sapore.
...
Cazzo, il tuo sapore.
Le assaggio appena.
Un singhiozzo mi sfugge, sulle tue labbra.
Ti allontani.
"Marco.."
"Scusa"
Scuoti il capo.
Lo avverto.
"No. Non devi chiedermi scusa"
Un altro singhiozzo.
Un altro ancora.
La tua mano si intreccia nei miei capelli.
...
Un altro ancora.
Ho avuto paura.
Ho rischiato di non sentirti più.
Di non sentire più la tua mano fra i miei capelli.
Le tue labbra sulle mie.
I tuoi occhi che mi guardano.
La tua voce che mi chiama.
Il mio nome pronunciato da te.
Tremo, e tu mi avvicini.
Mi stringi, e sento il tuo calore.
...
Sei qui, con me.
"Shhh, sta calmo. Va tutto bene"
"Io..io non sapevo. Hai perso t-tanto sangue, Enrico n-ne era pieno, e io non sapevo se tu.."
"Sono qui, Marco. Sono qui, va tutto bene"
Sei qui.
Ti sento.
...
Sei qui.
Respiro.
Mi stringi tra le tue braccia.
Mi lascio stringere.
Ne ho bisogno.
Sono sollevato.
Ma la paura non riesce ad andare via.
Seppellisco il viso nel tuo petto.
Sento il cuore battere forte, vivo.
"Mi dispiace"
"Marco, calmati. Ti prego"
Mi strofini una mano sulla schiena.
Mi avvicino, ancora di più.
Non lasciarmi andare.
Non lasciarmi andare mai più.
"Ehi"
Mi chiami.
Ti sento.
Voglio restare qui.
Voglio restare qui, anche tutta la vita, steso in questo letto.
Solo tu e io, così, tutta la vita.
Mi andrebbe bene.
Mi andrebbe bene qualsiasi cosa, purché ci sia tu.
Continuo a piangere.
Ho il fiato corto, di nuovo.
Fa male.
Il petto, fa male.
Continuo a singhiozzare.
"Marco. Ti prego. Va tutto bene, è tutto okay"
Anche la tua voce trema.
Anche la tua mano, così grande, trema.
La sposti dalla mia schiena.
Mi sollevi il viso, mi costringi a guardarti.
I tuoi occhi, quando incontrano i miei, si spezzano.
Sei preoccupato, ancora.
...
Cosa ti preoccupa?
...
Ti preoccupo io?
...
Sto bene, non pensare a me.
"Dammi la mano"
Cosa, perché?
"Marco, dammi la mano"
La allungo appena.
Come mi vedi?
Ho un aspetto così terribile?
Me la prendi, la stringi forte.
Poi la posi sul tuo petto.
All'altezza del cuore.
La copri con la tua.
"Respira insieme a me, okay? Respiriamo insieme"
Sento il tuo cuore battere.
Sento il petto alzarsi e abbassarsi lentamente, al ritmo dei tuoi respiri.
...
Respiro.
Respiro anche io.
Respiro anche io, con te.
Respiriamo, insieme.
La tua mano copre la mia, interamente.
La sento.
Calda.
Grande.
Tua.
...
Respiro.
Respiro con te.
Il cuore si calma.
Il respiro si regolarizza.
Le lacrime cessano di cadere.
...
Respiro.
La tua pelle è calda, sotto il camice dell'ospedale.
Il tuo cuore batte.
Con il mio.
Respiro.
...
La mente è più lucida ora.
Cosa mi è successo?
Apro gli occhi.
Quando li ho chiusi?
...
Mi guardi.
Mi sorridi.
Bello, dolce.
...
Solo tu mi guardi così.
Mi riscaldi, ogni volta, quando mi guardi così.
"Va meglio?"
Annuisco.
Non lo so, non l'ho mai provato, ma penso fosse quanto di più vicino ad un attacco di panico.
Non mi è mai successo.
...
È stata la paura.
Solo la paura.
La paura di non averti più.
...
Ora mi sento uno stupido.
Avrei dovuto ridere, sorridere, essere felice.
Ti guardo, mi sento in colpa.
"Scusa"
Scuoti la testa.
I tuoi occhi scuri brillano.
Adesso so, lo sento, brillano anche i miei.
"Non devi chiedermi scusa. Ho avuto paura anche io"
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Geometrie Del Mio Io
RomanceSPIN-OFF di "Scotch al sapore di Sambuca". Sono presenti SPOILER della storia sopracitata. Per una comprensione maggiore di eventi e personaggi secondari, consiglio vivamente la lettura di "Scotch al sapore di Sambuca", che però non è indispensabile...