IV. Capitolo

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Marvin lasciò il distretto, turbato. Voleva fare qualcosa contro Irons e Johnson. Voleva arrestarli, ma con quali prove? Le chiacchiere di Ben Bertolucci? Il giornalista che non faceva altro che attirarsi l'odio di mezza città? Chi lo avrebbe creduto?
Salì nella sua macchina familiare, accese il motore e aspettò che si riscaldasse. Correva il rischio di rimanere a terra, se il motore non si riscaldava per bene. Si era promesso di farlo aggiustare, ma tra un problema e l'altro, se ne era sempre dimenticato. Guardò lo specchio retrovisore interno per fare retromarcia, quando qualcosa si mosse vicino a un colonna in penombra. Barcollava verso una grossa berlina.
Riconobbe la sagoma dell'uomo dalla pancia prominente e abbassò il finestrino. "Jonathan! Ti sei ubriacato di nuovo?"
La sagoma si voltò lentamente, attirata dalla voce.
"Proprio non riesci a tenere la bocca lontano dalla bottiglia, eh?" chiese Marvin, divertito. Poi fece lentamente retromarcia. Jonathan continuava a incespicare coi piedi.
Marvin portò una mano fuori dal finestrino. "Buona notte! E fatti accompagnare da qualcuno a casa." Lasciò il parcheggio.
Jonathan Bateman vacillò fuori dalla penombra, la faccia scarnificata, insanguinata, gli occhi vitrei e il petto squarciato.

Le strade erano quasi deserte all'una del mattino. Qualche auto solitaria sfrecciava dalla corsia opposta. Marvin non aveva mai sentito la città così silenziosa. Gli omicidi avevano scosso tutti. La gente era terrorizzata e molte persone credevano di essere le prossime a morire. Il fatto che la polizia non sapesse chi o cosa uccidesse le vittime, non faceva altro che alimentare la sensazione di impotenza e terrore. Persino gli stessi poliziotti ne erano spaventati.
Accese la radio e ascoltò una canzone Rock dal tono familiare, di cui non ricordava il nome. Proseguì lungo la via, svoltò a destra e s'inoltrò in una strada secondaria, che conduceva al Raccoon General Hospital. Era un tragitto che faceva spesso per raggiungere la sua abitazione, che si trovava nella zona residenziale della città. Un gruppetto di ville e bungalow. Quando passò davanti all'ospedale, notò che l'ingresso era deserto. Mancavano persino le due solite guardie poste davanti all'entrata. Non si domandò perché mancassero, forse si trovavano all'interno.
Continuò lungo la via e svoltò a sinistra. Non si accorse delle due figure poco distante da un lampione, finché non si avvicinò. Allora vide una donna che tentava di districarsi dalla presa di un barbone.
Frenò di colpo e uscì dall'auto, correndo verso la donna. "Ehi, tu!" urlò.
L'uomo sembrava non averlo sentito.
Quando gli fu vicino, Marvin si accorse che l'uomo aveva gli abiti laceri e insanguinati.
"Aiuto!" gridò la donna.
L'uomo la tratteneva per un braccio, tirandola verso di sé.
Marvin gli tirò una spallata e lo fece cadere a terra. "Non ti muovere! Fermo!"
La donna fuggì nel vicolo buio.
"Sono un poliziotto, signora!" gridò Marvin, credendo di averla spaventata.
L'uomo si voltò, afferrò la caviglia di Marvin e tentò di morderla.
"Che cazzo fai?" Marvin gli mollò un calcio sul fianco, ma l'uomo non accusò il corpo. Anzi, cercò di tirarlo giù.
Il tenente fece per colpirlo in faccia, quando gli vide il viso lacero, dalla pelle decomposta, una chiazza di capelli in testa e un lembo di guancia strappata. Aveva un grosso morso tra il collo e la mascella da cui si scorgeva l'osso.
Marvin scattò indietro, terrorizzato. Non riuscì a pensare a nulla. Quell'uomo sembrava appena uscito da un film dell'orrore. Mentre si guardava intorno, l'essere si fece leva sulle mani ossute e si alzò lentamente in piedi.
"Stai indietro! Indietro!" urlò Marvin. Cercò istintivamente la pistola legata alla cintura, ma si accorse di non averla. Era fuori servizio.
Andò in panico.
L'uomo strascicò i piedi verso di lui, una mano protesa in avanti, la bocca livida, spalancata. Un rantolo gli uscì dalla gola simile a un gemito.
"Stai fermo!" gridò Marvin, distanziandolo con una mano.
L'essere gliela afferrò e lo tirò a sé.
Marvin lo spinse via, ma l'uomo rimase immobile e gli affondò i denti nell'avambraccio. Gli strappò un lembo del giubbotto e tentò di mordergli la gola, ma l'essere barcollò a destra e lo trascinò a terra insieme a lui.
Marvin scattò in piedi e, in preda alla rabbia, lo tempestò di calci. L'uomo non accusò i colpi, finché non fu colpito alla testa e non si mosse.
Il tenente pensò di avergli causato un trauma cranico. Lo fissò per un momento. Poi l'essere si voltò e, con un gemito, si issò lentamente in piedi.
Nel vicolo buio, una figura minuta vacillava nella sua direzione. Aveva il viso pallido, con lunghi capelli castani scomposti e l'avambraccio insanguinato da cui si scorgevano filamenti di carne e ossa. Era la donna di prima.
"Signora!" urlò Marvin. "Non avvicinarti a quest'uomo. Stai indietro. È pericoloso!"
La donna non lo ascoltò e raggiunse l'essere, che la ignorò. Insieme, strascicarono i piedi verso il tenente, incapace di capire cosa stesse succedendo. Quando si voltò verso la sua auto per chiamare rinforzi, un centinaio di non-morti erano a trenta metri dall'auto. Vacillavano e gemevano proprio come i due che aveva alle spalle. Ormai aveva capito che non erano persone normali. Le voci sugli esseri mostruosi che attaccavano la gente erano vere.
Si precipitò dentro l'auto, chiuse le sicure dei finestrini e schiacciò l'acceleratore, facendo fischiare le ruote. Un flebile fumo biancastro si levò dall'asfalto. Mentre si allontanava, lanciò un'occhiata allo specchietto retrovisore interno. La luce di un lampione illuminava alcuni volti putridi, ossuti, da cui pendevano lembi di carne grigia.
Continuò a guidare, finché svoltò a destra e una macchina gli sfiorò il paraurti posteriore. Il conducente suonò il clacson, ma Marvin non ci fece caso. Quando fu abbastanza lontano, rallentò l'andatura, pescò il cellulare dalla tasca e compose il numero del distretto.
"Il numero da lei chiamato è al momento irraggiungibile" disse una voce da donna preregistrata. "La preghiamo di riprovare più tardi."
Tirò un pugnò a martello sul manubrio. "Cazzo!" Compose il numero di Esther, sua moglie. "Dai, rispondi! Rispondi!"
"Il numero da lei chiamato..."
Marvin sbuffò e gettò il cellulare sul cruscotto, aumentando la velocità.
Sfrecciò a centro chilometri orari su una Mission Street deserta. Di tanto in tanto gettava un'occhiata alla specchietto retrovisore interno, aspettandosi di scorgere i non-morti. E mentre ci teneva gli occhi incollati, non si accorse del furgone che sbandava sulla corsia opposta.
Un lampo di luce gli accecò la vista.
Fu l'ultima cosa che vide.

Marvin Branagh Stories | Resident Evil 2&3 (Completa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora