Capitolo 33

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Arya pov
Saranno circa due ore che dall'altra stanza, si percepiscono solo urla e rimproveri incessanti tra Aron e Jennifer.
Io ed Ella ci siamo recluse nella mia camera sperando di far trascorrere il tempo in milioni di modi diversi, ripetendo le coreografie, ascoltando musica e guardando la tv ma tutti i tentativi risultano piuttosto poco evasivi ed inconcludenti vista l'entità del chaos che creano.

Dopo qualche minuto, finalmente il frastuono tende a placarsi cessandosi definitivamente con il tonfo della porta d'ingresso sbattuta con eccessiva forza.

<<Potete anche uscire da lì adesso!>> annuncia Jennifer fortemente provata dalla situazione.
Si siede attorno al tavolo e si strofina il viso in lacrime frustrata.

Ci affacciamo leggermente con il capo fuori dalla porta in modo furtivo per controllare la situazione prima di rischiare di entrare in sala da pranzo e finire divorate dalle loro trucide accuse, ma finalmente Aron è andato via.

<<Gli passerà ne sono certa>> la consola Ella.

<<Ve lo giuro non volevo ferirlo, è la persona più importante della mia vita e la paura che questo potesse fargli cambiare opinione nei miei riguardi mi tormentava.
Ero sicura non lo avesse accettato, non capisce, io ho bisogno di questo lavoro e ci tengo molto!>> si dispera ulteriormente facendo scendere un'ennesima lacrima dai suoi occhi.

<<Cosa ti fa credere che lui possa dirti se puoi continuare o no?>> chiedo non comprendendo i suoi ragionamenti.

<<Fa valere le tue decisioni diamine.
Quello che stai facendo è un lavoro oltre che un arte e non una mancanza di rispetto nei confronti della persona che ami perciò si, hai sbagliato a non dirglielo sin dal primo momento ed è plausibile sia arrabbiato per questo ma no, non ha il diritto di scegliere per te>> metto in chiaro cercando di schiarirle un po' le idee.

Accascia la sua testa sulla mia spalla con espressione liberatoria come a sentirsi consolata dalle mie affermazioni e le asciugo quel rimasuglio umido che le traccia il viso.

Proprio nel silenzio, bussano alla porta ed Ella si alza per andare ad aprire così da rivelare Jackson sull'uscio della porta.

<<Jackson?>> domanda interrogativa lei.

<<Niente è certo, tranne che qui dentro non manchi mai del drama.
Credo sia finito il mio momento ora tocca a te>> afferma Jennifer ormai stanca alzandosi dalla sedia.

<<Ella vieni ho bisogno di un consiglio su cosa mettere!>> la richiama facendola sgattaiolare appositamente con sé.

<<Ci risiamo>> porta gli occhi al cielo lei stanca di doversi nascondere con una delle due.

<<Immagino abbia appena finito di scannarsi con Aron>> fa cenno lui verso la stanza in cui si sono rinchiuse.

<<Già>> mormoro giocherellando con il cucchiaino all'interno della tazza vuota che era posta sul tavolo.

Il mio distrarmi così è un atteggiamento di resa al fatto che continui a fare il contrario di ciò che chiedo, è stancante la sua testardaggine.

Estrae qualcosa dalla tasca posteriore dei jeans e me la porge davanti al viso con estrema dolcezza, un lolly pop.

Senza accorgermene un piccolo sorriso si fa largo sul mio viso ammorbidendone l'espressione.
È strano come un gesto così lontano sia ancora così vicino al mio cuore.

Me ne approprio sfilandolo dalla sua mano ed una volta nella mia lo guardo curiosandolo, facendo sorgere a riva tanti pensieri oltre oceano.

<<Che gusto sono adesso?>> domando consapevole di non aver chiaro il mio stato d'animo.

<<Non lo so ma voglio però che tu sia quello felice>>

Prende posto accanto a me portandomi la solita ciocca ribelle dietro l'orecchio.
Per qualche secondo, per quanto sia persa fra i miei pensieri, rimane lì, ma ci metto pochi secondi a farla ritornare al proprio posto provocandogli un ampio sorriso che gli fa voltare il capo incredulo di come non mi dimentichi mai di rispondere a quel gesto.

<<Mio padre, è sempre lui il motivo.
Da quando ho lasciato l'istituto si diverte a complicarmi la vita con lo scopo di farmi entrare nei suoi sporchi giri.
Sono successe tante di quelle cose che neanche immagini>>

<<Aspetta, tuo padre è a Boston e ti tiene d'occhio?>> lo fermo allarmata.

<<Si>>

<<Merda>> mi rendo conto che adesso tutto sia molto più raccapricciante di come lo interpretavo prima.
La possibilità che tenendo sotto gamba Jackson sia risalito a me è decisamente alta.

<<Che succede?>> domanda inconsapevole.

<<No, niente.
Non credevo fosse ancora una realtà attuale questa, continua>>
evito il discorso intenta ad ascoltare solo lui adesso.

<<In sostanza quel ragazzo lavora per lui ed è parecchio tempo che viene a minacciarmi per lui, l'unico modo per tenere a freno mio padre è dimostrargli di non essere debole o in difficoltà e questo era il mio unico modo, non è giusto però è efficace>>

La mia testa rielabora tutto andando in ebollizione come una pentola a pressione, collego le sue vicende con le mie cercando di identificare il profilo di questo essere vomitevole.
Mi rendo conto di aver bisogno di prendere un po' d'aria e respirare a fondo non posso permettermi di andare in agitazione proprio adesso, mi aspettano ore intense.

<<Ascolta, è tardissimo, per favore riprendiamo questo discorso domani okay? Ho troppe cose da sbrigare e sai Jennifer non sta molto bene- io- vorrei prendermi un po' per->> balbetto senza saper neanche a pieno cosa dire alzandomi dalla sedia.

<<Si certo, so quanto può essere difficile per te tutto questo, volevo solo sapessi che non ti reputo debole o non all'altezza delle situazioni>> chiarisce spiazzandomi definitivamente.

<<Oh, ora lo so>> fisso la punta dei miei piedi  leggermente presa dall'imbarazzo, una delle rare volte, mentre ci troviamo davanti all'uscio della porta.

<<Beh, ora ti lascio preparare>> ci incamminiamo verso la porta.

<<Ah e, in bocca al lupo per la tua esibizione>> mi augura prima di uscire nonostante odi ciò che faccio.
Non riesco a fare altro che sorridere a trentadue denti.

Chi diavolo sei tu e cosa ne hai fatto di Jackson?
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<<Ultima volta forza, cinque, sei, sette, otto>>
Schiocca le dita George enfatizzando gli accenti musicali.

<<Tieni dritta quella schiena tesoro, non sei un quadrupede>> rimprovera una delle ballerine che mortificata abbassa il viso verso il basso, delle volte ci va giù pensante, ma questo ormai è appurato.

<<Non rovinate i costumi e abbiatene cura sono divini quanti fragili.
Io ho fatto la mia parte, ora fate la vostra mie piccole muse>> ci incinta entusiasta del suo operato lasciandoci da sole nei camerini per andare al ultimare le sue cose.

Rebeka e Jennifer sono le prime ad aprire le buste contenenti gli indumenti.
Tirano fuori un bellissimo body color rosa antico simile ad un corsetto in seta nella parte superiore e in quella inferiore presenta una minigonna composta da un tessuto leggermente trasparente.
Ovviamente come in ogni esibizione non può mancare il tocco di classe, in questo caso un foulard del medesimo tessuto e tinta del corsetto da avvolgere intorno al collo.

Scruto nella mia busta e non appena do un'occhiata al suo interno non posso non accorgendomi del colore differente del mio costume, il fatto che George voglia mettermi in rilievo non può fare altro che rendermi felice e fiera dell'impegno che ripongo nel mio lavoro.
Afferro il foulard di seta tra le mani che si impasticciano di quello strano colore facendomi comprendere che quella non è la tinta dell'indumento.

È sangue.
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Dentro agli specchi non solo il riflessoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora