twentythree

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[Flicker — Niall Horan]

Tutti i bambini tornano nelle loro camere accompagnati dagli infermieri o dai loro genitori; in sala siamo rimasti soltanto io e Harry. Lo aiuto a sistemare e tra le mani mi ritrovo con uno dei suoi spartiti; non posso fare a meno di pensare a quando io quasi vivevo per la musica. Osservo il modo in cui le note sono disposte in modo ordinato tra le righe componendo l'Oratorio di Natale di Bach. Durante il periodo natalizio la suonavo sempre a casa; ricordo i sorrisi di mia madre e la sua voce che mi accompagnavano.

«Ariel.» La voce di Harry sostituisce quella di mia madre, che riecheggia ancora nella mia mente e che vorrei poter riascoltare anche soltanto un'ultima volta.

Alzo lo sguardo e, esitante, mi volto con gli spartiti ancora tra le mani. Non lo guardo, anche se riesco a percepire l'intensità dei suoi occhi su di me. Continuo a riordinare gli spartiti non curandomi della sua attenzione. Sono un disastro.

Quando tento di superarlo avvolge le sue dita intorno al mio polso, costringendomi a fermarmi. Non mi da alcuna scelta quando spinge gentilmente il mio mento verso l'alto, così da permettermi di incrociare il suo sguardo. Ed è esattamente questo ciò che non avrei voluto.

I suoi occhi, così chiari da riuscire a vederci l'oceano al loro interno sono tutto ciò che vorrei evitare, in momenti come questo. Eppure, è come se fosse l'unico a riuscire a farmi provare ancora qualcosa; come se mi tendesse continuamente la mano, finendo poi per farmela aderire alla schiena per riportarmi in superficie.

«Stai bene?» mi domanda, un velo di preoccupazione attraversa i suoi occhi.

«Sì, sto bene.»

«Sicura?» chiede ancora, avvicinando il suo volto al mio.

Velocemente, approfitto della sua presa allentata sul mio polso per allontanarmi da lui.

«Davvero, Harry» sostengo e mi passo una mano tra i capelli. «È tutto okay.»

Poggio gli spartiti ordinati sulla superficie scura del piano, e prima che possa aggiungere qualcosa o avvicinarsi a me, un'infermiera entra nella sala.

«Harry, la dottoressa Hall vuole parlarti» annuncia, guardando prima lui e poi me.

Lo stesso fa Harry, rivolgendo a me la sua attenzione. Gli faccio un leggero cenno con il capo per confermargli di andare. Mi guarda un'ultima volta prima di seguirla al di fuori della sala e della mia visuale.

Riprendo a sistemare, fino a ritrovarmi accanto al piano. Guardo lo sgabello dov'era seduto Harry quando suonava, leggermente spostato dallo strumento: mi siedo. Osservo i tasti; quelli che sono stati accarezzati dalle sue dita, riproducendo melodie che ancora si ripetono nella mia mente.

Ricorda, tesoro. La musica sarà sempre con te, ovunque tu sia. E anche se tu non lo saprai, lei sarà lì a salvarti, e a cullarti quando ne avrai bisogno. Lasciati avvolgere da lei, perché la musica può salvare tante vite, Ariel.

Le parole di mia madre sono scolpite sulla mia pelle, sul mio cuore e su ogni cellula, e il dolore, causato dal vuoto che ogni volta mi dilania, persiste nel mio corpo fino a distruggermi. Per lei la musica era una delle sue colonne portanti; era la sua roccia. 

Raccolgo le mie cose e velocemente mi allontano da quel pianoforte, fino ad uscire dalla sala. Percorro il vasto corridoio che porta all'uscita; ho bisogno di respirare. Raggiungo l'uscita come una forsennata, e nonostante la fredda brezza notturna di Nottingham che istantaneamente scuote i miei capelli e attraversa il mio corpo, quelle voci sono ancora nella mia testa.

«Ariel Green.» La sua voce risulta vicina, bassa come ogni volta, al suono del mio nome pronunciato da lui.

«Scusa, ma credo che dovrei andare» dichiaro mentre sento i suoi passi; segno che mi sta raggiungendo. Incrocio le braccia al petto, aspettando che si fermi. Non riesco ancora a respirare.

𝐅𝐈𝐗 𝐀 𝐇𝐄𝐀𝐑𝐓 [𝐇𝐀𝐑𝐑𝐘 𝐒𝐓𝐘𝐋𝐄𝐒 𝐀𝐔]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora